Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20389 del 05/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/10/2011, (ud. 07/07/2011, dep. 05/10/2011), n.20389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A.(nuova denominazione della FIAT AUTO

S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO, DIRUTIGLIANO DIEGO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.F.;

– intimato –

sul ricorso 3348-2008 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BONETTO SERGIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A.(nuova denominazione della FIAT AUTO

S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO, BONAMICO FRANCO,

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 173 7/2 006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/12/2006 R.G.N. 712/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato BRUNO COSSU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbimento ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Torino accoglieva la domanda del lavoratore in epigrafe, proposta nei confronti della società Fiat Group) Atomobiles S.p.A. -già Fiat Auto S.p.A.- diretta ad ottenere, previa declaratoria d’illegittimità del collocamento in GIGS, la condanna dì detta società al pagamento della differenza tra le retribuzioni contrattuali maturate ed il trattamento d’integrazione salariale.

La Corte territoriale poneva a base del decisum, innanzi tutto, il rilievo secondo il quale non poteva ritenersi che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, comma 5, aveva abrogato il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 il quale prevedeva l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità della rotazione”.

Riteneva, poi, la predetta Corte che la comunicazione inviata dall’azienda alle rsu risultava del tutto generica quanto ai criteri adottati per la scelta dei lavoratori da collocare in cigs e che, peraltro, nemmeno successivamente la stessa aveva compiutamente specificato i criteri di scelta seguiti.

Nè mancava di sottolineare la Corte dei merito che del tutto irrilevante risultava il successivo accordo in quanto il vizio di legittimità della procedura non poteva ritenersi suscettibile di successiva sanatoria.

Avverso questa sentenza la società in parola ricorre in cassazione sulla base di sette motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato, il quale propone ricorso incidentale condizionato assistito da un’unica censura cui replica, con controricorso, la società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando la impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente, deducendo violazione o fa sa applicazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1 ed al D.P.R. n. 218 del 2000, nonchè dell’art. 15 preleggi, pone, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto:

1.”se il combinato disposto della L. n. 59 del 1997, art. 20 e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 determina l’abrogazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, legge espressamente indicata nella L. b. 59 del 1997, art. 1, n. 90″;

2. “se la L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 citato deve poi ritenersi abrogato per incompatibilità e/o esaustività della nuova disciplina prevista dal D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 rispetto alla previgente, ai sensi dell’art. 15 preleggi”.

Con la seconda censura del ricorso principale la società, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1 ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, in relazione alla nozione di ragioni ostative alla rotazione (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione in relazione all’accordo con il Governo del 12 dicembre 2002 e all’accordo di programma, articola i seguenti quesiti:

1. “se il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 nel privilegiare La rotazione del personale e nel richiedere al datore di lavoro l’indicazione delle ragioni ostative alla rotazione fa riferimento ad esigenze ostative che non sono affatto di carattere assoluto o immodificabile, ma contingenti e mutevoli”;

2. “se la specificazione, in sede di esame congiunto, delle ragioni ostative alla rotazione, specificazione che risulta evidente nell’Accordo di programma, presentato dal Governo e sottoscritto dalla Fiat Auto Spa nel dicembre del 2002 costituisca fatto decisivo che non è stato preso in considerazione dalla Corte di Appello che, in merito, ha omesso qualunque motivazione”.

Con la terza critica del ricorso principale la società, prospettando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, in relazione al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.2002, nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione in relazione all’esame congiunto del 5.12.2002 redatto dal Ministero del Lavoro, articola i seguenti quesiti:

1. “se in base al D.P.R. n. 218, art. 2 l’esame congiunto costituisce una fase della più complessa procedura amministrativa ed il relativo verbale di esame ha natura di atto amministrativo, dotato di efficacia certificativi circa ciò che la p.a. attesta essere avvenuto in sua presenza”;

2. se, in base al D.P.R. n. 218, art. 2 il verbale di esame congiunto, provenendo da una p.a., determina una presunzione di legittimità della procedura, con inversione di onere della prova”.

