Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20375 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. II, 26/07/2019, (ud. 16/10/2018, dep. 26/07/2019), n.20375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14088/2014 proposto da:

N.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI

37, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAMPANELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CASIELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il

31/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CASIELLO Maria, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.F., nominato con provvedimento del 12/9/2009 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Potenza quale commissario giudiziale del D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 45, dell’impresa Ferrara s.n.c., avendo espletato per nove mesi la relativa attività, ha impugnato con opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, il decreto del giudice dell’udienza preliminare dello stesso tribunale di liquidazione di compenso per Euro 69.250 per onorari ed Euro 1.518,62 e 863,35 per spese rispettivamente vive e chilometriche.

2. Con ordinanza in data 31/3/2014 comunicata il 3/4/2014 il giudice monocratico della sezione civile del tribunale di Potenza ha rigettato l’opposizione.

3. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione N.F. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, nei confronti del ministero della giustizia, dell’impresa Ferrara s.n.c. nonchè della procura della repubblica presso il tribunale di Potenza. Gli intimati non hanno espletato difese, avendo l’avvocatura generale dello Stato, per il ministero, depositato mero atto di “costituzione”.

4. Con ordinanza del 19/6/2018, depositata il 21/6/2018, il procedimento, trattato in sede camerale, è stato avviato alla trattazione in pubblica udienza, fissata ed espletata in data odierna.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Avverso l’ordinanza che abbia deciso sull’opposizione proposta ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, in ordine al decreto del 6/6/2012 con cui il g.i.p. ha liquidato il compenso al commissario giudiziale del D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 45, è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. Tanto in conformità della giurisprudenza formatasi in generale circa l’impugnabilità di provvedimenti di tali tipologie (cfr. ad es. Cass. n. 11577 del 11/05/2017).

2. Con il primo motivo si deduce violazione della disciplina relativa alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale nel procedimento ex D.Lgs. n. 231 del 2001, avendo in tesi il tribunale erroneamente applicato il D.M. n. 140 del 2012, in materia di compensi degli avvocati, invece di applicare il decreto in tema di compensi spettanti ai curatori fallimentari e agli organi di procedure concorsuali, identificato nel D.M. n. 570 del 1992, vigente alla data di conclusione dell’incarico e di richiesta di liquidazione dei compensi, oltre che utilizzato per la liquidazione degli acconti, o in subordine nel D.M. n. 30 del 2012, in vigore al momento della liquidazione dei compensi; la scelta per il secondo regime, secondo il ricorrente, si imporrebbe in relazione all’apprezzamento della natura pubblicistica dell’incarico, anch’essa erroneamente sottovalutata dal tribunale pur a fronte di esplicita ragione di opposizione.

Con la memoria, il ricorrente ha segnalato che, dopo la proposizione del ricorso, il D.P.R. n. 177 del 2015, avrebbe sostanzialmente equiparato la liquidazione dei compensi per gli amministratori dei beni sequestrati a quella per i curatori fallimentari.

3. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 11 preleggi e art. 112 c.p.c., sostenendosi che – ove dovessero applicarsi i compensi previsti per gli avvocati – il tribunale abbia comunque erroneamente quantificato gli stessi in base al D.M. n. 140 del 2012, vigente al momento della liquidazione, dovendo invece applicarsi le tariffe forensi di cui al D.M. n. 127 del 2004, per essersi conclusa l’attività sotto il vigore di queste ultime.

4. Con il terzo motivo si deduce – ove dovesse applicarsi il D.M. n. 140 del 2012 – violazione degli artt. 17 e 19 dello stesso in relazione alle grandezze aziendali da considerarsi, avendo il provvedimento del giudice seguito erroneamente un criterio equitativo.

5. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 1224 c.c., per avere il tribunale negato l’applicazione degli interessi legali sulla somma liquidata.

6. I primi tre motivi, come si evidenzia anche dalla loro formulazione in via subordinata, sono strettamente connessi, per cui è opportuna una loro trattazione congiunta.

