Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2037 del 24/01/2019

Cassazione civile sez. II, 24/01/2019, (ud. 13/07/2018, dep. 24/01/2019), n.2037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1807/2014 proposto da:

G.G., già titolare della BETA TERMICA, rappresentata e

difesa dagli avvocati ALDO DE MONTIS, ELIO DE MONTIS, ANNA MARIA DE

MONTIS;

– ricorrente –

contro

M.M., quale titolare dell’Albergo VITTORIA, già Pensione

VITTORIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GALLONIO 18, presso

lo studio dell’avvocato MARCELLO FREDIANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI DORE;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 703/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 19/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2018 dal Consigliere ANTONINO SCALISI;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto rigetto del

primo motivo del ricorso principale, accoglimento del secondo

motivo, assorbiti i restanti; assorbito il ricorso incidentale ed il

primo motivo del ricorso incidentale subordinato; rigetto del

secondo motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La ditta Beta Termica di G.G., con decreto ingiuntivo del Tribunale di Cagliari n. 3521/93, notificato il 01.02.12.1993, ingiungeva alla Pensione VITTORIA di M. di pagare la somma di Lire 49.682.500 (pari ad Euro 25.658,86), oltre gli interessi legali di mora, le spese, i diritti e gli onorari del procedimento, quale importo esposto nella fattura 19 del 13.09.1993 dalla stessa emessa “a saldo per i lavori eseguiti in conformità al contratto di appalto stipulato in data 10.12.1992.

Con atto di opposizione notificato il 17.12.1993, la sig.ra M.M., conveniva in giudizio la ricorrente per chiedere la revoca del decreto ingiuntivo opposto, così esponendo in fatto:

a) con il contratto del 10.12.1992, la ditta Beta Termica si era obbligata a realizzare nei locali della Pensione VITTORIA rimpianto di climatizzazione estiva – invernale, rimpianto idrico, la rete “gas città”, la rete sanitaria “scarichi” nonchè il montaggio dei servizi igienico – sanitari (doc. 23 fascicolo di parte n.2);

b) il corrispettivo per tali lavori, comprese le opere murarie agli stessi connesse, era stato pattuito in complessivi Lire 80.000.000 4- Iva, mentre i lavori stessi dovevano essere completamente ultimati e collaudati, entro il 15.03.1993. (doc. 23 fascicolo di parte n.2);

c) sebbene la sig.ra M.M. avesse puntualmente saldato i primi due stati d’avanzamento (L. 50.872.500), nonchè anticipato ulteriori Lire 5.000.000 in acconto sull’ultimo S.A.L., in data 13.05.1993, l’opposta, già in grave ritardo sul termine di consegna pattuito, interrompeva senza motivo i lavori (doc. n. 18; 19; 20; 21 fascicolo n.3);

d) a seguito di diffida da parte della Pensione VITTORIA, la Ditta Beta Termica, in data 31.05.1993, si dichiarava pronta a riprendere i lavori, i quali, tuttavia, venivano nuovamente abbandonati, in via definitiva, il 07.09.1993 (doc. n. 14; 20; 21 fascicolo n. 3);

e) ciò malgrado, con lettera del 17.09.1993, l’impresa inviava fattura finale relativa ai lavori, a suo parere, effettuati, chiedendo il pagamento, a saldo, della somma di Lire 44.682.500, senza redigere, nè trasmettere l’ultimo S.A.L. (II e ultimo stato avanzamento lavori) (doc. n. 24 fascicolo n. 2); con nota del 18.09.1993 la Pensione VITTORIA contestava detta fattura (doc. n. 5 fascicolo n. 3) e invitava la ditta appaltatrice a terminare i lavori; con ulteriore nota del 20.10.1993, ribadiva l’invito a terminare l’opera.

Eccepiva l’opponente che l’importo di Lire 49.682.500 era superiore, non solo alla differenza tra quanto pattuito in contratto e quanto pacificamente già corrisposto; il pagamento del saldo avrebbe dovuto essere eseguito entro 30 gg. dal collaudo positivo, che non aveva mai avuto luogo.

Deduceva ancora l’opponente che l’opera, non solo era incompleta ma affetta da vizi, in particolare, gli scarichi per vasi igienici erano stati posizionati troppo a ridosso della parte, i punto d’acqua della vasca era posizionati ad un’altezza inferiore a quella delle vasche.

