Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20392 del 05/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 05/10/2011), n.20392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6921/2010 proposto da:

S.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO MORBINI 14, presso lo studio dell’avv. GIOVANNI

PETRILLO (Studio Legale TRAMONTI), rappresentato e difeso

dall’avvocato PICARIELLO Maria Carmela, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAPRIGLIA IRPINA (OMISSIS) in persona del Sindaco e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 59, presso lo studio dell’avvocato SANDULLI Emilio

Paolo, che lo rappresenta e difende, giusto atto G.M. 23 marzo 2010,

n. 29 e giusta mandato speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2515/2010 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

del 21.10.09, depositata il 03/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Maria Carmela Picariello che si

riporta agli scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Emilio Paolo Sandulli che si

riporta ai motivi del controricorso;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che ha concluso per: in via principale per la trattazione del

ricorso in pubblica udienza; in subordine nulla osserva rispetto alla

relazione scritta.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. – 1. – E’ stata depositata in cancelleria l’1 dicembre 2010 la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

1. E’ impugnata per revocazione ex art. 391 bis cod. proc. civ., la sentenza della Corte di Cassazione 2515 del 3 febbraio 2010.

Il caso deciso presenta questi tratti.

S.V. aveva chiesto l’autorizzazione a riparare un fabbricato di sua proprietà, danneggiato dagli eventi sismici del 1980,con le provvidenze di cui alla L. n. 219 del 1981: in relazione alle quali la Commissione tecnica comunale di Capriglia Irpina determinò un contributo di Euro 158.613.532 ed il Sindaco con provvedimento del 20 settembre 1986 autorizzò la riparazione dell’edificio poi non realizzata dallo S.. Il quale invece, con istanza del 16 dicembre 1987 chiese il rilascio di concessione per la ricostruzione fuori sito del fabbricato e con successiva domanda del 17 marzo 1990 i benefici di cui alla menzionata Legge del 1981.

Dopo che il Comune con provvedimento dell’11 agosto 1988 aveva revocato la precedente concessione edilizia unitamente a quella del contributo, la Commissione tecnica con provvedimento del 24 aprile 1990 (comunicato dal Sindaco il 28 aprile successivo) espresse parere favorevole ad entrambe le istanze,riservando l’emissione del provvedimento finale,tuttavia non più adottato. Per cui il V. convenne in giudizio il Comune ottenendo dal Tribunale di Avellino sentenza 3 febbraio 2004 di condanna dell’ente a corrispondere il contributo nella misura di Euro 201.307.366 come determinata dalla Commissione.

La decisione venne confermata dalla Corte di appello di Napoli che con sentenza del 29 agosto 2005 osservò che il provvedimento suddetto del 1990 non aveva carattere endoprocedimentale, ma seguiva l’attribuzione già perfetta del contributo di Euro 158.613.532, rimasta quiescente in attesa della risposta dell’ente: ravvisabile proprio nella comunicazione del 28 aprile 1990 che aveva comportato la consolidazione del diritto già acquisito e consentito l’inizio dei lavori atteso il parere favorevole e vincolante della Commissione in cui era implicito il rilascio della concessione edilizia.

La Corte di Cassazione ha accolto,invece, il ricorso del comune e decidendo nel merito ha respinto le domande dello S., in quanto: a) il contributo già riconosciutoli nel 1986 era correlato alla concessione allora rilasciata,revocata la quale era perciò venuto meno definitivamente senza possibilità di essere trasferito o di rivivere con riferimento altra concessione; e per conseguirlo necessitava un nuovo formale provvedimento di attribuzione peraltro collegato ad una nuova concessione edilizia; b) tale successivo riconoscimento non poteva ravvisarsi nella nota sindacale del 28 aprile 1990, peraltro non vincolante in ordine alla emissione della concessione edilizia, sia per la sua natura ed il suo contenuto letterale,da interpretare anche in relazione al principio di tipicità degli atti amministrativi, sia per l’espressa riserva che la stessa conteneva di adozione del futuro provvedimento concessorio.

3. Per la revocazione della decisione lo S. ha proposto ricorso per due motivi, con il primo dei quali ha addebitato alla Corte di legittimità sviste ed errori materiali consistenti: a) nell’avere ritenuto che la nota sindacale del 28 aprile 1990 fosse riferita alla prima concessione rilasciata per la riparazione dell’abitazione e che sempre su quest’ultima, nonchè sulla prima istanza di contributo fosse stato emesso il parere della Commissione tecnica del 24 aprile; b) nell’avere escluso che detti atti contenessero l’attribuzione del diritto alla percezione del contributo nonchè del permesso di costruire richiedendo un ulteriore provvedimento del sindaco, che ben poteva invece mancare come conferma la costante giurisprudenza di legittimità al riguardo.

