Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20388 del 01/08/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20388 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 17638-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.p.A.

97103880585,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e
difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2018
contro

579

PALERMO GIOVANNA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 703/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 01/08/2018

di

CATANIA,

depositata

il

12/07/2012

r.g.

n.

1529/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/02/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO
NEGRI DELLA TORRE;

Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
l’accoglimento del settimo motivo del ricorso;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale
Avvocato GAETANO GRANOZZI.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

R.G. 17638/2013

Fatti di causa
1. Con sentenza n. 703/2012, depositata il 12 luglio 2012, la Corte di appello di Catania
confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Ragusa aveva
dichiarato, con le pronunce conseguenti e con la condanna della datrice di lavoro al

termine apposto al contratto stipulato, relativamente al periodo 1 luglio – 30 settembre
2002, da Giovanna Palermo e dalla società Poste Italiane S.p.A. “per esigenze tecniche,
organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di
riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul
territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti
all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonché
all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre
2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002, congiuntamente alla necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a
tutto il personale nel periodo estivo”.
2. La Corte, escluso che il rapporto di lavoro si fosse risolto per mutuo consenso e
ritenuta applicabile alla fattispecie la disciplina di cui al d.lgs. n. 368/2001, osservava
come la società appellante non avesse dimostrato la sussistenza in concreto delle ragioni
poste a fondamento e giustificazione del termine; richiamata, quindi, la disciplina
sopravvenuta di cui all’art. 32 I. n. 183/2010, condannava Poste Italiane al pagamento
della indennità risarcitoria, conseguente alla conversione del rapporto, nella misura di 3,5
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre agli interessi legali sulle somme
via via rivalutate, a decorrere dalla scadenza del rapporto.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza Poste Italiane con sette motivi,
assistiti da memoria.

pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di costituzione in mora, la nullità del

4. La lavoratrice è rimasta intimata.
5. La causa, chiamata per la decisione all’adunanza camerate del 30 ottobre 2017, è
stata rinviata a nuovo ruolo per consentire la trattazione in pubblica udienza.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in
relazione agli artt. 1372, 1175, 1375 e 2697 cod. civ., la società censura la sentenza di
appello per avere escluso che il rapporto si fosse risolto per mutuo consenso, sul rilievo
1

tu.-;

della inidoneità, a tal fine, della semplice inattività della parte, ove non accompagnata da
ulteriori elementi, senza considerare che nel caso concreto l’unicità del rapporto e la sua
breve durata (2 mesi), unitamente alla prolungata inerzia della lavoratrice, costituivano
elementi di rilievo determinante a sostegno dell’opposta soluzione; censura, inoltre, la
sentenza per aver posto a carico del datore di lavoro non solo la prova dei fatti costitutivi
della fattispecie risolutiva invocata ma anche la prova negativa della sussistenza di
circostanze impeditive del suo perfezionamento, essendo onere del lavoratore provare le

fondata sul prolungato disinteresse delle parti.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Si deve innanzitutto ribadire che nel giudizio introdotto per il riconoscimento di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quale conseguenza della nullità del termine
apposto al contratto, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo
consenso del rapporto, l’onere di provare le circostanze, dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di voler porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo (Cass. n. 2279/2010 e successive conformi).
2.2. Si deve, inoltre, confermare l’orientamento, per il quale, in tema di contratti a
termine, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo
scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune
da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità
(Cass. n. 29781/2017).
2.2.1. Nel caso in esame, la Corte di merito ha preso in considerazione il comportamento
delle parti successivo alla scadenza del termine e, con motivazione adeguata, posto in
rilievo il concreto e oggettivo interesse del lavoratrice alla ripresa della funzionalità del
rapporto, sottolineando come la datrice di lavoro fosse stata dalla medesima costituita in
mora già con lettera 17/6/2003 e, pertanto, a meno di un anno dal venir meno delle
prestazioni.
3. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,
414 cod. proc. civ. e 1421 cod. civ., Poste Italiane S.p.A. censura la sentenza impugnata
per avere ritenuto, pur in mancanza di specifica contestazione da parte della lavoratrice,
di poter valutare il profilo della ricorrenza, in concreto, delle ragioni tecnico-organizzative
correlate all’attuazione dei processi di mobilità interna all’azienda e la situazione di
carenza di organico collegata alla fruizione delle ferie da parte del personale in servizio,
nell’ambito dell’ufficio cui la lavoratrice stessa era stata applicata.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Come recentemente precisato da questa Corte, nella linea tracciata dalle Sezioni
Unite con la sentenza n. 26242/2014, il giudice, davanti al quale sia stata proposta
domanda di accertamento della nullità di un contratto o di una singola clausola di esso,
ha il potere-dovere di rilevare d’ufficio – previa formazione del contraddittorio sul punto
2

circostanze atte a contrastare la presunzione (di scioglimento del vincolo contrattuale)