L’opponente chiedeva la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore e che il Tribunale adito revocasse il decreto ingiuntivo opposto e condannasse la ditta Beta Termina al risarcimento dei danni.

Si costituiva la ditta Beta Termica la quale riconosceva di aver chiesto per decreto ingiuntivo una somma maggiore pari a Lure 5.000.000 che, in realtà, le era stata corrisposta. Eccepiva che la ultimazione dei lavori era stata ostacolata dall’opponente; la corretta esecuzione dell’appalto, così come risultava dalla dichiarazione sottoscritta dalla stessa M.M..

Il Tribunale di Cagliari con sentenza n. 2638 del 2008 revocava il decreto ingiuntivo, previa compensazione dei rispettivi crediti, condannava l’opponente al pagamento in favore della convenuta di Euro 20.310,97, oltre interessi.

Avverso questa sentenza interponeva appello la Pensione VITTORIA di M.M., eccependo essenzialmente e tra l’altro: a) che la sentenza impugnata fosse erronea per aver ritenuto tardiva ex art. 1667 c.c., la denunzia dei vizi effettuata dall’opponente nel corso di causa; b) che la sentenza impugnata aveva omesso di considerare la spesa effettivamente sostenuta dalla committente per il ripristino dei vizi e per il completamento dell’opera. Chiedeva, pertanto, la riforma integrale della sentenza impugnata.

Si costituiva la ditta Beta Termica, resistendo alle domande avversarie e chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte di appello Cagliari con sentenza n. 703 del 2013 accoglieva l’appello e condannava G.G. al risarcimento a favore di M.M. dei danni derivanti dall’inadempimento contrattuale, condannava la stessa G. al pagamento dell’importo di C. 46.826,00 nonchè alle spese dell’intero giudizio. Secondo la Corte distrettuale il Tribunale aveva trascurato di valutare l’esistenza di un inadempimento dell’appaltatore al fine della richiesta dei danni, comunque, dovuti per le eventuali conseguenze dannose cagionate dal comportamento inadempiente. Piuttosto, secondo la Corte distrettuale il mancato completamento dell’opera, così come appaltata, aveva creato danni alla committente, anche, perchè le carenze riscontrate avevano impedito la riapertura al pubblico dell’esercizio alberghiero, prima del completamento dei lavori. La pretesa risarcitoria poi andava commisurata al mancato introito per il periodo strettamente necessario al completamento dei lavori.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da G.G. con ricorso affidato a sei motivi. M.M. ha resistito con controricorso, proponendo ad un tempo ricorso incidentale affidato ad un motivo e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A.- Ricorso principale

1.- Con il primo motivo di ricorso principale G. lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, per violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., per essere affetta la sentenza di ultrapetizione con riferimento al capo e) della sentenza impugnata), sia con riguardo all’accertamento di un inadempimento, sia con riferimento al risarcimento dei danni ad esso conseguenti. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe accolto domande di M.M. formulate irritualmente e, così, violando il principio di cui all’art. 112 c.p.c.. In particolare, secondo la ricorrente la domanda quanti minoris formulata nell’atto di opposizione, non sarebbe stata riproposta all’atto della sua costituzione a mezzo del nuovo difensore, non veniva neppure in detta sede riproposta e doveva intendersi definitivamente rinunciata. Tale domanda, invece, veniva riproposta in sede di appello, ma, in tale sede doveva ritenersi inammissibile perchè nuova e, sulla quale, controparte non aveva accettato il contraddittorio.

E di più, la Corte di Appello, pur rilevando che non fosse stata ritualmente proposta la domanda di riduzione del prezzo avrebbe, comunque, ritenuto l’appaltatrice inadempiente, nonostante, l’accertamento dell’inadempimento non era stato chiesto, se non ai fini della risoluzione; avrebbe riconosciuto alla committente il risarcimento dei danni derivanti da detto inadempimento, sebbene la domanda di risarcimento danni fosse stata formulata dall’appellante, solo in connessione e per conseguenza della risoluzione.

