Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20353 del 31/07/2018
Civile Sent. Sez. U Num. 20353 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA
SENTENZA
sul ricorso 6696-2018 proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, elettivamente domiciliatosi in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI
CASSAZIONE;
– ricorrente contro
MALVASI BARBARA, elettivamente domiciliatasi in ROMA, VIA
APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIAN FRANCESCO IADECOLA;
– resistente con procura –
Data pubblicazione: 31/07/2018
avverso la sentenza n. 7/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA
MAGISTRATURA, depositata il 16/01/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/07/2018 dal consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale LUIGI
udito l’Avvocato Gianfranco Iadecola.
Fatti di causa
La Procura generale presso la Corte di cassazione ha esercitato
l’azione disciplinare nei confronti di Barbara Malvasi, nella qualità di
giudice monocratico del Tribunale di Modena, addebitandole la grave
e inescusabile violazione delle norme che presiedono al regolare
svolgimento del processo penale, nonché del carattere vincolante
endoprocessuale delle statuizioni della Corte di Cassazione ai fini del
giudizio di rinvio. Ciò perché il magistrato ha reiterato la propria
decisione di dichiarare la nullità del decreto di citazione a giudizio
per indeterminatezza dei capi d’imputazione per duplice omicidio
colposo senza consentire al pubblico ministero d’integrarli; e ciò
sebbene la prima ordinanza con la quale la dr. Malvasi aveva
dichiarato tale nullità fosse stata annullata da questa Corte, con
sentenza 19 maggio/5 giugno 2015, n. 24227, perché ritenuta
abnorme giustappunto per la medesima condotta. Sicché il
magistrato avrebbe ignorato la regola di condotta fissata da questa
Corte con quella pronuncia di annullamento.
La
sezione
magistratura
disciplinare
del
Consiglio
superiore
della
ha assolto l’incolpata reputando insussistente
l’addebito.
In particolare, il giudice disciplinare ha rimarcato che, a seguito
dell’annullamento della prima ordinanza, e al cospetto della
reiterazione dell’eccezione di nullità da parte del difensore di uno dei
responsabili civili, alla quale si era associato il difensore di un altro di
Ric. 2018 n. 06696 sez. SU – ud. 17-07-2018
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SALVATO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
essi, il giudice aveva promosso il confronto tra le parti in
dibattimento, dal quale era emerso che il pubblico ministero non
aveva intenzione di procedere a integrazione alcuna, perché
sosteneva che la chiarezza e la completezza dei capi d’imputazione
già emergessero dalle valutazioni della Corte di cassazione, che, con
incidentale.
Il che, secondo la sezione disciplinare, ha comportato
l’osservanza della regola di diritto fissata dalla Corte di cassazione
con la sentenza di annullamento.
Contro questa sentenza la Procura generale propone ricorso per
ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo, cui non v’è
replica per iscritto.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, la Procura generale sostiene che
la motivazione della sentenza impugnata sia insufficiente,
contraddittoria e comunque manifestamente illogica. E ciò perché la
sezione disciplinare ha trascurato di esaminare il verbale della prima
udienza tenutasi dinanzi alla dr. Malvasi, dal quale emerge che la
condotta e nella prima e nella seconda occasione è stata identica:
anche la prima volta difatti il giudice aveva interloquito col pubblico
ministero, ma aveva trascurato, allo stesso modo in cui è avvenuto
dopo l’annullamento della prima ordinanza, d’invitarlo a integrare il
la sentenza richiamata, le aveva sottolineate, sia pure in via
decreto di citazione a giudizio che ella riteneva nullo. In mancanza di
tale invito, prosegue la ricorrente, il giudice si è limitato a presumere
che il pubblico ministero ritenesse impossibile o comunque inutile
l’integrazione delle imputazioni.
Il ricorso è infondato, sebbene si debba correggere la
motivazione della sentenza impugnata.
Con la sentenza n. 24227/15 questa Corte ha annullato senza
rinvio l’ordinanza con la quale era stata dichiarata la nullità del
Ric. 2018 n. 06696 sez. SU – ud. 17-07-2018
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99,9,
decreto di citazione a giudizio, disponendo la «restituzione degli atti
al Tribunale di Modena per l’ulteriore corso del processo».
Non viene dunque in applicazione l’art. 623, 1° comma, lett. a),
c.p.p., a norma del quale «…se è annullata un’ordinanza, la Corte
di Cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha
annullamento»; e, conseguenzialmente, non trova spazio l’art. 627
c.p.c., il quale, nel regolare il giudizio di rinvio dopo l’annullamento,
stabilisce (3° comma) che «il giudice di rinvio si uniforma alla
sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni
questione di diritto con essa decisa».
Il giudice monocratico del Tribunale di Modena ha dato corso al
processo, partendo dal punto nel quale esso si era arrestato; e, nel
farlo, ha applicato la giurisprudenza di legittimità che nel frattempo è
maturata, la quale esclude che l’ordinanza con cui si dichiari la nullità
del decreto di citazione a giudizio senza il previo invito al pubblico
ministero di procedere alle integrazioni ritenute necessarie si possa
considerare abnorme (si veda Cass. pen. 12 maggio/8 giugno 2016,
n. 23832, seguita da Cass. pen. 27 settembre 2016/9 febbraio 2017,
n. 6044).
La circostanza che l’annullamento della prima ordinanza sia
stato disposto senza rinvio comporta difatti l’inapplicabilità
dell’indirizzo di questa Corte, secondo cui l’obbligo del giudice di
rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per
quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa è assoluto
ed inderogabile anche quando, a seguito di tale decisione, sia
intervenuto un mutamento di giurisprudenza (Cass. pen. 28
marzo/23 maggio 2017, n. 25722).
Del tutto ininfluenti sono, allora, per un verso l’affermato
travisamento della prova, che la Procura generale evince dall’omessa
valutazione del verbale concernente la prima udienza svoltasi dinanzi
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pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di
alla dr. Malvasi e, per altro verso, la censura concernente
l’interpretazione della condotta tenuta dal pubblico ministero nella
seconda udienza tenutasi dinanzi al medesimo giudice.
Non v’è difatti alcuna violazione di legge foriera di
responsabilità disciplinare del magistrato, ravvisabile in relazione non
deontologicamente deviante posto in essere nell’esercizio della
funzione, che impone, perciò, una valutazione complessiva della
vicenda e dell’atteggiamento in essa tenuto dal magistrato, al fine di
verificare se il comportamento sia idoneo, siccome dovuto
«quantomeno» a inescusabile negligenza, a compromettere sia la
considerazione di cui il singolo magistrato deve godere, sia il prestigio
dell’ordine giudiziario (tra varie, Cass. sez. un., 3 luglio 2012, n.
11069).
Il ricorso va quindi respinto.
Non vanno adottate statuizioni
sulle spese, non potendo
esserne destinatario il Procuratore generale presso la Corte di
cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.
al risultato dell’attività giurisdizionale, bensì al comportamento