Con il quarto motivo del ricorso principale la società, allegando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, comma 4, 5 e 6, dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura, articola i seguenti quesiti:

1. “se il combinato disposto della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8 e del D.P.R. n. 218, art. 2 richiede la comunicazione e l’esame congiunto dei criteri di scelta e delle modalità di rotazione, senza imporre al datore di lavoro la indicazione specifica e dettagliata d’informazioni circa le singole posizioni lavorative”;

2 “se il combinato disposto della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8 e del D.P.R. n. 218, art. 2 nel valorizzare il momento dell’esame congiunto impone di valutare la completezza delle informazioni fornite alle 00.SS sulla base sia della comunicazione che dell’esame congiunto”;

3.”se il contenuto dell’esame congiunto quale fatto controverso decisivo per la definizione del presente giudizio non sia stato adeguatamente approfondito in fase istruttoria e la mancata considerazione dello stesso non adeguatamente motivata, col risultato di non considerare nel complesso della procedura così come configurata dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, e del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 correttamente adempiuti dalla soc. Fiat Auto gli obblighi di comunicazione e informazione”.

Con la quinta censura del ricorso principale la società, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. e dell’art. 1375 c.c., nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003 ed inoltre insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, pone i seguenti quesiti:

1 “se costituisca violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. e dell’art. 1375 c.c., in relazione agli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003 nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., avere negato a detti accordi una valenza sanante di qualsiasi vizio di procedura e/o dei provvedimento di sospensione in GIGS”;

2.” Se costituisca violazione o falsa applicazione della L. n. 2223 del 1991, art. 1 – sia complessivamente considerato sia in particolare del comma 8 – e successive modificazioni avere negato agli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003, stipulati in fase di gestione di CIGS, un effetto sanante di eventuali vizi della procedura e/o del provvedimento di sospensione in CIGS”.

Con la sesta critica del ricorso principale la società, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1362 c.c., comma 2, in relazione alla regolare stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2003 – 22 luglio 2003 insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, pone i seguenti quesiti:

1. “se costituisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1362 c.c., comma 2, avere addossato alla società l’onere di dimostrare la regolare stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 20032;

2.” Se la corretta sottoscrizione e la regolare formazione collegiale della volontà delle RSU in relazione agli accordi sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003 quale fatto controverso decisivo per la definizione del presente giudizio non sia stato adeguatamente approfondito in fase istruttoria e la mancata considerazione dello stesso non adeguatamente motivata”.

Con la settima censura del ricorso principale la società, allegando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, comma 4, 5 e 6 e del D.P.R. n. 218 del 2000 in relazione alla posizione soggettiva del ricorrente e vizio di motivazione in ordine a tale punto, pone i seguenti quesiti: 1. “se il combinato disposto della L. 223, art. 1, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 218, art. 2, non consente di sanzionare mere carenze formali della comunicazione, fatta salva l’ipotesi della radicale assenza, a prescindere dall’esame e della valutazione della congruità della singola scelta rispetto alle ragioni della CIGS”;

2. “se la congruità, della singola scelta rispetto ai la CIGS fatto controverso e decisivo per il presente giudizio, non sia stata valutata dal giudice di appello che non ha fornito alcuna motivazione sul punto, con la conseguenza di ritenere illegittima la sospensione in CIGS cui è causa”.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato gli intimati assumendo violazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, formulano il relativo quesito di diritto. Assumono che incongruamente la Corte di merito ha ritenuto che non sussisteva, nell’ambito dell’esame congiunto, un obbligo di formalizzare per iscritto il programma che l’impresa intendeva attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati, dei criteri di scelta e delle modalità di rotazione, quantomeno sotto forma di verbalizzazione da parte dei pubblici funzionari presenti all’incontro.

Preliminarmente rileva il Collegio che il ricorso principale risulta ammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5.

Invero, questa Corte ha ritenuto (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. 23 settembre 2009 n. 20535 e Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 nonchè Cass. 24 febbraio 2011 n. 4530) che il requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, il quale sancisce che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, per essere assolto, “postula che sia specificato in quale sede processuale il documento è stato prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, allegare dove nel processo è rintracciabile”. La causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 6, ha chiarito inoltre questa Corte, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso.

Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, richiede che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso, che esso sia prodotto in sede di legittimità.

Applicando tali principi, che il Collegio in questa sede intende ribadire, al caso di specie emerge che risulta specificata in quale sede processuale sono rinvenibili, i documenti ed in particolare gli accordi sui quali il ricorso si fonda con la conseguenza che il ricorso è, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 cit., ammissibile ed è altresì, ex l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, procedibile.

I ricorso in parola è, inoltre, conforme alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. poichè in relazione ai singoli motivi vi è articolazione di una pluralità di quesiti, ciascuno dei qua i contiene un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. S.U. 31 marzo 2009 n. 7770).

Sempre via pregiudiziale rileva il Collegio che deve rigettarsi la richiesta, avanzata dalla parte controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., di dichiarare inammissibile il ricorso principale per l’intervenuta definizione del procedimento di repressione della condotta antisindacale, promosso dalle oo.ss. nei confronti della Fiat, per violazione degli oneri di informazione strumentali all’applicazione della cigs.