Con il secondo motivo ha dedotto di avere prodotto tutta la documentazione necessaria ad illustrare anche le successive vicende e le illegittimità in cui era incorso il comune che lo avevano indotto ad un ricorso davanti al giudice amministrativo,concluso con esito a lui favorevole: non esaminata o non sufficientemente dalla Cassazione,la quale aveva perciò ipotizzato insussistenti ragioni ostative al rilascio della nuova concessione 4. Il ricorso da esaminare in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., comma 1, n. 1 e art. 391 bis cod. proc. civ., comma 2, può essere dichiarato inammissibile se sono condivise le considerazioni che seguono.

Per l’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, l’errore si fatto per dare luogo alla revocazione di una sentenza emessa dalla Corte di cassazione deve consistere nell’erronea percezione dei fatti di causa, sostanziantesi nella affermazione o supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto, oggetto dell’asserito errore, non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Sicchè detto errore deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche; e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 27217/2009, nonchè 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

5. Nel caso, invece, il primo profilo del primo motivo trae origine da un’erronea lettura e comprensione del contenuto della sentenza impugnata, che muove proprio dal presupposto dedotto dallo S.: e cioè che tra il primo contributo di Euro 158.613.532 e la prima concessione edilizia da una parte e la determinazione del secondo (Euro 201.307.366) nonchè la richiesta della seconda concessione edilizia non vi fosse in punto di fatto, nè vi potesse essere alcun collegamento logico giuridico. E che dunque la Delib. 24 aprile 1990, contenente il parere favorevole della Commissione tecnica si riferiva necessariamente non alla prima istanza di beneficio, bensì alla seconda unitamente al secondo progetto.

Proprio per tale ragione è stata cassata la decisione della Corte di appello di Napoli che aveva invece ritenuto detta delibera soltanto il momento conclusivo del procedimento di approvazione del (primo) contributo di Euro 158.613.512, rimasto quiescente per la mancata esecuzione dei lavori, e poi definitivamente consolidato per effetto della comunicazione sindacale del 28 aprile 1990: considerata erronea perchè le due vicende erano del tutto separate e la prima doveva ritenersi conclusa in seguito alla mancata esecuzione dei lavori autorizzati (comportanti la decadenza della concessione), nonchè alla formale revoca pronunciata dal comune (pag. 3).

La sentenza 2515/2010 ha, quindi, utilizzato l’intera prima parte della motivazione per esplicitare le ragioni che escludevano ogni possibile collegamento tra di esse (pag. 11-14): sia al lume della L. n. 219 del 1981, che correla il riconoscimento di un contributo ad una specifica concessione edilizia vietandone la destinazione ad altre opere, sia in base agli stessi principi amministrativi che disciplinano la concessione edilizia, riferibile ad un progetto ben individuato e non sostituibile neppure con l’esecuzione di lavori diversi. Per poi ribadire nuovamente l’interpretazione della nota sindacale 28 aprile 1990 propugnata dal ricorrente, che “la nota di comunicazione del parere della Commissione vincolante relativamente al contributo,non poteva dunque essere riferita ad una concessione rilasciata più di tre anni e mezzo prima, per lavori che non erano stati eseguiti…” (pag. 16).

6. Neppure il secondo profilo dello stesso motivo evidenzia errori di percezione per avere la Corte di Cassazione nel prosieguo della motivazione definito la funzione giuridica di quest’ultima, enunciando il principio di diritto che una nota sindacale di comunicazione di un parere di un organo consultivo (la Commissione tecnica comunale), tanto più ove accompagnata dall’esplicita riserva di emettere successivamente gli opportuni provvedimenti, è un mero atto amministrativo, cui non può attribuirsi nè la competenza nè il significato “di riconoscimento del diritto al contributo,e di emissione di concessione edilizia” (pag. 14); e specificandone le ragioni incentrate sulla natura, sul contenuto e sulla funzione dell’atto, anche in relazione al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi ed alla sua inidoneità a vincolare le successive determinazioni del sindaco, unico organo competente al rilascio della concessione edilizia. Sicchè il fatto decisivo dal quale la sentenza 2515 avrebbe affermato l’esistenza (o l’inesistenza) e la cui inesistenza (o esistenza) risulti invece in modo incontestabile dagli atti si concreta nell’enunciazione di un principio (di diritto) opposto a quello da essa stabilito, “che al parere favorevole della Commissione la legge riconnette l’effetto dell’insorgenza del diritto pieno e perfetto al contributo richiesto e come determinato” e che il relativo diritto sorge infatti “a seguito del parere della Commissione detta” con la conseguenza che nel caso “l’atto del sindaco poteva anche mancare senza con ciò eliminare il diritto dello S. sia al contributo che alla ricostruzione legittimamente sorto con il parere favorevole della Commissione L. n. 219 del 1981, ex art. 14” (pag. 16): come del resto confermano le numerose decisioni di legittimità invocate dal ricorrente a sostegno della diversa ricostruzione normativa prospettata.