1.1.- Il motivo è infondato.

a) Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha statuito: a) che in tema di appalto le domande di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo non sono reciprocamente incompatibili, onde, ne è ammissibile la cumulativa proposizione in un unico giudizio, poichè l’actio quanti minoris non è richiesta di esatto adempimento (Cass. 27 aprile 1993, n. 4921); b) che qualora il committente, per difetti dell’opera, abbia esperito azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, può successivamente, sia in primo grado che in appello, modificarla in quella di riduzione del prezzo (Cass. 22 febbraio 1999, n. 1475; 6 febbraio 1986, n. 736; 15 giugno 1976, n. 2236). infatti, non soltanto non è estensibile all’appalto il principio, dettato per la vendita dall’art. 1492 c.c., comma 2, dell’irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo; ma, nel caso di inadempimento dell’appaltatore, il divieto posto dall’art. 1453 c.c., comma 2, impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo. Quest’ultima domanda, infine, non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione perchè fondata sulla stessa causa petendi e caratterizzata da un petitum più limitato. (Cass. 27 aprile 1993, n. 4921; 4 agosto 1990 n. 7872; 6 febbraio 1986 n. 736). Ne deriva che, legittimamente, la Corte di Appello ha accolto la domanda di riduzione del prezzo avanzata dall’attore nel grado, in ragione della parte di prestazione non eseguita, il cui calcolo “(….) è stato correttamente effettuato in base al corrispettivo pattuito maggiorato dal valore delle opere aggiuntive, con detrazione di quanto effettivamente pagato (….) (pag. 6 e 7 della sentenza).

b) Conseguentemente, posto, come già si è detto, che la domanda quanti minoris non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione, perchè fondata sulla stessa causa petendi e caratterizzata da un petitum più limitato, anche la domanda di risarcimento danni avanzata in relazione all’azione di risoluzione dovrà essere intesa, proposta, anche, in relazione alla domanda quanti minoris ed, essenzialmente, perchè, va ancora ribadito, entrambe le azioni (risoluzione e quanti minoris) sono fondate su una stessa causa petendi e caratterizzate da uno stesso petitum, che si diversifica solo nel quantum.

Senza dire che, come affermato da questa Corte in modo costante: in tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate. Ne consegue che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa.

Pertanto, legittimamente il Giudice del merito, valutando il contenuto sostanziale della pretesa alla luce dei fatti dedotti, ha ritenuto che la domanda di risarcimento dei danni fosse stata proposta. Significativamente, la Corte distrettuale ha ritenuto “(….) il Tribunale ha però trascurato di valutare l’esistenza di un inadempimento dell’appaltatore, al fine della richiesta di danni, comunque dovuti per le eventuali conseguenze dannose cagionate dal comportamento inadempiente, indipendentemente dalla proposizione a meno della domanda di riduzione del prezzo (….)”, posto che le disposizioni specifiche in tema di inadempimento del contratto d’appalto (artt. 1667 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, applicabili questi ultimi quando non ricorrono i presupposti delle norme speciali, in particolare la comune responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c., con la conseguente esperibilità nei suoi confronti dell’azione risarcitoria anche indipendentemente da quella di risoluzione del contratto.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1661,1665 e 1667 c.c., nonchè l’illegittimità in rapporto all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale nel ritenere che alcune opere fossero incomplete al momento della consegna e che ciò fosse dipeso da parte dell’appaltatore, non avrebbe tenuto conto, oltre che delle testimonianze e dai documenti depositati, soprattutto. della dichiarazione di regolare esecuzione dei lavori, con la quale l’attuale ricorrente dava atto che tutti i lavori eseguiti alla data del 30 giugno 1993 erano stati eseguiti regolarmente ed erano stati accettati.

La Corte distrettuale avrebbe ignorato, sempre secondo la ricorrente, anche il contenuto di ulteriori documenti, quali le numerose missive, tra cui le raccomandate A/R del 31 maggio 2013 con cui l’appaltatrice dopo avere asserito che la committente avrebbe impedito il completamente dichiarava la propria disponibilità a completare i lavori appaltati.

2.1.- Il motivo è inammissibile per genericità e per mancanza di interesse ed, essenzialmente, perchè il ricorrente non ha specificato se l’eccezione relativa, sia alla dichiarazione dell’attuale ricorrente in ordine all’esecuzione dell’opera appaltata e sia alla raccomandata richiamata avrebbe, con ragionevole certezza, o oltre ogni ragionevole dubbio, comportato una decisione assolutamente diversa rispetto a quella assunta, soprattutto, a fronte di un accertamento effettuato dal CTU e puntualmente richiamato dalla Corte distrettuale Infatti, la sentenza impugnata afferma “(…) l’esistenza dell’inadempimento emerge con evidenza dalla relazione peritale, la quale ha accertato: il mancato completamento di sette bagni; la mancata installazione dei lavabi in quattro camere non dotate di bagno interno; la mancata installazione dei flussostati e della coibentazione dell’impianto di condizionamento: la mancata esecuzione della controsoffittatura necessaria per mascherare le tubazioni lungo i corridoi.

