Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2035 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2022, (ud. 03/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18801/2015 proposto da:

Giova Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Pieve Di Cadore 30 presso lo

studio dell’avvocato Ussani D’escobar Vincenzo, rappresentato e

difeso dall’avvocato Coppola Paola;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 368/2015 della COMM.TRIB.REG., CAMPANIA,

depositata il 16/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2021 dal Consigliere Dott. MONDINI ANTONIO;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

1.La srl Giova propone ricorso, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la CTR della Campania ha rigettato l’appello di essa ricorrente contro la pronuncia reiettiva della impugnazione di un avviso di classamento in categoria A/2 con una determinata rendita, di undici unità immobiliari per le quali era stata proposta con procedura DOCFA l’attribuzione della categoria A/3 con rendita inferiore.

2. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

3. La Procura Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. La contribuente ha depositato memoria.

5.La pubblica udienza del 3 dicembre 2021 è stata tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7 conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo e il secondo e il quarto motivo di ricorso la contribuente lamenta la nullità della sentenza per mancanza, apparenza, contraddittorietà, di motivazione.

2. I tre motivi sono infondati.

E’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sezioni Unite 8053/2014).

“Poiché spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, non è sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la “ratio decidendi” (Cass. Sez. 5, sentenza n. 10330 del 01/07/2003).

Il discorso motivazionale della CTR sussiste, è chiaro e insindacabile: la CTR ha esposto che la contribuente aveva appellato la sentenza di primo grado in particolare sottolineando, anche sul richiamo a due consulenze tecniche, che gli immobili in questione avevano caratteristiche tali da non poter essere comparati con quelli presi invece a comparazione dall’ufficio e tali da renderne invece esatto l’inquadramento nella categoria A/3; ha poi esposto che l’ufficio aveva ribadito la correttezza del proprio operato; tanto esposto, la CTR, al di là del richiamo alla valutazione dell’operato dell’ufficio compiuta dai giudici di primo grado e ritenuta “corretta”, ha affermato – così evidentemente scegliendo, tra le complessive risultanze del processo, quelle fatte valere dall’Ufficio siccome decisive – che l’attribuzione della categoria A/2 era basata sulla comparazione con analoghe “unità ricadenti nella stessa zona di riferimento” e che gli appartamenti, “scaturiti” dall’ampliamento e ristrutturazione “di ex uffici” non potevano essere inquadrati nella categoria A/3 riservata ad alloggi popolari.

3.Con il terzo motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciare sulla eccezione, proposta in primo grado, non esaminata dalla CTP e riproposta in appello, di carenza di motivazione dell’avviso.

4. Il motivo è infondato.

La CTR si è pronunciata in modo espresso sulla e per la “correttezza e conformità alla normativa vigente” della attribuzione agli immobili della classe e della rendita di cui all’avviso impugnato.

Con ciò, ossia con l’affermare che vi erano i motivi sostanziali cioè le ragioni giuridiche e fattuali per l’adozione della decisione in concreto adottata dall’ufficio, si è pronunciata, in modo implicito ma inequivocabile, nel senso di escludere che l’avviso fosse carente di motivazione-discorso. Il difetto di motivazione – intesa questa come discorso sui motivi – è stato definito come il “vizio di frontiera” tra i vizi formali e vizi sostanziali dell’atto impositivo talché deve ritenersi che la CTR, nel rispetto del dovere del giudice tributario davanti al quale l’atto sia impugnato, di dichiararne l’invalidità per vizi formali astenendosi dall’esame sul merito del rapporto, sia passata al merito del rapporto avendo valutato l’eccezione della contribuente come infondata.

5. Con il quinto motivo di ricorso la contribuente lamenta “violazione e/o falsa applicazione del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2 convertito dalla L. n. 75 del 1993 e D.M. 19 aprile 1994, n. 701, nonché del D.L. n. 70 del 1988, art. 11, comma 1, convertito dalla L. n. 154 del 1988 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 54. Violazione degli artt. 2697 ss. c.p.c. oltre che della L. n. 212 del 2000, artt. 6, 7 e 12”. La contribuente in concreto si duole di ciò che la CTR, in primo luogo, non abbia rilevato il difetto di motivazione dell’avviso, in secondo luogo, non abbia rilevato il difetto di contraddittorio endoprocedimentale (“non avere l’ufficio chiamato la contribuente in contraddittorio prima di emanare l’avviso per acquisire gli elementi necessari a ben provvedere”), in terzo luogo, abbia ritenuto che essa contribuente “non aveva fornito documentazione idonea a confutare l’operato dell’ufficio senza considerare che invece era emerso agli atti di causa che l’ufficio avesse rettificato la rendita proposta delle diverse unità immobiliari della ricorrente senza fornire le ragioni per cui aveva disatteso gli elementi di fatto indicati nel Docfa e senza indicare il classamento di fabbricati similari aventi caratteristiche analoghe”.

6. Il motivo è infondato.

In ordine alla prima e alla terza doglianza, dalla lettura dell’avviso (allegato al ricorso per cassazione e in parte trascritto a pagina 3 del ricorso medesimo), emerge che essa, correttamente è stata disattesa. Questa Corte ha in più occasioni (v. tra altre Cass. n. 31809/18; 12777/18) che: “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni”. La motivazione dell’avviso reca i dati oggettivi degli immobili della ricorrente e la classe, e la conseguente rendita, ad essi attribuita e mai la contribuente ha specificato sotto quale profilo l’ufficio non avrebbe riconosciuto la consistenza delle unità abitative indicata nel DOCFA.

In ordine alla seconda doglianza la stessa è stata correttamente disattesa.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato (Cass. 24823/2015) il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo Stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito, mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Nel caso di specie non si tratta di questione relativa a tributi armonizzati. Per di più la contribuente non ha neppure detto cosa avrebbe fatto valere ove il contraddittorio endoprocedimentale fosse stato attivato.

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la contribuente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3000,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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