Senza considerare che la relativa questione ha costituito un punto controverso sulla quale si è pronunciata dapprima la Corte di appello, è stata riproposta dal comune con il primo motivo del ricorso ed infine definita dal giudice di legittimità con la pronuncia di principi di diritto specifici su di essa.

7. Il secondo motivo del ricorso, infine, trascura l’ovvia considerazione che la sentenza impugnata per revocazione non ha compiuto, nè avrebbe potuto compiere diretti accertamenti di fatto sui documenti prodotti dallo S. nè sulle questioni dagli stessi deducibili in merito alla titolarità della concessione edilizia, al regime dominicale dell’area su cui doveva essere ricostruito l’edificio, ad asserite alienazioni della stessa nonchè ai problemi di compatibilità urbanistica ed infine alla vicenda che ne era seguita con il comune e che aveva provocato più giudizi davanti al giudice amministrativo; ma ha soltanto controllato per completezza di indagine ed in aggiunta alle riscontrate violazioni di legge che avevano indotto alla cassazione della decisione, che la motivazione della sentenza della Corte di appello non fosse affetta da vizi logico-giuridici. E senza prendere posizione su alcuna di dette questioni si è limitata ad indicare le lacune e le incongruità in cui era incorsa nel relativo esame (che non costituiscono, dunque il fondamento della decisione revocanda nè rappresentano l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione: cfr. Cass. sez. un. 1666/2009). Per cui con quest’ultimo motivo il ricorrente ha finito per censurare la motivazione della Corte di legittimità riguardo al controllo sulla motivazione del giudice del merito. Il che è completamente al di fuori degli schemi della revocazione per errore di fatto (Cass. 8390/2003; 9505/2002; 3303/2001).

2. Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. – Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione, il controricorso e le difese ulteriori, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione che vi è stata proposta:

peraltro confermato dalla memoria dello S. in cui il ricorrente ha rimarcato l’errore di diritto addebitato alla sentenza 2515/10 di questa Corte di non avergli riconosciuto il diritto alla ricostruzione della propria unica abitazione sulla base della nuova istanza del 16 12.1987 e del nuovo parere della Commissione L. n. 219 del 1981, ex art. 14 del 23.4.1990: invece attribuitogli dalla Corte di appello di Napoli.

Ad onta, infatti, delle considerazioni di questa Corte che tale diritto, costituente proprio il fatto controverso, aveva negato cassando la decisione di appello, il ricorrente ha offerto una lettura della documentazione urbanistica del tutto difforme da quella recepita dalla menzionata decisione 2515, ha ripercorso i poteri della Commissione comunale e quelli del Sindaco per la riparazione di un immobile colpito dal sisma ex L. n. 219 del 1981, onde cercare di dimostrare la correttezza della propria interpretazione sia della menzionata documentazione che della normativa in questione, perciò erroneamente disattesa da questa Corte; ed a sostegno dei presunti errori e delle contraddizioni in cui era incorsa la decisione suddetta ha richiamato perfino la pregressa giurisprudenza di questa Corte che li avrebbe resi evidenti avallando la propria ricostruzione del sistema nonchè la soluzione data alla questione dalla Corte di appello. E perciò sostanzialmente denunciando sia un erroneo apprezzamento delle risultanze processuali controverse (del tutto travisate, secondo lo S.), sia una violazione della L. n. 219 del 1981 e dei principi di diritto che dalla stessa dovevano ricavarsi, che restano assolutamente al di fuori della mera svista percettiva considerata dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 4.

4. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con conseguente condanna del soccombente S. alla refusione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna lo S. al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore del comune di Capriglia in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2011

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