2.2.- A sua volta, le eccezioni relative alle asserite responsabilità della committente sulla mancata ultimazione dell’opera non solo sono semplicemente affermate ma non superano il limite di una propria convinzione personale, posto che la stesa missiva richiamata esprime una divergenza di convincimenti tra committente ed appaltatore.

Piuttosto, va qui ribadito che il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali, diversa da quella operata dal giudice di merito.

3.- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per carenza di motivazione, illogicità e manifesta irragionevolezza della decisione, violazione di legge con riferimento agli elementi di prova assunti a fondamento della ritenuta sussistenza di un danno e della sua quantificazione nonchè ai criteri adottati per la sua liquidazione. Secondo la ricorrente la sentenza sarebbe errata e totalmente immotivata quanto alla ritenuta sussistenza del danno ed all’assolvimento del relativo onere probatorio, nonchè quantificazione ed ai criteri adottati per la liquidazione del risarcimento. Ed in particolare, la Corte distrettuale: a) non avrebbe spiegato perchè avrebbe ritenuto necessario per completare i lavori un periodo di novanta giorni, sebbene la CTU avesse ritenuto necessarie quaranta ore; 2) non avrebbe spiegato quale prezzo medio delle camere avrebbe considerato; 3) sulla base di quali elementi avrebbe ritenuto che la detta struttura avrebbe realizzato utili e non perdite.

3.1.- Il motivo è inammissibile, non solo per genericità, ma anche perchè non sussumibile in una delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Infatti, va qui evidenziato che il tenore delle censure, richiama, invero, il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. norma, nel caso, non più applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 19 novembre 2013, quindi, dopo l’entrata in vigore della precitata novella, la quale ha introdotto una disciplina più stringente, limitata la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte di Cassazione solo al caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla “insufficienza” ed alla “contraddittorietà”, ma, addirittura, la stessa parola “motivazione”. Può, quindi, affermarsi che la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di “insufficiente” o “contraddittorietà” della motivazione. Nè, a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per “omessa, insufficiente o contraddittorietà della motivazione”, potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale, più che a quello letterale e formale del mezzo e, quindi, prescindendo dalla inidoneità della, formulazione, ostandovi l’evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore, al fine di ridurre l’area del sindacato di legittimità sui “fatti”, escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà), che non si traducano nella totale incomprensibilità dell’argomentare. In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.

3.2.- La sentenza non merita neppure la censura relativa alla mancata indicazione del prezzo medio delle camere che la Corte avrebbe considerato e all’aver dato per certo che la Pensione M.M. avrebbe avuto utili e non perdite, posto che la liquidazione del danno è stata effettuata, comunque, in via equitativa ex art. 1226 c.c., cioè, secondo una valutazione complessiva delle emergenze processuali. Come ha chiarito la Corte distrettuale “(…) la pretesa risarcitoria deve essere commisurata ai mancati introiti per il periodo strettamente necessario per il completamento dei lavori ed il collaudo degli impianti ragionevolmente, determinabile in non più di novanta giorni. Avuto riguardo ai prezzi medi praticati all’epoca, in via equitativa si ritiene di dover liquidare il pregiudizio nella somma di Euro 22.500 (…)”. Non è dubbio, dunque, che la Corte distrettuale ha dato conto sia pure in maniera sommaria delle ragioni del processo logico in base al quale ha liquidato il danno. Una valutazione questa che non presenta alcun vizio logico e/o giuridico non è suscettibile di un sindacato in sede di legittimità.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. per ultrapetizione in violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha accordato la rivalutazione del risarcimento riconosciuto alla Pensione di M.M.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe accordato la rivalutazione del risarcimento del danno in assenza di una specifica domanda da parte della Pensione di M.M..

La sentenza, per altro, non indicherebbe neppure il periodo a far data dal quale sarebbe stata operata la rivalutazione.

4.1.- Il motivo è infondato.

E’ orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte.

La qualificazione di debito di valore del danno da inadempimento contrattuale, operata dalla Corte d’appello, non può ritenersi affetta da errore, costituendo principio di diritto, ripetutamente enunciato da questa Corte, quello secondo cui l’obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, come tale quantificabile tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria, sopravvenuta, fino alla data della liquidazione (cfr. Cass. n. 18299 del 01/12/2003; n. 5843 / 10/03/2010 Cass. SSUU 26008 del 2008).