6.1. Essi sono infondati.

6.2. Va anzitutto premesso che il compenso erogato al ricorrente si riferisce all’espletamento dell’attività di commissario giudiziale ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 15 e art. 45, comma 3, concernente la disciplina della c.d. “responsabilità amministrativa” delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, disciplina che – in sostanza – ha introdotto nel nostro paese un modello sanzionatorio a carico degli enti, parallelo al processo penale rispetto al quale il procedimento in questione si svolge contemporaneamente. Secondo le disposizioni predette, quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può richiedere l’applicazione quale misura cautelare di una delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, in alternativa alle quali il giudice può nominare un commissario giudiziale a norma dell’art. 15, per un periodo pari alla durata della misura che sarebbe stata applicata. In tal modo si evita l’interruzione dell’attività dell’ente, quando esso svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività, o quando l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione. L’onere del compenso del commissario, stante il mancato accertamento all’atto della nomina di responsabilità con condanna definitiva, è sopportato in via di anticipazione dall’erario sino a detta condanna (v. ad es. Cass. pen. 15157 del 5/2/2008 c.c. – dep. 10/4/2008). Come dispone espressamente dell’art. 15, comma 2, l’attività del commissario giudiziale è variegata, posto che con la sentenza che dispone la prosecuzione dell’attività il giudice indica i compiti ed i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l’illecito da parte dell’ente. A norma del comma 3, nell’ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, il commissario cura l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

6.3. Ciò posto, diversamente da quanto sostiene la parte ricorrente, non è possibile – alla luce della predetta natura flessibile dei compiti del commissario, cui possono essere demandate le più diverse attribuzioni nell’ambito dell’attività dell’ente, da parametrarsi come detto all’esigenza di prevenire la reiterazione dei reati (cfr. gli artt. 6 e 7, quanto alle diverse tipologie di funzioni di organizzazione, controllo e interazione con altri enti che possono rilevare; ed espressamente Cass. pen. sez. 6 n. 43108 del 28/09/2011 c.c. – dep. 22/11/2011) – alcuna equiparazione in via generalizzata, anche ai fini dell’applicazione analogica di norme in tema di compensi, dell’attività del commissario giudiziale predetto a quella di altri professionisti; invero, se è essenziale ai fini dell’analogia legis – ai sensi dell’art. 12 preleggi, comma 2 – la verifica del sussistere di una medesima giustificazione economico-giuridica tra il caso contemplato e quello non contemplato dalla legge (ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio), l’insussistenza in via astratta di un catalogo di compiti del commissario giudiziale ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 15 e art. 45, comma 3, rende impossibile il procedimento analogico, possibile solo caso per caso da parte del giudice del merito.

6.4. Se il rilievo che precede può altresì costituire spiegazione della ragione per la quale il legislatore non abbia ritenuto di intervenire specificamente in tema di liquidazione dei compensi per tali figure di ausiliari del giudice, deve affermarsi – sempre alla luce di detto rilievo – la non esportabilità, in via generale e astratta, delle disposizioni normative (e delle connesse elaborazioni giurisprudenziali) dettate per i compensi di altri ausiliari: – i consulenti tecnici d’ufficio per i processi civili e penali (le cui spettanze sono regolate dal D.M. 30 maggio 2002, in tema adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’a.g.); – i custodi nell’ambito dei diversi tipi di sequestro e confisca (su cui si veda il D.M. 2 settembre 2006, n. 265, “regolamento recante le tabelle per la determinazione dell’indennità spettante al custode dei beni sottoposti a sequestro”); – gli amministratori giudiziari iscritti nell’albo di cui al D.Lgs. 4 febbraio 2010, n. 14 (per i quali vale – seppur entrato in vigore, come osservato anche in memoria, successivamente alla proposizione del ricorso – il D.P.R. 7 ottobre 2015, n. 177, antecedentemente rispetto al quale si applicava l’equità giudiziale – cfr. Cass. n. 8538 del 6/4/2018). Tanto detto in via esemplificativa, non è necessario altresì richiamare, per non essere esse direttamente applicabili, le diverse tariffe per la determinazione di compensi a favore di professioni liberali, tra le quali spiccano per ricorrenza gli avvocati e i commercialisti o altre figure di esperti contabili.

6.5. Tanto non vale, però, ad affermare che la liquidazione dei compensi a favore dei commissari di cui trattasi debba avvenire del tutto al di fuori di parametri normativi. Come ritenuto da questa corte in riferimento ad altra fattispecie (Cass. n. 21649 del 19/09/2017 cui si rinvia anche per richiami e che, in tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale, prima dell’approvazione di tariffe del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 59, avutasi per taluni ambiti nel 2006, ha fatto riferimento agli usi locali, come previsto dall’art. 58 del D.P.R. medesimo), la fonte normativa va trovata nel D.P.R. predetto, recante il t.u. in materia di spese di giustizia. Va peraltro notato che – a differenza di detto precedente giudiziario, per il quale nel titolo VIII della parte II (artt. 58 e 59) del D.P.R., erano rinvenute norme in tema di “indennità di custodia nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario” (così la rubrica del titolo) – nel caso di specie, non concernente un custode (per le cui indennità, come detto, in via suppletiva l’art. 59 rinvia agli usi locali), il referente normativo può essere rinvenuto, in via principale, nei soli artt. 49 e 50 del D.P.R., che dispongono che agli ausiliari del magistrato (quale è certamente anche il commissario giudiziale ex D.Lgs. n. 231 del 2001) spettano l’onorario, l’indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico, e che “la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”; “le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell’incarico”. Le disposizioni successive forniscono altri dettagli.