(nella specie, sviluppatosi già nel primo grado di giudizio) – l’esistenza di una causa di
nullità diversa da quella prospettata, che abbia carattere portante ed assorbente e che
emerga dai fatti allegati e provati o comunque dagli atti di causa, salvo che non si tratti
di nullità a regime speciale: Cass. n. 16977/2017 (ord.).
5. Con il terzo motivo, la ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art.
1 d.lgs. n. 368/2001 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., censura la sentenza
impugnata, nella parte in cui ha ritenuto non idonea, ai fini dell’assolvimento dell’onere
probatorio, la richiesta di prova testimoniale articolata dalla società convenuta, avendo

carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo” alle sole situazioni relative a un singolo
ufficio o a una singola unità produttiva, e non anche alle situazioni interessanti l’azienda
nel suo insieme, di conseguenza travalicando l’ampia formulazione della norma.
6. Il motivo è inammissibile.
6.1. La ricorrente non si è invero attenuta, nella formulazione del motivo in esame, al
consolidato principio, per il quale nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa
applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., giusta il
disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., deve essere, a pena
d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto, che si
assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto
contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si reputino in contrasto con le
norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente
una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito
alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il
fondamento della denunziata violazione: cfr., fra le molte, Cass. n. 16038/2013 (ord.).
7. Con il quarto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116,
244, 253 e 437, comma 2°, cod. proc. civ., la società ricorrente censura la sentenza per
non avere disposto, sul rilievo della sua genericità, il cap. 32 articolato nella memoria di
primo grado, sebbene lo stesso potesse fornire adeguata dimostrazione delle concrete
esigenze sottese alla singola assunzione, e per non avere provveduto d’ufficio ad attività
istruttoria.
8. Il motivo è inammissibile.
8.1. Esso, infatti, non si conforma al principio di diritto, per il quale la censura contenuta
nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è
inammissibile qualora con essa il ricorrente si dolga della valutazione rimessa al giudice
del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della
prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che
avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, né adempiere agli oneri di
allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la
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erroneamente posto alla base di tale valutazione il ristretto riferimento delle “ragioni di

tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione (cfr., fra le molte conformi,
Cass. n. 8204/2018).
8.1.1. In particolare, la ricorrente non ha dimostrato la decisività del riportato capitolo di
prova testimoniale (di cui alla memoria di primo grado: n. 32), limitandosi in proposito a
rilievi operanti sul diverso piano dell’ammissibilità e della rilevanza del mezzo istruttorio e
sul piano dell’attendibilità, in generale, dei testimoni indicati (in quanto titolari di
posizioni, all’interno dell’organizzazione aziendale, che li porrebbero in grado di avere

8.2. Quanto al profilo relativo alla mancata attivazione dei poteri istruttori d’ufficio (art.
437), si osserva che la società non specifica se ne avesse tempestivamente invocato
l’esercizio, né se avesse indicato l’oggetto possibile di tali poteri (Cass. n. 22534/2014;
Cass. n. 6023/2009), in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione; in ogni caso, deve richiamarsi l’orientamento secondo cui il mancato esercizio
dei poteri istruttori del giudice, anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è
soggetto a controllo in sede di legittimità se non si traduce in un vizio – non configurabile
nel caso de quo

di illogicità della sentenza.