Piuttosto, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire “(…..) la pretesa risarcitoria deve essere commisurata ai mancati – introiti per il periodo strettamente necessario per il completamento dei lavori ed il collaudo degli impianti, ragionevolmente determinabile, in non più di novanta giorni. Avuto riguardo ai prezzi medi praticati all’epoca, in via equitativa si ritiene di dover liquidare il pregiudizio nella somma di Euro 22.5000 Trattandosi di obbligazione di valore, l’importo suddetto deve essere moltiplicato per il coefficiente ISTAT 2,954, per adeguarlo all’epoca odierna, con un risultato pari a: (A) x 2,954 = Euro 66.465 (B) e.5). All’appellante è dovuto, anche, il danno da inadempimento, sulla base della considerazione che la parte ha subito un pregiudizio economico per la mancata disponibilità della somma, in misura pari al capitale dovuto a titolo di risarcimento del danno per il periodo dalla data del fatto.

5.- Con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. per ultrapetizione in violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha accordato il maggior danno da ritardato inadempimento alla Pensione VITTORIA M.M.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe accordato il maggior danno da ritardato inadempimento per indisponibilità della somma alla Pensione di Vittoria M.M., nonostante, non vi fosse una domanda in tale senso

E di più la Corte nel quantificare il maggior danno avrebbe disatteso i criteri stabiliti dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1712 del 1995.

5.1.- Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

a) Risulta dagli atti (che questa Corte ha visionato dato che è stata denunciata una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.) che la committente, sia in primo grado, che in grado di appello, ha concluso chiedendo: “(….) 3) per l’effetto, condannare la Beta Termica di G.G. a risarcire i danni subiti dalla opponente, nella misura di Lire 280.537.062 (Euro 144.885,30) o in quella maggiore o minore che risulterà di giustizia, anche in via equitativa, oltre interessi di legge, o in via generica da determinarsi in separato giudizio, (….)” (pag. 20 atto di appello). Sicchè, essendo chiaro, anche dal tenore della domanda, che la Pensione di M.M. aveva chiesto un risarcimento danno integrale (il danno, da liquidarsi anche in forma equitativa e gli interessi), la sentenza nel riconoscere e quantificare il maggior danno con criteri presuntivi ed equitativi (ovvero con l’applicazione di interessi calcolati ad un tasso medio) è pienamente coerente e proporzionata alla richiesta di giustizia che è stata avanzata dalla Pensione di M.M..

a.1.) Senza dire che, come ha affermato questa Corte in altra occasione e che il Collegio condivide: gli interessi legali sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno decorrono di diritto ed il giudice può attribuirli d’ufficio in assenza di una specifica domanda della parte, senza incorrere nel vizio di ultra petizione, quando questa abbia chiesto il risarcimento integrale del danno. Detti interessi, avendo natura compensativa del mancato godimento della somma liquidata, concorrono con la rivalutazione monetaria, che tende alla reintegrazione del danneggiato nella situazione patrimoniale antecedente il fatto illecito e devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell’arco di tempo compreso tra l’evento dannoso e la liquidazione.

b) La sentenza impugnata non ha, neppure, disatteso i criteri stabiliti dalla Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 1712 del 1995, posto che ha calcolato gli interessi sulle frazioni del capitale via via rivalutate e non sulla somma interamente rivalutata. Infatti, la Corte distrettuale ha avuto modo di precisare: “(….). La determinazione di un incremento costante, giorno per giorno, da un dato capitale iniziale ad un dato capitale finale costituisce una progressione aritmetica, in cui il primo termine è il capitale iniziale, l’ultimo -. ne è il capitale finale ed il numero dei termini è pari al numero dei giorni. Per altro, il montante di un giorno è pari al tasso annuale diviso per il numero dei giorni dell’anno. Sulla base della elementare legge matematica che regola le progressioni aritmetiche, la somma dei termini della progressione è pari alla semisomma degli estremi moltiplicata per il numero dei termini. Il valore cercato sarà, dunque, pari al montante di interesse per un giorno, moltiplicato per la somma dei termini della progressione, pari alla somma dei valori del capitale di ogni singolo giorno di maturazione. Quindi, la soluzione del problema in esame è data dalla espressione matematica. ((Ci Cy) /2 x g 3 x (t / 365)) (….)”.

