Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2037 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2022, (ud. 03/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12669/2016 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliata in Roma Piazza Cavour presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Buono Gianpaolo;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate Ufficio Provinciale Napoli Territorio;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9810/2015 della COMM.TRIB.REG., CAMPANIA,

depositata il 06/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2021 dal Consigliere Dott. MONDINI ANTONIO;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate determinava in Euro5567,00 la rendita catastale di un immobile ad uso commerciale in Comune di Ischia, per il quale la proprietaria, T.D., aveva, con procedura DOCFA, proposto la rendita di Euro 4144,00.

La determinazione veniva effettuata attribuendo al bene il valore di Euro 987,00 per metro quadro, sulla base della comparazione con altri tre immobili.

La contribuente impugnava l’avviso di accertamento della rendita contestandone la motivazione per essere i tre immobili non comparabili con il proprio e ribadendo la correttezza della stima proposta.

La CTP di Napoli accoglieva il ricorso: notato incidentalmente che l’Agenzia aveva proceduto a determinare la rendita “non previa visita in loco” ma sulla base di stima diretta, affermava, per un verso, che i tre immobili indicati nell’avviso non erano comparabili con l’immobile della contribuente sia perché i primi erano siti in zone dell’isola diverse da quella in cui sorgeva il secondo sia perché i primi erano in concreto adibiti a destinazioni commerciali diverse da quella del secondo, per altro verso, che l’andamento stagionale dell’attività commerciale ad Ischia e la “notoria crisi economica” in cui da anni versava il settore economico della ricorrente, inducevano a ritenere condivisibile il valore dell’immobile e la rendita proposti dalla contribuente.

L’Agenzia impugnava la decisione della CTP con due motivi: con il primo censurava la notazione incidentale deducendo che il sopralluogo non era imposto da alcuna norma; con il secondo censurava le affermazioni relative alla comparazione posta a base dell’avviso ribadendo la correttezza del proprio operato ed aggiungendo che, “paradossalmente” ove “nel confronto estimale” avesse voluto darsi rilievo agli aspetti menzionati dalla CTP (la stagionalità dell’attività commerciale; la crisi economica settoriale) ed avesse voluto anche aversi riferimento ad unità immobiliari in categoria C/1, il valore dell’immobile della contribuente sarebbe risultato addirittura maggiore rispetto a quello stabilito in base alla ricordata comparazione.

2. Con la sentenza in epigrafe, la CTR della Campania accoglieva entrambi i motivi di appello: affermava che non vi era necessità di sopralluogo e che la stima effettuata dall’amministrazione, con metodo comparativo, era corretta.

3.La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza. Il ricorso si basa su tre motivi. Memoria depositata.

4. L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

5. La Procura Generale ha depositato requisitoria con richiesta di rigetto del ricorso.

6.La pubblica udienza del 3 dicembre 2021 è stata tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7 conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente si duole della “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 49 e 53, art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 112”.

Sostiene che la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibili i due motivi di appello proposti dall’Agenzia: il primo perché riferito ad una affermazione solo incidentale della CTP; il secondo perché introduttivo di elementi (la stagionalità dell’attività commerciale; la crisi economica settoriale; il riferimento al valore di beni in categoria C/1 diversi dai tre immobili indicati nell’avviso) nuovi rispetto a quello posto a base dell’avviso (valore di tre immobili da cui era stato tratto il valore di quello della contribuente).

2. Il motivo è inammissibile.

La contribuente non avrebbe alcuna concreta utilità dal sentire accogliere la censura sollevata contro l’omessa dichiarazione di inammissibilità del primo dei due motivi di appello dell’Agenzia.

Proprio perché, come emerge dagli atti e dalla sentenza di primo grado il cui testo è riprodotto nelle pagine 5 ss. del ricorso per cassazione, davanti alla CTP non vi è era stata questione sulla non necessità del sopralluogo come condizione di legittimità dell’avviso e la CTP aveva fatto riferimento al sopralluogo solo in via incidentale, se il motivo di appello dell’Agenzia, volto a negare tale necessità non ha avuto senso, così anche non ha avuto senso – cioè non ha avuto alcuna concreta incidenza – la dichiarazione della CTR di fondatezza di quel motivo d’appello. Dacché la inammissibilità della doglianza della contribuente per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.).

La contribuente, laddove lamenta l’omessa dichiarazione di inammissibilità del secondo dei due motivi di appello dell’Agenzia, non tiene conto del fatto che la sentenza impugnata ha avallato l’operato dell’Agenzia considerando correttamente impiegato il metodo comparativo e senza far riferimento agli aspetti esposti dall’Agenzia in detto motivo di appello. Dacché l’inammissibilità della doglianza della contribuente, non correlata alla sentenza della CTR.

3.Con il secondo motivo di ricorso la contribuente si duole della “violazione o falsa applicazione degli artt. 88,115,116, e 345 c.p.c. nonché D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 23, 32,49 e 57 e art. 111 Cost.”. Sostiene che la CTR avrebbe dovuto, per un verso, rilevare la novità e inammissibilità degli elementi introdotti in appello a sostegno dell’avviso, per altro verso, dare rilievo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 c.p.c., al fatto -eccepito da essa ricorrente al momento della costituzione in appello- che l’Agenzia, in primo grado, si era limitata ad un generica affermazione di correttezza del proprio operato ma non aveva puntualmente preso posizione avverso le contestazioni sollevate da essa ricorrente contro l’accertamento di valore.

4. Il motivo è inammissibile per quanto riferito ad elementi nuovi asseritamente portati a sostegno dell’avviso in appello. Vale ciò che è stato affermato al superiore punto 2.

Il motivo è infondato per quanto riferito alla violazione dell’art. 115 c.p.c..

La contribuente stessa ha ricordato che l’Agenzia, costituendosi in primo grado aveva ribadito la legittimità del proprio operato.

Il principio sancito dall’art. 115 c.p.c., a mente del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita, è in linea generale applicabile anche al processo tributario impugnatorio.

L’applicazione tuttavia non può prescindere dal fatto che, in un processo impugnatorio, l’amministrazione ha già espresso, nella motivazione dell’atto, le ragioni della propria pretesa.

Pertanto non può dirsi che l’amministrazione, ove si limiti ad insistere, a ribadire quanto affermato nell’atto, non contesti i fatti posti a base dell’impugnazione. E’ stato così affermato che “Nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio” (Cass. n. 19806 del 23/07/2019).

5. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamenta la “violazione del R.D. n. 633 del 1939, art. 10, del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 30,D.P.R. n. 917 del 1986, art. 37 e D.L. n. 70 del 1988, art. 11 nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.”. Sostiene che la CTR avrebbe commesso la lamentata violazione con l’affermare, senza “alcun elemento di prova neppure indiziario” che “l’Agenzia ha opportunamente parametrato nell’occorso le stime relative ad immobili simili a quello in questione” laddove invece, come affermato dai giudici di primo grado con il supporto delle “risultanze processuali in atti”, i tre immobili presi a comparazione “presentano caratteristiche diverse rispetto a quello in esame”.

6.Il motivo in esame è inammissibile perché tendente a veicolare di fronte a questa Corte, giudice di legittimità, sotto la rubrica della violazione di leggi, la richiesta di una rivalutazione del materiale istruttorio.

PQM

la Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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