6.6. A fronte dell’individuazione, dunque, di una disciplina che in riferimento a tutti gli ausiliari del magistrato rinvia a tabelle (senza la disposizione suppletiva contenuta all’art. 59, in rapporto ai custodi, speciale e quindi non estensibile ad altri casi non previsti), vi è da esaminare il parametro da utilizzare se, come nel caso di specie, non sussista una specifica tabella approvata.

6.7. Per vero, va tenuto conto che l’art. 275 del D.P.R. (in maniera simile a quanto disposto dall’art. 276, per l’ambito dei custodi) detta a tal fine una norma transitoria, per cui “Sino all’emanazione del regolamento previsto dall’art. 50, la misura degli onorari è disciplinata dalle tabelle allegate al D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 e dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 4, come modificato, per gli importi, dal D.M. Grazia e Giustizia 5 dicembre 1997, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 14 febbraio 1998, n. 37”, cui ha dato seguito per un aggiornamento anche il D.M. 30 maggio 2002 in GU Serie Generale n. 182 del 05/08/2002. Senonchè la disciplina cui è data provvisoria ultrattività, pur a fronte dell’entrata in vigore del t.u., è quella precedentemente vigente concernente i soli “compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale”. Resta quindi non normata la sfera applicativa relativa ai compensi dei commissari giudiziali di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, non assimilabili per quanto detto ai periti, consulenti, traduttori e interpreti, nè potendo all’uopo valere la norma in materia di analogia di cui alla citata L. n. 319 del 1980, art. 3; ciò sia perchè tale articolo è stato abrogato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 299, sia perchè comunque esso disponeva l’applicazione analogica delle voci di compenso solo all’interno dell’ambito delle liquidazioni ai periti e assimilati (e non quindi al di fuori delle prestazioni in parola).

6.8. Così esclusa l’applicabilità delle esistenti modalità liquidatorie tabellari di cui al rinvio dell’art. 50 T.U., deve ritenersi che, in assenza di tabella confacente, l’art. 275 T.U. non estenda l’operatività dei “compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale” anche alla liquidazione di attività diverse, quale quella di cui trattasi; deve invece ritenersi che, stante l’inoperatività della disciplina transitoria, competa direttamente al magistrato che liquida il compenso applicare, caso per caso, gli artt. 49 e 50 T.U., liquidando il compenso “con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell’incarico”. Un siffatto potere in capo al magistrato, oltre a derivare da norme di diritto processuale generale (art. 68 c.p.c., in tema di “altri ausiliari” in combinato disposto con l’art. 52 disp. att. c.p.c., secondo la quale disposizione “il compenso agli ausiliari di cui all’art. 68 del codice è liquidato con decreto dal giudice che li ha nominati o dal capo dell’ufficio giudiziario al quale appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario che li ha chiamati, tenuto conto dell’attività svolta”; art. 232 c.p.p. e art. 73 disp att. c.p.p., pur se riferiti a periti e consulenti), è insito nello stesso concetto di liquidazione giudiziale delle spettanze, che la Corte costituzionale ha voluto non dipendente dalle attività governative di predisposizione di tabelle regolamentari (in tal senso la mancata attuazione, in sede amministrativa, del vincolo di adeguamento al metro monetario previsto dalla fonte primaria fu stigmatizzata dalla Corte Cost. con sentenze n. 41 del 1996 e n. 88 del 1970 e ordinanze n. 234 del 2001e n. 69 del 1979, affermando la stessa Corte Cost. che il giudice potesse provvedere a colmare la lacuna con modalità diverse – con allusione alla disapplicazione – dalla questione di legittimità costituzionale; v. sentenza n. 41 del 1996 e ordinanza n. 234 del 2001).