La difesa di parte controricorrente ha prodotto le sentenze di questa Corte n. 13240 del 9 giugno 2009 e n. 15393 dell’1 luglio 2009 che hanno respinto il ricorso proposto dalla Fiat per la cassazione della sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il comportamento antisindacale e dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione dei 31 ottobre 2002.

Il controcorrente ribadisce, quanto già sostenuto dinanzi a questa Corte in analoghi giudizi, che da tali sentenze deriverebbe, per un verso che l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 è configurabile come una particolare fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunce in questione, intervenute tra FIAT e le oo.ss., possono essere fatte valere ai sensi dell’art. 1306 c.c. da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore, e dall’altro che potendo l’art. 2909 c.c. essere letto nel senso che “il giudicato fa stato nei confronti delle parti”, gli effetti delle sentenze potrebbero estendersi nei confronti della parte controricorrente.

Come già affermato da questa Corte nei predetti analoghi giudizi, ed in questa sede va ribadito, che -fermo restando la conoscibilità dei precedenti di questa Corte – con la memoria ex art. 378 c.p.c. possono essere solo illustrate questioni già trattate nel ricorso e nel controricorso e non possono essere dedotte questioni di diritto nuove, seppure sotto la forma dell’eccezione di inammissibilità del ricorso. Conseguentemente, la prima questione è del tutto estranea al presente giudizio di legittimità e non può essere prese in considerazione.

Con la seconda questione si deduce,invece, nella sostanza l’esistenza di un giudicato esterno ci cui si chiede l’affermazione anche tra le parti. Il giudicato è, tuttavia, insussistente in quanto, anche in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2909 c.c., rimane fermo che le decisioni invocate non possono spiegare la stessa autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone – a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata, v. per tutte Cass. 27.01.06 n. 17 60).

Tanto premesso rileva il Collegio che i motivi del ricorso principale, che vanno trattati unitariamente per la loro stretta connessione logico-giuridica, sono in parte infondati ed in parte assorbiti alla stregua dei principi già enunciati da questa Corte in analoghe controversie (cfr. Cass. 28 novembre 2008 n. 23464,Cass. 9 giugno 2009 n. 13240, Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, Cass. 2010 n. “11254 e Cass. 31 gennaio 2011 n. 2155).

Va in primo luogo ribadito il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora i datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi, tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata” (v. per tutte Cass. S.U. 11 maggio 2000 n. 302, che ha chiarito che la violazione dell’obbligo della comunicazione, da un lato, integra una vera e propria ipotesi di condotta antisindacale e, dall’altro, “investendo un elemento essenziale (e non meramente formale o marginale) della complessa fattispecie, è causa diretta di illegittimità del provvedimento finale, perchè preclude la mancata verifica del corretto esercizio del potere del datore di lavoro e impedisce il perseguimento dello scopo previsto dalla legge (la tutela della posizione dei singoli lavoratori coinvolti nella procedura), di tal che “l’inosservanza della suddetta garanzia procedimentale, implicante la mancata attuazione del principio di trasparenza, incide direttamente sul medesimo provvedimento finale di concessione del beneficio”.) Ai fini, quindi, della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratoci collocati in CIGS l’azienda è tenuta a comunicare i motivi per i quali non vengano adottati i meccanismi di rotazione ed i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e “la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori” (v. Cass. 19 agosto 2003 n. 12137), per cui questi ultimi possono agire “per ottenere il ripristino del rapporto ed il pagamento della retribuzione piena e non integrata, restando tale diritto insensibile alle vicende interessanti il piano delle relazioni sindacali e gli eventuali accordi intervenuti in quella sede” v. Cass. 4 maggio 2009 n. 10236).

In particolare poi, per quanto riguarda i rapporto tra la L. n. 223 del 1991 e il D.P.R. n. 223 del 2000 la giurisprudenza di questa Corte è uniformemente orientata nell’affermare che la disciplina del D.P.R. n. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultimo testo.

Il menzionato D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle prescrizione del combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 – riguardanti l’obbligo per i 1 datore di lavoro di comunicare l’avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali,i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (cfr. Cass. 28 novembre 2008 n. 28464 cit. e da ultimo Cass. 31 gennaio 2011 n. 2155 cit.).

