Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20373 del 26/07/2019
Cassazione civile sez. II, 26/07/2019, (ud. 22/05/2018, dep. 26/07/2019), n.20373
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14369/2017 proposto da:
A.V.S., rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRANTONIO
DE NUZZO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositato il
23/11/2016, RG.n. 459/2015 VG, Cron. 2476/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
22/05/2018 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
Fatto
RILEVATO
che:
– con ricorso depositato in data 16.2.2015 presso la Corte d’Appello di Lecce, A.V.S. chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, derivante dalla irragionevole durata di un giudizio civile;
– con decreto del 24.3.2015, il Consigliere Designato rigettava il ricorso;
l’opposizione proposta da A.V. veniva rigettata dalla Corte d’Appello di Lecce in composizione collegiale, con decreto del 28.11.2016 in quanto il valore estremamente esiguo del giudizio presupposto, pari ad Euro 619,72, escludeva la sussistenza del pregiudizio, non superando la soglia minima di gravità richiesta dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;
– avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione l’Avena sulla base di un unico motivo;
– il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Diritto
RITENUTO
che:
con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6,13 e 41 della Convenzione EDU, nonchè l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, per avere la corte territoriale, accertata la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ritenuto insussistente il danno non patrimoniale in considerazione del valore esiguo della controversia, omettendo ogni motivazione sul fatto oggetto del giudizio presupposto e sul livello reddituale del soggetto richiedente; sostiene il ricorrente che la modesta posta in gioco non escluderebbe il patema d’animo per la durata della lite, alimentato dalla sfiducia nella giustizia per la lungaggine del processo, ma inciderebbe solo sulla determinazione del danno;
il motivo è fondato;
al procedimento in esame è applicabile la normativa introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 e segnatamente la L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, introdotto dall’art. 55, comma 2, del citato D.L.;
ha affermato questa Corte che il danno non patrimoniale sia conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in quanto, salvo le ipotesi tassative di esclusione del danno (come per lite temeraria), sussiste un pregiudizio per la lunga attesa della definizione della lite, ragione per la quale nessun onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, essendo semmai l’Amministrazione resistente a dovere fornire elementi idonei a farne escludere la sussistenza in concreto (Cassazione civile, sez. II, 14/05/2018, n. 11667; Cassazione civile, sez. II, 07/05/2018, n. 10858; Cass. Civ., sez. 06, del 09/06/2015, n. 11936; Cass. Civ., sez. 06, del 10/04/2015, n. 7325; Cass. Civ., sez. 01, del 16/09/2009, n. 19979);
il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale se non ricorrono, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. SS.UU. 1338/04);
da tali principi la corte territoriale si è discostata, traendo la prova dell’assenza del danno dal minimo valore della causa, che era, semmai, idoneo ad incidere sulla liquidazione del quantum;
il decreto impugnato deve essere cassato in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;
ai sensi dell’art. 2 bis, comma 3, della l’indennizzo non può essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello accertato dal giudice;
all’istante va, pertanto, liquidato un indennizzo pari ad Euro 619,72, pari al valore della causa, cui vanno aggiunti gli interessi nella misura legale dalla domanda al soddisfo;
le spese di lite del giudizio di merito e di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
PQM
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 619,72 oltre interessi dalla domanda al soddisfo;
condanna il Ministero della Giustizia alle spese di lite che liquida in Euro 886,00 per il giudizi di merito ed Euro 255,00 per il giudizio di legittimità oltre spese forfettarie, Iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019