Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20355 del 24/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/08/2017, (ud. 31/05/2013, dep.24/08/2017),  n. 20355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11083-2013 proposto da:

L.P., ((OMISSIS)); D.N.A. ((OMISSIS)) erede del

marito L.L.; L.P. ((OMISSIS));

L.M.L. ((OMISSIS)) erede del padre L.L.; L.A.

((OMISSIS)) in persona della procuratrice generale

S.A. ((OMISSIS)); L.A. ((OMISSIS)); A.G.

((OMISSIS)) erede del padre A.A. e della madre

L.M.; D.C.E. ((OMISSIS)) erede di L.A.M.,

D.C.R. ((OMISSIS)) erede di L.A.M.; F.R.

((OMISSIS)) erede di L.E. e di F.S.;

F.N.R. ((OMISSIS)) erede di L.E. e di

F.S.; tutti anche nella qualità di eredi di

L.M.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLLEVERDE 14,

presso lo studio dell’avvocato STEFANIA VISCO, rappresentati e

difesi dall’avvocato MICHELE BUONO;

– ricorrenti –

contro

A.C., ((OMISSIS)) erede della madre L.M. e del padre

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUGLIELMO

PEPE 37, presso lo studio dell’avvocato DORODEA CIANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAMPIERO AMORELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1719/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.M., premesso di aver posseduto ininterrottamente e pacificamente per oltre vent’anni il terreno censito al catasto rurale del Comune di (OMISSIS) e, comunque, di aver posseduto lo stesso terreno per oltre quindi anni ai sensi della L. n. 346 del 1976, artt. 1 e 2 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Latina i sigg. L. ( + ALTRI OMESSI

Si costituivano i convenuti, contestando la domanda attrice e ne chiedevano il rigetto.

Preso atto che era stata spiegata domanda, per mero errore, con riferimento alla particella (OMISSIS) e, invece, la particella, costituente oggetto di causa era, la particella (OMISSIS) di cui risultava titolare B.A., veniva avviato il presente giudizio nei confronti di quest’ultimo il qual eccepiva di essere carente di legittimazione passiva perchè proprietario della limitrofa particella (OMISSIS), estranea al giudizio e non della particella (OMISSIS), di cui erano proprietari gli stessi proprietari della particella (OMISSIS) e cioè i sigg. L. e F.C. che venivano, quindi, chiamati in causa previa autorizzazione del giudice.

Si costituivano i chiamati, contestando la domanda attrice e chiedendone il rigetto.

Il procedimento veniva integrato nei confronti di altro comproprietario L.A.. Interveniva volontariamente A.A. in adesione alla domanda della moglie L.M.. Il giudizio proseguiva nei confronti degli eredi di L.A.M. ( D.C.R. e D.C.E.), degli eredi di L.L. ( D.N.A., L.P. (11 febbraio 1959) e L.M.L.) e di F.C. ( L.A.).

Il Tribunale di Latina con sentenza n. 647 del 2006 rigettava la domanda dell’attrice perchè non provata e condannava la stessa al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello L.M. e A.A., chiedendo l’integrale riforma della sentenza impugnata e l’accoglimento della domanda proposta in primo grado. Si costituivano L.P. (8 ottobre 1950) L.P. (11 febbraio 1959) D.N.A., L.M.L., eccependo l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione nei confronti di tutti gli eredi delle parti decedute e, nel merito, chiedevano il rigetto del gravame e in via riconvenzionale chiedevano il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Nel corso del giudizio veniva disposta l’integrazione del contraddittorio di A.G. la quale costituitasi assumeva che il fondo controverso era stato posseduto dalla madre L.M. e dal padre A.A. e l’usucapione sarebbe intervenuta nei confronti di entrambi. Alla morte di L.E. il giudizio veniva riassunto da A.C..

D.C.R., L.M.L., L.L., D.C.E., F.S., F.R., F.N.R., sono rimasti contumaci.

La Corte di Appello di Roma con sentenza n.1719 del 2012 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che A.C. quale erede di L.M. aveva acquisto per usucapione la proprietà del terreno oggetto di causa, rigettava gli appelli incidentali e dichiarava compensate le spese di entrambi i gradi del giudizio e dichiarava non ripetibili le spese nei confronti delle parti non costituite. Secondo la Corte di Appello di Roma la prova testimoniale aveva confermato la circostanza che almeno dal 1971 L.M. era nel pieno ed esclusivo possesso del terreno per cui era causa che lo coltivava con il solo ausilio del suo nucleo familiare, ne percepiva in modo esclusivo i frutti e ne disponeva come se ne fosse esclusiva proprietaria.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dai sigg. L.P. (8 ottobre 1950) P. (11 Febbraio 1959) M.L., A., A., D.N.A., A.G., D.C.E., d.C.R., F.R., F.N., con ricorso affidato a tre motivi. A.C. ha resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza camerale le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo del ricorso I sigg. L. ( P. (8 ottobre 1950) P. (11 Febbraio 1959) M.L., A., A.,) D.N.A., A.G., D.C.E., d.C.R., F.R., F.N., lamentano l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione agli artt. 922,1158 e 1159 bis c.c. in riferimento agli artt. 1140,1141 e 1102 c.c. circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale nel ritenere che la L.M. aveva acquistato il bene di cui si dice per usucapione ultraventennale, non avrebbe tenuto conto di fatti decisivi per il giudizio che avevano formato oggetto di discussione tra le parti. Ed, essenzialmente, la Corte distrettuale non avrebbe considerato, sempre secondo i ricorrenti: a) che l’inizio del possesso collocato nel 1971 non risultava assolutamente provato posto che i testimoni escussi hanno indicato date e tempi diversi. Da ciò sarebbe derivato che il preteso possesso non sarebbe stato ultraventennale, come avrebbe dovuto essere; b) che alla morte del padre della L.M., aperta la successione dello stesso L.M. diventava comproprietaria e coerede del fondo e ciò comportava che la Leccese avrebbe dovuto dimostrare di aver posseduto in modo da rendere impossibile il godimento da parte degli altri coeredi. Il che stava a dimostrare che non vi era in capo alla Leccese l’esclusività del possesso.; c) che la recinzione del fondo posta in essere da L.M. databile, dicembre 1994, il fatto che non sia stata accolta l’azione possessoria della L. esperita, diversamente da quanto affermato dalla Corte distrettuale, nel 1994, stavano a dimostrate che non vi era stata neppure la continuità del possesso.

