Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20383 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 11/10/2016), n.20383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16260/2013 proposto da:

LAMARFER DI S.A. & C. SAS, (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante p.t. Sig.ra S.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. CALAMATTA 16, presso lo studio

dell’avvocato DE FALCO LUDOVICA, rappresentata e difesa dagli

avvocati PASQUALE SICIGNANO, PASQUALE MANFREDI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DG RECYCLING SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

Sig.ra R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 101, presso lo studio dell’avvocato GILDA LAVIANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato SEVERINO NAPPI giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1686/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato PASQUALE MANFREDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso (Cassazione sent. n. 4849/91).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.a.s. LA.MAR.FER. ricorre per cassazione nei confronti della s.r.l. D.G. Recycling, articolando due motivi, avverso la sentenza n. 1686 in data 30 aprile 2013 con la quale la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello principale dell’odierna ricorrente, confermando la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, sez. distaccata Castellammare di Stabia, n. 115/2012 per la parte in cui aveva dichiarato la nullità, per impossibilità giuridica dell’oggetto, della locazione inter partes e ha invece accolto l’appello incidentale della s.r.l. D.G. Recycling, condannando la s.a.s. LA.MAR.FER. alla restituzione della somma di Euro 61.600,00, quali canoni di locazione indebitamente corrisposti nei mesi di (OMISSIS), oltre interessi legali dal pagamento al saldo.

Ha resistito la s.r.l. D.G. Recycling, depositando controricorso e deducendo l’inammissibilità del ricorso.

E’ stata depositata memoria da parte della ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello – confermata la statuizione del primo giudice dichiarativa della nullità del contratto di locazione per impossibilità giuridica dell’oggetto (e ciò per essere stato convenuto, con carattere di essenzialità, l’uso del capannone locato come deposito temporaneo di materiali inerti di risulta non organici ed inodori provenienti dalla raccolta differenziata e per essere, invece, detto capannone sito in area a rischio alluvioni, con divieto assoluto di collocare impianti che effettuano unicamente l’operazione di messa a dimora di rifiuti non pericolosi) – ha accolto la domanda di restituzione dei canoni di locazione dell’odierna parte resistente, per la considerazione che la mancanza della causa adquirendi, conseguente alla nullità del contratto, comportava l’applicazione dei principi di cui all’art. 2033 c.c..

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento agli artt. 1418 e 2033 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la decisione è illegittima in quanto non correlata alla concreta applicabilità del principio, secondo il quale la nullità del contratto, per il fatto stesso di essere nullo è da considerarsi come improduttivo di effetti, con conseguente diritto per ciascuna parte di ripetere la prestazione effettuata. A parere della ricorrente la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare che il principio in questione non è applicabile incondizionatamente, ma trova un limite nel caso in cui una prestazione sia materialmente non ripetibile, altrimenti operandosi un inammissibile arricchimento senza causa di una parte in danno dell’altra.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., sul presupposto che, per le ragioni esposte nel motivo precedente, l’appello incidentale non avrebbe potuto essere accolto, con conseguente compensazione delle spese per reciproca soccombenza.

2. Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. Relativamente al primo motivo si osserva che la decisione impugnata è conforme a principio consolidato, secondo cui, qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi – tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente – l’azione accordata della legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo (ex multis: Cass. 07 febbraio 2011, n. 2956 cit. anche nella sentenza impugnata; Cass. 15 aprile 2010, n. 9052).

Assume la ricorrente che il suddetto principio non troverebbe applicazione quando la controprestazione (come quella effettuata, nella specie da parte locatrice, con la concessione del godimento del bene) non sia ripetibile.

2.2. Il motivo – al di là e a prescindere dai non secondari profili di inammissibilità per la genericità della censura – è manifestamente infondato.

Escluso che un principio di tal fatta sia evincibile dall’art. 2033 c.c. o dall’art. 1118 c.c., la cui violazione e/o falsa applicazione è assertivamente dedotta nella rubrica del motivo, rileva il Collegio che, a seguire la tesi della ricorrente, dovrebbe opinarsi che la nullità non produca effetto per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, solo perchè una delle due prestazioni non è suscettibile di restituzione.

Senonchè l’eccezionalità delle ipotesi legislative in cui, nonostante il venire meno del vincolo contrattuale è prevista l’irripetibilità delle prestazioni eseguite – è il caso, ad es. dell’art. 2126 c.c., il quale espressamente prevede, in funzione di precise esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, che “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa” – è la più sicura smentita dell’assunto di parte ricorrente.

In particolare, con specifico riferimento ai contratti ad esecuzione continuata (come la locazione che qui ci occupa) o periodica, l’esigenza di rispetto dell’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni è normativamente prevista solo per l’ipotesi di risoluzione per inadempimento, giacchè l’art. 1458 c.c., espressamente sottrae i suddetti contratti all’effetto retroattivo, con una norma che – proprio per la sua eccezionalità – non è suscettibile di essere estesa all’ipotesi che qui ricorrere di insussistenza ab origine della causa adquirendi.

2.3. Nella sostanza la ricorrente, lamentando l’indebito arricchimento della controparte in ragione della riconosciuta ripetibilità dei canoni e, nel contempo, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., sovrappone e confonde principi e istituti del tutto diversi. Invero il fatto che una delle prestazioni, posta in essere in base a un negozio risultato nullo, sia non ripetibile non significa che, per tale ragione, sia possibile trattenere l’equivalente monetario stabilito dalle parti, posto che, se il negozio è nullo, “il pagamento” non è dovuto, non essendo nè valide nè efficaci le determinazioni delle parti circa il valore economico della (contro)prestazione. Quest’ultimo può venire in rilievo, in un’ottica diversa (in funzione dell’eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di un’utilità economica da parte del soggetto con correlativa diminuzione di altro soggetto) nei limiti dell’arricchimento e dell’impoverimento, della parte che, rispettivamente, abbia ricevuto o effettuato la prestazione di un contratto nullo; ma ciò può avvenire, non già sulla base della determinazione fattane dalle parti con il contratto nullo, bensì in esito ad una valutazione oggettiva dell’utilità conseguita, entro i limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido. Invero l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale (cfr. Cass. 07 novembre 2014, n. 23780).

2.4. Le considerazioni che precedono valgono a prendere le distanze dal non recente e per il vero isolato precedente (Cass. 03 maggio 1991, n. 4849) richiamato nella memoria di parte ricorrente, pur non sottacendosi che, nella fattispecie ivi esaminata, la pretesa di ritenere i canoni di locazione è stata ritenuta implicita nella prospettazione dell’attore (locatore) che aveva agito per il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno; mentre nel caso all’esame sussistenti o meno, nella specie, gli estremi dell’indebito arricchimento (non è questa la sede per allegarlo e verificarlo) – è assorbente la considerazione che nessuna domanda ex art. 2041 c.c., risulta essere stata svolta da parte locatrice.

D’altra parte la rilevata eccentricità dei presupposti dell’arricchimento senza giusta causa rispetto all’eccezione di irripetibilità della prestazione contrattuale non consentirebbe neppure di ritenere implicita nella seconda la deduzione degli estremi del primo; e ciò a tacere della circostanza che è stata omessa qualsiasi specifica indicazione circa il “se”, il “come” e il “quando” siffatta eccezione venne proposta.

3. Al rigetto del primo motivo non può che seguire analoga sorte per il secondo motivo, posto che esso è stato formulato sul presupposto della fondatezza del precedente.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.800,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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