6.- Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. per ultrapetizione in violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha disposto, ai sensi dell’art. 1243 c.c., la compensazione all’attualità del credito risarcitorio, rivalutato e maggiorato del danno da ritardo, riconosciuto in favore della Pensione VITTORIA M.M. con quello vantato per le opere eseguite dalla Beta Termica di G.G.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato nell’aver operato la compensazione all’attualità del credito risarcitorio rivalutato e maggiorato del danno da ritardo riconosciuto in favore della Pensione M.M. con quello vantato per le opere eseguite dalla società Betatermica. Secondo la ricorrente nel caso in esame difetterebbero i presupposti dell’istituto della compensazione propria applicata dal Giudicante perchè le contrapposte ragioni deriverebbero da un unico rapporto, cioè dall’esecuzione del contratto di appalto, e perciò i corrispettivi crediti verrebbero ad estinguersi automaticamente per poste attive e passive, fin dalla loro insorgenza.

6.1.- Il motivo è inammissibile perchè la ricorrente, pur denunciando una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ha, sostanzialmente, configurato una violazione di legge in relazione all’art. 1243 c.c..

Tuttavia, va qui osservato che, nel caso in esame, le contrapposte ragioni creditorie, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non derivano da un unico rapporto, (esecuzione del contratto di appalto), dovendo ritenere che la ragione del credito della committente non deriva dal contratto di appalto, ma dal risarcimento danni per inadempimento.

B.- Ricorso incidentale.

7.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale M.V.M. lamenta omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo la ricorrente incidentale, la Corte di Appello, nell’operare la compensazione tra i contrapposti crediti, non avrebbe tenuto conto della circostanza, pacificamente acquisita in causa, che la sig. M.M. in ottemperanza alla sentenza di primo grado e nel limiti dell’ordinanza di sospensione, aveva già corrisposto alla sig.ra G.G. la somma di Euro 26.043,40.

7.1.- Il motivo è inammissibile perchè generico, posto che la ricorrente non indica quali prove e quando abbia provato di aver corrisposto la somma di Euro 26.043,40, limitandosi, in questa sede ad affermare che l’appellante aveva dato atto della circostanza che la sig.ra G.G. aveva corrisposto la somma di cui si dice in ottemperanza alla sentenza di primo grado e nei limiti dell’ordinanza di sospensione dalla medesima Corte, resa in data 19 gennaio 2014, all’udienza di precisazione delle conclusioni e sia in seno alla comparsa conclusionale.

Senza dire che la circostanza dedotta potrà, comunque, rilevare in sede di esecuzione della sentenza.

C.- Ricorso incidentale subordinato

8.- M.V.M. lamenta:

a) con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1453 e 1218 c.c., e rispettivamente, art. 183 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente incidentale, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritener che la materia del contendere si fosse radicata sui vizi apparenti denunciati nell’atto introduttivo del giudizio a sostegno della domanda di risoluzione per inadempimento escludendo i vizi accertati in corso di causa ed esaurita la consulenza tecnica di ufficio, perchè non avrebbe tenuto conto che l’appellante ha potuto documentare gli ulteriori danni nel corso di causa e dopo aver conferito l’incarico di completare l’opera ad altre imprese.

b) con il secondo motivo dello stesso ricorso, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 1659 c.c., ed omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Secondo la ricorrente incidentale, i lavori che la Corte distrettuale avrebbe considerato extra contratto e la cui pattuizione sarebbe stata confermata dalle deposizioni testimoniali, rientravano, invece, a pieno titolo nell’oggetto del contratto. E, comunque la Corte avrebbe errato nel ritenere che il contenuto della prova testimoniale circa l’effettiva esecuzione dei lavori aggiuntivi fosse stato confermato dalla CTU non tenendo conto che la CTU, nel quantificare il valore dei lavori aggiuntivi, avrebbe affermato di non poter verificare se gli stessi fossero stati effettivamente eseguiti.

8.1.- I motivi del ricorso incidentale subordinato per stesa richiesta della ricorrente incidentale rimangono assorbiti dal rigetto del ricorso principale.

In definitiva, va rigettato il ricorso principale, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale e assorbito il ricorso incidentale subordinato. La reciproca soccombenza è ragione per compensare le spese del presente giudizio. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale dichiara assorbito il ricorso incidentale subordinato. Compensa le spese del presente giudizio di cassazione; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 13 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019

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