9. Con il quinto motivo, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, la società censura la sentenza impugnata per
avere, da un lato, ritenuto che l’esigenza di sostituzione del personale assente per ferie
(di cui alla seconda parte della causale) costituisse ragione concomitante e concorrente
con quella tecnico-organizzativa (di cui alla prima parte) e, tuttavia, ritenuto, dall’altro,
che la prova della “concomitante” esigenza fosse da individuarsi nella verifica della
sussistenza di uno stretto rapporto numerico tra numero di giornate di assenze per ferie
(del personale stabile) e numero di giornate lavorate (del personale assunto a termine).
10. Il motivo è infondato.
10.1. Premesso che l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un
termine ad un unico contratto di lavoro non è in sé causa di illegittimità del termine
stesso per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice (come più volte
ribadito da questa Corte: cfr., fra le molte, Cass. n. 16396/2008, già citata in sentenza),
resta che la valutazione della causale sostitutiva come “ragione concomitante” con quella
di natura tecnico-organizzativa non fa venire meno la necessità della valutazione di
merito della effettività di ciascuna di esse, né comporta l’adozione di criteri che
definiscano in maniera uniforme il contenuto dell’onere della prova, fini del riscontro di
tale effettività; con la conseguenza della piena legittimità di un criterio, quale applicato
nel caso in esame per la causale sostitutiva, consistente nella correlazione tra numero di
assenze per ferie dei dipendenti a tempo indeterminato e numero di giornate lavorate dai
dipendenti presenti a termine nel periodo di esecuzione del contratto dedotto in giudizio
(cfr. sentenza, p. 4, ove un raffronto tra dati numerici dell’una e dell’altra classe, sulla
scorta delle risultanze della consulenza d’ufficio).
4

conoscenza dei fatti: cfr. ricorso, p. 28).

11. Con il sesto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 d.lgs. n.
368/2001, 12 Preleggi, 1362 ss. e 1419 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza per
avere dichiarato la nullità dell’intero contratto e non della sola clausola di apposizione del
termine.
12. Il motivo è infondato.
12.1. Al riguardo si osserva che l’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 ha confermato il principio
generale, secondo il quale il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo

sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante
l’apposizione del termine ‘per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo’. Ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in
assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi
generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina
contrattuale, all’illegittimità del termine, ed alla nullità della clausola di apposizione dello
stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola, pur se eventualmente
dichiarata essenziale, e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(Cass. n. 7244/2014).
13. Con il settimo motivo, infine, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 32,
comma 5, I. n. 183/2010 e dell’art. 429 cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza
per averla condannata al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria sull’indennità
risarcitoria, sebbene quest’ultima non rientrasse nella categoria dei crediti di lavoro, ed
inoltre per avere disposto la decorrenza degli accessori dalla scadenza del termine
originariamente apposto al contratto, anziché dalla data di emanazione della sentenza di
conversione del medesimo.
14. Il motivo risulta parzialmente fondato, nei termini seguenti.
14.1. E’ stato invero affermato che l’art. 429, comma 3, cod. proc. civ., in tema di
rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, trova applicazione anche nel caso
dell’indennità di cui all’art. 32 I. n. 183 del 2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti
connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva, fermo
restando che alla natura di liquidazione forfettaria e omnicomprensiva dell’indennità
consegue la decorrenza, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, dalla data
della sentenza che ha disposto la conversione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (Cass. n. 5344/2016) e non da quella, eventualmente successiva, che ha
pronunciato sull’indennità, determinandone l’ammontare (Cass. n. 7301/2018).
14.2. Ne consegue che il motivo deve essere accolto con riferimento alla sola decorrenza
degli accessori, i quali prendono a maturare, diversamente da quanto ritenuto dal giudice
di appello, non dalla data di scadenza del termine apposto alla durata del rapporto ma
dalla sentenza di primo grado, con la quale è stata dichiarata la nullità del termine finale
e di conseguenza disposta la conversione del contratto.
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indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel

15. Accolto, in parte e nei termini precisati, il settimo motivo, la causa può essere decisa
nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
16. Deve, pertanto, dichiararsi che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, sulla
indennità di cui all’art. 32 I. n. 183/2010, decorrono dalla sentenza di primo grado del
Tribunale di Ragusa.
17. Restano ferme le statuizioni sulle spese dei gradi di merito.
18. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, atteso che

soccombente.

p.q.m.

La Corte accoglie in parte il settimo motivo, rigettati gli altri; cassa l’impugnata sentenza
in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi
legali e la rivalutazione monetaria sull’indennità ex art. 32 I. n. 183/2010 dalla sentenza
di primo grado; conferma le statuizioni sulle spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2018.

la lavoratrice è rimasta intimata e che la società ricorrente è risultata nella quasi totalità

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