6.9. A tale principio di diritto si è sostanzialmente attenuto il provvedimento impugnato che, anzitutto, in conformità della liquidazione del g.i.p., ha avuto presenti le attività effettivamente espletate dal commissario (p. 2) e, alla luce di esse, ha ritenuto che “la disciplina… più pertinente” fosse quella di cui al D.M. n. 140 del 2012 (riforma dei compensi professionali), concernente tra gli altri gli avvocati e i commercialisti; in tale contesto ha fatto specifico riferimento all’art. 19 del decreto, che disciplina, quanto ai commercialisti, gli “incarichi di amministrazione e custodia di aziende”; ha poi motivato in ordine alle grandezze aziendali considerate a fini parametrici; ha infine considerato gli aspetti temporali della prestazione e le prestazioni accessorie.

6.10. Giova sul tema rilevare, quanto specificamente al primo e al secondo motivo, come dunque risulti correttamente applicato, da un lato, il D.M. nella sua integralità; come, d’altro lato, lo specifico riferimento all’art. 19, escluda che siano stati applicati i parametri forensi (come invece deduce il ricorrente); come, infine, l’apprezzamento equitativo sia stato esercitato solo all’interno di detti criteri (non trattandosi, quindi, di equità in senso proprio). Quanto, poi, alle grandezze aziendali prese a base del conteggio – oggetto di contestazione con il terzo motivo – condivisibilmente il provvedimento impugnato ha espunto dalla “sommatoria dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività” i pagamenti effettuati nel periodo di riferimento (p. 3 del provvedimento impugnato). Le censure sui predetti profili vanno dunque disattese.

6.11. Solo per completezza, va detto che sono altresì destituite di fondamento le critiche relative a presunta violazione dell’art. 11 preleggi e dell’art. 112 c.p.c.. Nessuna questione ponendosi in tema di ultrapetizione, competendo al giudice provvedere d’ufficio a individuare le norme applicabili, la scelta di applicare alla liquidazione il D.M. citato, vigente al momento della liquidazione, è conforme alla giurisprudenza di questa corte. Le nuove norme di cui al D.M. n. 140 del 2012, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta ancora vigenti le tariffe abrogate, come è stato chiarito a più riprese da questa corte di legittimità (cfr., seppur in specifico riferimento ai compensi forensi, Cass. n. 2748 del 11/02/2016, n. 21205 del 19/10/2016 e n. 30529 del 19/12/2017; e v. già Cass. S.U. n. 17405 del 12/10/2012); ciò in base della nuova nozione di “compenso” adottata dalla riforma, quale corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata.

7. Resta da esaminare il quarto motivo, con il quale – come detto – si deduce violazione dell’art. 1224 c.c., per avere il tribunale negato l’applicazione degli interessi legali sulla somma liquidata. La doglianza si ricollega alla pretesa del ricorrente, avanzata già al g.u.p., di vedersi riconosciuto il compenso come maturato nella stessa epoca di altro collega, mentre per il ricorrente il g.u.p. aveva ritenuto che alla liquidazione potesse procedersi solo dopo l’udienza preliminare; motivazione questa fatta propria dal tribunale con l’ordinanza impugnata.

7.1. Il motivo è inammissibile.

7.2. Come detto, gli artt. 49 e 50 del T.U. spese di giustizia dispongono che agli ausiliari del magistrato spettano l’onorario, l’indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico. Non afferiscono all’ambito delle spettanze dell’ausiliario, liquidabili con il decreto di cui innanzi, gli interessi per ritardato pagamento o le altre somme ritenute dovute per ritardata liquidazione. Tali somme, dunque, non possono formare oggetto di istanza di liquidazione al magistrato procedente, nè – in via di opposizione ex art. 170 T.U. – ai giudici dell’opposizione e del ricorso per cassazione. All’interessato che ritenga di aver subito danno da omessa o ritardata attività degli organi di giustizia sono aperte, sussistendone i presupposti, le strade delle azioni di responsabilità ex art. 60 c.p.c. e L. n. 117 del 1988.

7.3. L’istanza dunque non era ammissibile ab origine. E tale inammissibilità, essendo rilevabile d’ufficio, può essere rilevata anche in sede di legittimità d’ufficio, benchè non dichiarata in sede di merito.

7.4. Non va dunque esaminato se, nel caso di specie, comunque il decreto dovesse essere emesso solo a chiusura dell’udienza preliminare.

8. In definitiva il ricorso va rigettato, non dovendosi dare provvedimenti sulle spese, stante il mancato espletamento di difese da parte degli intimati; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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