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (L. n. 223, art. 1, comma 7 e 8), precisando, altresì, che la normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione del datore di lavoro di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma del D.P.R. n. 218, art. 2, sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri del datore di lavoro con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. 9 giugno 2009 n. 13240 cit. e 1 luglio 2009 n. 15393 cit., entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle oo.ss. nei confronti di Fiat con il riferimento alla procedura di cigs in esame). Sulla base di queste considerazioni può ritenersi corretto, come già affermato da questa Corte in analoga fattispecie (V. Cass. 31 gennaio 20.11 n. 2155 cit.) l’assunto del giudice di merito che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 – secondo il quale la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare, ai sensi della L. n. 164 del 1975, art. 5, alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.

Il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si contesta la mancata assegnazione di “valore asseverativo della regolarità della procedura” al verbale del Ministero del Lavoro del 5.12.02, rimane assorbito.

E’, difatti, consequenziale che ove si ritenga che i criteri di individuazione e le modalità della rotazione debbano essere predeterminati (e cioè, indicate ab initio) nella comunicazione di avvio della procedura, è superfluo scrutinare l’asserito valore asseverativo di un documento che dovrebbe certificare che quell’indicazione si è perfezionata, invece, solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto. Il quarto motivo, formulato a contestazione della ritenuta insufficienza dei criteri di scelta fissati nella comunicazione del 31 ottobre 2002 di avvio della procedura, è infondato.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha precisato, invero, che, nonostante la L. n. 223, art. 1, comma 7, preveda che oggetto della comunicazione debbano essere “i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere …”, tali criteri debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero, dalla “idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri”, precisandosi che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (v. Cass. 1 luglio 2009 n. 153 93 cit.).

Tale specificità non è stata riscontrata dal giudice di merito, il quale ha ravvisato nella comunicazione una mera clausola di stile, dalla quale non poteva evincersi il percorso aziendale che aveva portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere.

Trattasi di valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata, non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

La società del resto in proposito si limita a prospettare la propria valutazione delle risultanze di causa, sollecitando una revisione del ragionamento decisorio, inammissibile in questa sede (v. Cass. 7 giugno 2005 n. 11789, Cass. 6 marzo 2006 n. 4766).

Con il quinto e sesto motivo la società ricorrente sostiene che gli accordi del 18 marzo 2003 e 20 luglio 2003 avrebbero sanato ogni eventuale vizio della procedura.

Non può al riguardo che ribadirsi quanto in proposito osservato da Cass. 31 gennaio 201 n. 2155 che già si è espressa su analoga questione.

In particolare va rimarcato che l’accordo intervenuto a procedura già iniziata e quando molte centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa integrazione -si è limitato a formulare un generale sistema di rotazione a partire dall’aprile 2003, senza peraltro indicare il procedimento di individuazione dei soggetti interessati, il che di per sè esclude quel carattere esaustivo sopra rilevato.

Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in sede di accordo non potevano soddisfare l’esigenza cui la preventiva comunicazione è preposta, e cioè quella di consentire, non solo alle oo.ss. di confrontarsi sul punto, ma anche ai lavoratori coinvolti, nella procedura – tanto prima che dopo il raggiungimento dell’accordo – di verificare se l’utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro fosse coerente col programma dì superamento della crisi adottato e, quindi, di tutelare la loro posizione individuale, sottoponendo a controllo il potere del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. LO maggio2010 n. 11254).

Deve, quindi, ritenersi che il giudice di merito si è attenuto ad una lettura della norma basata sul principio consolidato (dopo l’intervento delle S.U., con la sentenza n. 302 dell’11.5.2000), innanzi richiamato, secondo cui, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qua,ora il datore di lavoro ometta di comunicare alle oo.ss., ai fini dell’esame; congiunto, gli specifici criteri, eventualmente anche diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi e che tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.

Il settimo motivo, con cui si sostiene che il giudice di appello, anche in presenza di violazioni procedurali di carattere formale, avrebbe dovuto pur sempre valutare nel merito se la scelta di collocare in cigs il lavoratore fosse coerente con i criteri indicati nella comunicazione iniziale, va respinto in quanto, come già ritenuto da questa Corte nella più volte richiamata sentenza n. 2155 del 2011, l’accertata inidoneità dei criteri indicati rende superflua ogni indagine in tal senso.

In conclusione il ricorso principale va rigettato e quello incidentale condizionato dichiarato assorbito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi, rigetta quello principale e dichiara assorbito quello incidentale.

Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 2.500,00(duemilacinquecento/00) per onorario oltre spese generali, IVA e CPA attribuite all’avv.to Bruno Cossu anticipatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2011

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