Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20385 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 11/10/2016), n.20385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8207/2014 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VAL

GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., R.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA ACILIA 4, presso lo studio dell’avvocato FABIO RAMPIONI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO DI

GIROLAMO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6714/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato FABIO RAMPIONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta

infondatezza del ricorso, condanna aggravata alle spese e

statuizione sul C.U..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.F. ricorre per cassazione nei confronti di P.A. ved. R. e dell’avv. R.F., articolando tre motivi avverso la sentenza n. 6714 del 10.12.2013/06.02.2014, con la quale la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile, per omessa integrazione del contraddittorio nel termine fissato, l’appello proposto dal S. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11548/2012, che aveva rigettato la domanda del medesimo odierno ricorrente, quale conduttore dell’immobile in (OMISSIS), di accertamento del diritto a percepire dai locatori P. e R. l’indennità per la perdita di avviamento commerciale e aveva, invece, accolto la domanda riconvenzionale della P. e del R. di condanna al risarcimento del danno da ritardato rilascio in misura pari alla penale contrattualmente pattuita e, quindi, per la complessiva somma di Euro E 193.049,00, con i consequenziali provvedimenti.

La Corte di appello ha evidenziato che:

con ordinanza in data 5/8 febbraio 2013 aveva disposto il rinnovo della notificazione dell’atto di appello in favore della parte costituita P.A., cui l’impugnazione era stata notificata presso il difensore costituito ad un indirizzo diverso dallo studio e dal domicilio eletto e ordinato l’integrazione del contraddittorio nei riguardi del litisconsorte necessario R.F., al quale ultimo l’atto era stato notificato con le medesime modalità, ma che non si era costituito;

all’udienza del 10.12.2013 la parte appellante aveva dichiarato di non avere ottemperato all’ordinanza, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., l’impugnazione andava dichiarata inammissibile.

Hanno resistito P.A. ved. R. e l’avv. R.F., depositando controricorso e chiedendo: di dichiarare l’improcedibilità, nullità e annullabilità del ricorso notificato presso lo studio di uno dei difensori di appello, deceduto al momento della notificazione; di rigettare il primo e il secondo motivo di ricorso per cassazione (non opponendosi, invece, al terzo); di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica di Roma e al C.d.O. degli avvocati di Roma, per avere l’avv. De Angelis addotto che P.A. ved. R. è la madre dell’avv. R.F.; di condannare S.F. al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

E’ stata depositata memoria da parte dei resistenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va, innanzitutto, superata l’eccezione pregiudiziale di inesistenza della notificazione del ricorso, formulata da parte resistente in considerazione dell’avvenuta notifica del ricorso presso lo studio dell’avv. Elisabetta Pigliapoco, deceduta nelle more.

Va osservato al riguardo che effettivamente il ricorso risulta inoltrato a mezzo posta sia ad P.A., ved. R. (già costituita in appello – come si legge nell’epigrafe della sentenza di appello – “in Roma, piazza Acilia 4, presso lo studio dell’avv. R. e dell’avv. Elisabetta Pigliapoco”), sia all’avv. R. (non costituito in appello) presso lo studio dell’avv. Elisabetta Pigliapoco, in piazza Acilia, Roma, con la precisazione quanto all’avv. R., che detto studio “nel contempo è anche il proprio studio”; va, altresì, precisato che non è lecito dubitare, sulla base delle stesse allegazioni di parte resistente, che il ricorso sia pervenuto all’indirizzo indicato; infine, non è contestato – e, anzi, se ne ha conferma nell’elezione di domicilio effettuata ai fini giudizio di cassazione – che in Roma, piazza Acilia, n. 4 trovasi lo studio dell’avv. R. (e della defunta avv. Elisabetta Pigliapoco).

Ciò posto, è assorbente la considerazione che la notificazione nella quale, avuto riguardo al sicuro collegamento del luogo della notifica con entrambi gli intimati non si ravvisano profili di inesistenza materiale e/o giuridica – abbia raggiunto il proprio scopo, tant’è che i suddetti intimati si sono costituiti con controricorso notificato entro il termine di cui all’art. 370 c.p.c..