1.1.= Il motivo è infondato ed essenzialmente perchè l’assunta violazione di legge si basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze di causa (l’esclusività, la continuità e la durata del possesso), censurabile – e solo entro certi limiti – sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo.

Va qui ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica, necessariamente, un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in tal senso essenzialmente cfr. Cass. n. 16698 e 7394 del 2010)

1.2.= Piuttosto i fatti riferiti dai ricorrenti sono stati, puntualmente e singolarmente, esaminati e valutati dalla Corte distrettuale specificando che “(….) Il portato della prova testimoniale ha poi trovato riscontro tanto nella lettera del 2 maggio 1980 (prodotta dagli stessi chiamati in causa nel giudizio di primo grado) con la quale si lamenta nei confronti di L.S. (padre di L.M.) il fatto che egli possedesse esclusivamente l’intero fondo quanto nei provvedimenti amministrativi che il Comune di Gaeta ha adottato nei confronti della sola L.M. in relazione ad una recinzione del fondo dalla stessa realizzata e rispetto ai quali la sola L.M. ha resistito con ricorso davanti al Tar del Lazio, ottenendone l’annullamento con sentenza n. 1399199 del 2005: In questo contesto probatorio completo ed esaustivo che dimostra come il possesso di L.M. sia stato pieno ed esclusivo (si pensi all’attività di coltivazione autonomamente esercitata, all’apprendimento di tutti i frutti ed agli atti di piena disponibilità sul bene) e non certamente riconducibile ad ipotesi di legittimo uso della cosa comune da parte del comproprietario (come gli altri coeredi avrebbero potuto infatti avere analogo uso del fondo nelle condizioni date?), nè, analogamente, di compossesso, di nessun rilievo è il fatto che non sia stata accolta la sua azione possessoria esperita nel 2004 atteso che, comunque, la stesa è riferibile a fatti temporalmente successivi al compimento dell’usucapione (….)” (e lo stesso sarebbe anche se la data non fosse il 2004 ma, come indicano i ricorrenti, il 1994, posto che l’usucapione sarebbe, comunque, matura nel 1991, essendo il possesso iniziato nel 1971).

2.= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 922, 1158 e 1159 c.c. in relazione agli artt. 1140,1142 e 1102 c.c.. Secondo i ricorrenti L.M. dal 19 maggio 1985, cioè dalla morte del padre L.S., avrebbe posseduto il bene uti condominus, pertanto avrebbe dovuto, o non lo avrebbe fatto, di aver posseduto in modo esclusivo ovvero con attività che rendesse incompatibile il godimento dello stesso bene da parte degli altri comproprietari (eredi di L.S.). Senza dire che il disposto acquisto per usucapione sarebbe avvenuto in mancanza di un’effettiva ed inequivocabile prova documentale attinente alla proprietà del cespite controverso, posto che B., che figurava catastalmente proprietario del fondo, era stato estromesso per difetto di legittimazione.

2.1.= Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè muove da un presupposto non dimostrato e, cioè, che L.M. avesse iniziato a possedere alla morte del padre L.S., che la Corte distrettuale ha esplicitamente escluso specificando che “(….) almeno dal 1971 L.M. era nel pieno ed esclusivo possesso e godimento del fondo per cui è causa(…)”. Nè è pensabile che la morte di L.S. abbia condizionato o mutato il possesso del bene esercitato dalla L.M. da possesso esclusivo a possesso uti condominus.

2.2.= Inammissibile è, altresì, la censura relativa all’estromissione dal giudizio di B. perchè non sembra che tale eccezione sia stata avanzata, come avrebbe dovuto essere, nel giudizio di merito.

3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 342 c.p.c.. Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato atteso che l’appellante non avrebbe chiesto di accertare e dichiarare che il possesso della madre L.M. sarebbe stato esercitato ad ceteros escludendum quanto meno per il periodo intercorrente dal 1985 al 1994.

3.1.= Il motivo è inammissibile non solo perchè muove da un presupposto la cui esistenza è stata esclusa dalla Corte distrettuale e cioè che la L.M. possedesse il bene di cui si dice uti condominus, ma, anche, e/o soprattutto, per mancanza di interesse. Infatti, che il possesso della Leccese non consentisse ad altri (ai coeredi) il godimento del bene, nel ragionamento della Corte distrettuale, non è stato un dato da accertare ma una conseguenza della sussistenza di un possesso pieno ed esclusivo. In altri termini, l’affermazione, contenuta nella sentenza di appello, secondo la quale il possesso del L. era “(….) stato pieno ed esclusivo (….) e non certamente riconducibile ad un’ipotesi di legittimo uso della cosa comune da parte del comproprietario, nè analogamente, di compossesso (….)” è stata svolta “ad abundantiam”, e, come tale, non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa ed essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidati con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% dei compensi ed accessori come per legge, dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2017

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