Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20368 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20368 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: NAPOLITANO LUCIO

ORDINANZA
sul ricorso 1549-2017 proposto da:
COMUNE DI TORINO, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE: BRUNO BUOZZI 87,
presso lo studio dell’avvocato NIASSIMO COLARIZI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANIBATTISTA
RIZZA;

– ricorrente contro
LANNI DOMENICO, LANNI ALESSANDRA;

– intimati avverso la sentenza n. 1268/3/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO, depositata il 18/10/2016;

Data pubblicazione: 31/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 04/04/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO
NAPOLITANO.

Ragioni della decisione
La Corte,
bis c.p.c.,

come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del
d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 197/2016;
dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo
Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente
motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 1268/3/2016, depositata il 18 ottobre 2016, la CTR
del Piemonte accolse l’appello proposto dai signori Domenico Lanni
ed Alessandra Lanni (padre e figlia) nei confronti del Comune di
Torino avverso la sentenza della CTP di Torino, che aveva respinto i
ricorsi riuniti dei contribuenti avverso il silenzio — rifiuto del Comune
di Torino in relazione all’istanza di rimborso dell’IMU che i
contribuenti ritenevano versata in eccedenza su quella effettivamente
dovuta per l’anno 2012.
Avverso la sentenza della CTR l’ente impositore ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a due motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese.
1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 53, comma 2, del d. lgs.
n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere
omesso la pronuncia impugnata di pronunciarsi sull’eccezione
d’inammissibilità dell’appello dei contribuenti avverso la pronuncia di
primo grado favorevole all’Amministrazione comunale, per difetto di
specificità dei motivi, essendosi limitati i contribuenti a reiterare i
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costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380

motivi d’impugnazione del silenzio — rifiuto reso dall’Amministrazione
sull’istanza di rimborso senza alcuna correlazione con le
argomentazioni svolte dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa

all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la decisione
impugnata ha ritenuto che fosse possibile ascrivere l’agevolazione,
prevista dalla suddetta norma di cui al citato decreto, al nucleo
familiare cui appartengono i ricorrenti, ciascuno possessore di uno dei
due immobili adibiti ad abitazione principale della famiglia, sul
presupposto che l’art. 13 del d.l. n. 201/2011 fa riferimento al
possessore ed al suo nucleo familiare.
3. Il primo motivo è inammissibile, sia in relazione alla denuncia della
violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che, come chiarito dalla
giurisprudenza di questa Corte, in primo luogo il vizio di omessa
pronuncia è riferibile alle sole questioni di merito (cfr. Cass. sez. 6-2,
ord. 14 marzo 2018, n. 6174; Cass. sez. 6-2, ord. 12 gennaio 2016, n.
321), mentre, in relazione alla denuncia della pretesa violazione della
disposizione di legge processuale invocata (art. 53 del d. lgs. n.
546/1992), è sufficiente ricordare che la giurisprudenza di questa Corte
in materia ha espresso il principio consolidato secondo cui «In tema di
contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello
proposto dal contribuente, delle ragioni d’impugnazione del
provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni
adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere d’impugnazione
specifica imposto dall’art. 53 del d. lgs. n. 546/1992, atteso il carattere
devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo
quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad
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applicazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201/2011, in relazione

ottenere il riesame della causa nel merito» (cfr., tra le molte, Cass. sez.
6-5, ord. 22 gennaio 2016, n. 1200; Cass. sez. 6-5, ord.1° luglio 2014, n.
14908).
4. Il secondo motivo è invece manifestamente fondato.
Giova premettere in fatto che la presente controversia trae origine da

dovessero entrambi beneficiare dell’agevolazione prevista dall’art. 13,
comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, nella 1. 24 dicembre 2011, n. 214, in relazione al fatto
che essi, padre e figlia, possedessero come abitazione principale, ivi
dimorandovi stabilmente ed avendo lì la propria residenza anagrafica,
l’unità immobiliare di proprietà l’una dell’altro.
4.1. Osserva la Corte che il tenore letterale della norma in esame è
chiaro, diversificandosi in modo evidente dalla previsione in tema di
ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione
principale, oggetto di diversi interventi normativi.
L’art. 13, comma 2, del citato d.l. n. 201/2011, per quanto qui rileva,
statuisce che «L’imposta municipale propria non si applica al possesso
dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di
quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 [… J. Per
abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel
catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il
possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e
risiedono anagraficamente».
Ciò comporta, per un verso, la non applicabilità della giurisprudenza
della Corte formatasi in tema di ICI, riferita, peraltro, ad unità
immobiliari contigue che, pur diversamente accatastate, fossero
destinate ad essere in concreto utilizzate come abitazione principale del
compendio nel suo complesso (cfr. Cass. sez. 5, 29 ottobre 2008, n.
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istanza di rimborso formulata dai contribuenti sul presupposto che

25902; Cass. sez. 5, 9 dicembre 2009, n. 25279; Cass. sez. 5, 12
febbraio 2010, n. 3393; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, 3011), per
altro la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto
il possessore quanto il suo nucleo familiare dimorino ivi stabilmente e
vi risiedano anagraficamente.

questa Corte, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle
norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr.
Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio
2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte
cost. 20 novembre 2017, n. 242).
4.3. D’altronde, come indiretta conferma di quanto sopra osservato,
rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato 13 del d.l. n.
201/2011, con l’aggiunta, ad opera dell’art. 1, comma 10, della 1. n.
208/2015, della previsione, al comma 3, del comma Oa), secondo cui,
solo con decorrenza dal 1° gennaio 2016, la base imponibile
dell’imposta municipale propria è ridotta del 50% «per le unità
immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie
catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo
ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come
abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che
il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda
anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui
è situato l’immobile concesso in comodato […]».
5. Il ricorso del Comune di Torino va pertanto accolto in relazione al
secondo motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza.
5.1. Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa
può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, ultima
parte, c.p.c., con rigetto degli originari ricorsi dei contribuenti.
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4.2. Ciò, d’altronde, è conforme all’orientamento costante espresso da

6. Avuto riguardo all’andamento del giudizio, possono essere
compensate tra le parti le spese del giudizio riguardo al doppio grado
di merito, ponendosi solidalmente le spese del giudizio di legittimità,
secondo soccombenza, a carico degli intimati, nella misura così come

Accoglie il ricorso in

relazione al secondo motivo, dichiarato

inammissibile il primo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e,
decidendo la causa nel merito,

rigetta gli originari ricorsi dei

contribuenti.
Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio
di merito e condanna gli intimati al pagamento in solido nei confronti
del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
510,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli
accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 aprile 2018

Il

idente

iitillo

liquidata in dispositivo.

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