2. Con i motivi di ricorso si denuncia:

2.1. violazione o falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, art. 160 c.p.c., ultimo inciso, correlativa violazione e/o falsa applicazione dell’art. 331 cpv. c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 4); al riguardo parte ricorrente deduce che non ricorrevano i presupposti per l’ordine di integrazione del contraddittorio, in quanto la notifica dell’atto di appello nei confronti dell’avv. R. in un luogo dove aveva abitato con i genitori era solo nulla e nonialesistente e perchè l’avv. R. si era costituito in giudizio, avendo assunto, unitamente all’avv. Pigliapoco la difesa della madre, P.A., ved. R.;

2.2. violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, art. 1384 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 80 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3): mancato esame di fatti decisivi, mancanza totale di ogni motivazione sulle censure e sulle specifiche richieste istruttorie, volte a ribadire la piena fondatezza delle domande giudiziali della Pigliapoco – S., nonchè la palese infondatezza delle domande riconvenzionali delle controparti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5);

2.3. violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 436 c.p.c., comma 3, art. 447 bis c.p.c., comma 1 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) per non avere esaminato l’appello incidentale della P..

3. I suddetti motivi sono manifestamente infondati.

3.1. Quanto al primo motivo si osserva che tutto l’impegno difensivo è orientato a dimostrare che la notificazione dell’atto di appello eseguita nei confronti dell’avv. R.F. presso il domicilio dell’altra parte, P.A. ved. R. non era inesistente, ma nulla; e ciò sul presupposto, in fatto, che i due appellati fossero madre e figlio (circostanza, questa, documentalmente smentita dalla controparte) e che l’avv. R., anni prima, aveva lo stesso domicilio, nonchè per la considerazione che la costituzione dell’avv. R., quale legale della P., avesse sanato tale nullità. Senonchè – esclusa, perchè priva di qualsiasi fondamento logico e giuridico, la tesi che la costituzione, in nome e per conto della cliente, valesse come costituzione a nome proprio – la questione se ricorresse un’ipotesi di inesistenza o di nullità della notificazione si svuota di ogni significato, dal momento che, nell’una come nell’altra ipotesi, l’appellante era, comunque, tenuto a integrare il contraddittorio nei confronti dell’avv. R., in proprio. E non avendolo fatto, è andato incontro all’inevitabile sanzione dell’estinzione.

2.3. Il secondo e il terzo motivo sono manifestamente infondati, dal momento che la Corte territoriale non avrebbe mai potuto pronunciarsi sui motivi di appello hinc et inde dedotti, richieste istruttorie ecc. in una situazione di contraddittorio non integro e di inosservanza del termine di integrazione del contraddittorio. E tanto vale evidentemente anche per l’appello incidentale (a tacere della carenza di interesse del ricorrente a denunciare l’omessa pronuncia sul punto); e ciò sebbene parte controricorrente abbia dichiarato di non opporsi all’accoglimento di detto motivo (v. pag. 15 controricorso). Invero è appena il caso di rammentare che l’ordine di integrazione del contraddittorio viene dato alla parte interessata e che, nella specie, se del caso, anche l’appellante incidentale avrebbe potuto provvedere a integrare il contraddittorio, ove interessata alla prosecuzione del giudizio e, in specie, all’esame della propria impugnazione.

In definitiva il ricorso va rigettato.

3. Vanno rigettate tutte le altre richieste di parte resistente e, in particolare: la richiesta di “trasmissione” del ricorso alla Procura della Repubblica, non emergendo dallo stesso ricorso ipotesi di reato perseguibili d’ufficio (che peraltro i controricorrenti non individuano); la richiesta di “trasmissione” dello stesso ricorso al C.O.A. al quale, se del caso, potrà rivolgersi il legale dei resistenti a tutela dei propri interessi; l’istanza di condanna ex art. 96 c.p.c., della quale non si ravvisano i presupposti.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.300,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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