Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20377 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, (ud. 22/06/2016, dep. 11/10/2016), n.20377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1621/2013 proposto da:

C.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA POMPEO TROGO 21, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA

CASANOVA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO PANICO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA ASSICURAZIONI SPA, in persona dei Procuratori speciali,

Dott. R.H.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCUMVALLAZIONE CLODIA 167, presso lo studio dell’avvocato

ANTONELLA SANSONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO

CARDAROPOLI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.S., P.M., P.F.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 248/2012 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI

MARANO DI NAPOLI, depositata il 15/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 23 gennaio – 15 marzo 2012 il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, dichiarava inammissibile l’appello proposto da C.R. avverso sentenza n. 2202/2005 con cui il giudice di pace di Marano aveva rigettato per difetto di prova la sua domanda nei confronti di P. Frutta s.a.s. ed Assitalia Assicurazioni S.p.A. per risarcimento di danni che egli assumeva di avere patito da sinistro stradale. C.R. aveva proposto l’appello fondandolo sul fatto che il giudice di pace aveva deciso la sua domanda respingendola nel merito anzichè dichiararne l’improponibilità L. n. 990 del 1969, ex art. 22, applicabile ratione temporis; ma il Tribunale dichiarava l’appello inammissibile per difetto di interesse e non corrispondenza al modello legale di impugnazione, non ricorrendo le ipotesi ex artt. 353 e 354 c.p.c. e non avendo l’appellante addotto nel gravame anche questioni di merito.

2. Ha presentato ricorso C.R. sulla base di un unico motivo, denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 353 e 354 c.p.c., nonchè della L. n. 990 del 1969, art. 22. Si difende con controricorso Generali Business Solutions S.p.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. L’unico motivo del ricorso sostiene che il Tribunale non avrebbe considerato l’ordine logico delle questioni e avrebbe violato la congruità logica dei motivi d’appello. Il “vantaggio obiettivo” che l’accoglimento dell’appello gli avrebbe fornito sarebbe individuabile nella possibilità per lui “di non vedere leso il suo diritto ad agire” per il risarcimento del danno, poichè la dichiarazione di improcedibilità L. n. 990 del 1969, ex art. 22, consente la riproposizione della domanda. Il ricorrente richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 111/2012 laddove afferma che, se l’azione è stata dichiarata improponibile D.Lgs. n. 209 del 2005, ex artt. 145 e 148, non è precluso al danneggiato riproporre, nel rispetto di tali disposizioni, la domanda risarcitoria entro i termini di prescrizione del diritto, che sono interrotti anche dalla domanda improponibile. E nell’art. 145, appunto è stato riversato il contenuto della L. n. 990 del 1969, art. 22, abrogata e così sostituita. Il giudice non avrebbe dunque considerato l’ordine logico delle questioni, nel quale l’assolvimento preventivo della questione pregiudiziale L. n. 990 del 1969, ex art. 22, è principio consacrato (sulla natura di questione pregiudiziale e sull’effetto interruttivo della domanda improponibile viene citata Cass. sez. 3, 11 giugno 1987 n. 5085, ormai risalente ma espressiva di principi non abbandonati).

Queste argomentazioni, tuttavia, non sono idonee a “smontare” in punto di diritto la decisione del giudice d’appello, fondatasi su un piano diverso e ancor più a monte della tematica invocata dal ricorrente: i limiti di ammissibilità, sotto il profilo dell’interesse processuale, dell’appello fondato esclusivamente su doglianze di rito. Correttamente il giudice d’appello richiama al riguardo un chiaro e recente arresto di questa Suprema Corte, Cass. sez. 3, 29 gennaio 2010 n. 2053, che puntualizza come l’impugnazione con cui l’appellante censura soltanto per vizi di rito una pronuncia che decide anche nel merito a suo sfavore è ammissibile “solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.”, mentre, laddove i vizi denunciati non rientrino in uno dei casi tassativamente previsti dalle suddette norme “è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito”, per cui, qualora non lo faccia, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito “è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione”. Si tratta dell’espressione di un consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte (v. S.U. 14 dicembre 1998 n. 12541) nel senso appunto che l’appello per vizi di rito, al di fuori dei tassativi casi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. – i quali, comportando la regressione al primo grado, investono di per sè anche il merito della decisione -, è sorretto da interesse processuale, ovvero è ammissibile e rispondente al modello legale di impugnazione, solo se viene congiuntamente addotta una lesione concreta che sotto il profilo di merito l’error in procedendo ha cagionato all’impugnante (ex multis, v. da ultimo Cass. sez. 3, 3 dicembre 2015 n. 24612, Cass. sez. 1, 21 settembre 2015 n. 18578, Cass. sez. lav. 11 febbraio 2015 n. 2682, Cass. sez. 3, 12 dicembre 2014 n. 26157, Cass. sez. lav., 23 giugno 2014 n. 14167; e cfr. pure S.U. 19 maggio 2008 n. 12644). Il ricorso pertanto non può che essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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