Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20341 del 28/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 28/09/2020), n.20341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17631-2019 proposto da:

E.R., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DI PIETRA

PAPA, 21 presso lo studio dell’avvocato DANIEL DEL MONTE, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.P., R.M.G., R.D., elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’avvocato MICHELE PROVERBIO;

– controricorrenti

contro

GENERALI ITALIA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO GELLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2269/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che E.R. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 2269/19, del 3 aprile 2019, della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo il gravame principale esperito da R.D., R.M.G. e R.P., avverso la sentenza n. 13002/12, del Tribunale di Roma (respingendo, invece, per quanto qui ancora di interesse, quello incidentale della E.) – ha rigettato la domanda risarcitoria, proposta dall’odierna ricorrente, in relazione ad un incidente occorsole, il 25 gennaio 2005, alle ore 16:15, per essere inciampata e caduta in terra, a causa di un gradino dissestato, mentre percorreva un’area di proprietà delle predette R.;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di aver adito – su tale presupposto – il Tribunale di Roma. per chiedere il ristoro dei danni patiti, avendo ella riportato, a seguito della descritta caduta, “contusione del cranio, del viso, della mano bilaterale e distorsione della caviglia destra”, stimando il “quantum debeatur” nella misura di Euro 15.000,00;

– che le R. si costituivano in giudizio, essendo autorizzate a chiamare in manleva la società Ina Assitalia S.p.a. (oggi Generali Italia S.p.a.), con la quale una delle convenute aveva stipulato una polizza fabbricati, oltre S.G. e S.M., nonchè D.V.G., presunti proprietari dell’area interessata dal sinistro;

– che istruita la causa anche mediante prova per interpello e testi, oltre che attraverso lo svolgimento di CTU medico-legale, il primo giudice, dichiarato il difetto di legittimazione passiva (o meglio, di titolarità, dal lato passivo, del rapporto controverso) degli S. e del D.V., condannava le convenute, in solido, a risarcire il danno all’attrice, quantificandolo in Euro 12.675,50, oltre accessori, ponendo a loro carico le spese del giudizio;

– che esperito gravame, in via di principalità, dalle convenute/soccombenti (le quali, subordinatamente al rigetto della domanda risarcitoria, reiteravano la richiesta, non accolta dal primo giudice, che Ina Assitalia, in caso di conferma della condanna comminata a loro carico, fosse tenuta a rimborsare a R.D. la quota di sua spettanza del “quantum debeatur, nonchè, in via incidentale, dalla stessa E., il giudice di appello, in riforma della sentenza impugnata, escludeva la responsabilità delle convenute;

– che a tale esito esso perveniva sul rilievo che, nell’interrogatorio formale, l’attrice aveva affermato di frequentare “abitualmente” il tratto di strada luogo del sinistro e di conoscere “lo stato dissesto” dello stesso (stato, peraltro, a suo giudizio “peggiorato” il giorno dell’incidente, giacchè “aveva piovuto”), sicchè, secondo il giudice di appello, se ne doveva trarre la conclusione che l’odierna ricorrente non avesse “prestato la dovuta attenzione”;

– che avverso la decisione della Corte capitolina ricorre la E. sulla base – come detto – di un unico motivo;

– che esso denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.;

– che, in particolare, la ricorrente lamenta come la Corte territoriale abbia motivato la propria decisione – peraltro, in pochissime righe – “esclusivamente su un’affermazione dell’odierna ricorrente in sede di interrogatorio formale”, non avendo “dato alcun rilievo alla prova testimoniale assunta in primo grado” (dalla quale emergeva che la E. “era caduta su un’area rialzata rispetto al manto stradale pieno di brecciolino”, area “dissestata”, al pari, del resto, del gradino sul quale era inciampata la donna, che risultava sbriciolato “come se fosse saltato un pezzo d’asfalto”), nè a talune risultanze documentali;

– che, difatti, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata non ha preso in considerazione nè la relazione di servizio della Polizia Municipale del Comune di Roma (secondo cui l’area in questione presentava diverse asperità ed un gradino dissestato, essendo inoltre priva della copertura bituminosa), nè le risultanze della CTU, mentre il giudice di prime cure – ritenendo le conclusioni raggiunte dall’ausiliario il risultato “di un’accurata disamina dei fatti in contestazione”, effettuata “con corretti criteri e iter logico ineccepibile” – ebbe a riconoscere “la presenza del nesso causale tra modalità del sinistro e danni fisici riportati da E.R.”;

– che la Corte territoriale, inoltre, mentre ha dato rilievo alle risultanze dell’interrogatorio formale, avrebbe “completamente ignorato una fondamentale ammissione contenuta nell’atto di appello”, visto che nello stesso si afferma che l’area luogo del sinistro “già da anni presentava carenze di manutenzione”, le quali, “per la loro consistenza, non possono ritenersi frutto di un breve lasso di tempo”;

– che, pertanto, poichè nel caso – qual è il presente – di azione esperita ai sensi dell’art. 2051 c.c., l’attore ha solo l’onere di provare il nesso eziologico tra cosa ed evento di danno, prescindendo la responsabilità del custode da qualsiasi connotato di colpa, ed essendo a suo carico la prova del fortuito, potendo esso consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato, ma solo quando esso costituisca la causa esclusiva del danno, la sentenza impugnata avrebbe violato e falsamente applicato la norma suddetta;

– che, infatti, secondo l’orientamento di questa Corte – conclude la ricorrente – la condotta del danneggiato non integra il caso fortuito “qualora il custode non abbia posto in essere tutte quelle attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio del “neminem laedere” idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa”;

– che R.D., R.M.G. e R.P. hanno resistito, con controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto, sul rilievo che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), presuppone che siano incontestati i fatti di causa, mentre è proprio la ricostruzione fattuale dell’accaduto ciò che la ricorrente contesterebbe, fermo restando, poi, che l’accertamento circa l’avvenuto attraversamento dell’area, da parte della E., pur nella consapevolezza della pericolosità della stessa, costituirebbe riprova che il contegno della vittima, in quanto “doloso”, si è posto come causa esclusiva del sinistro;

– che anche Generali Italia (già Ina Assitalia) ha resistito, con proprio controricorso, alla proposta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità – per violazione del principio di autosufficienza e, comunque, perchè teso a sollecitare un non consentito riesame del merito della controversia – o comunque il rigetto, essendo, in ogni caso, il motivo di ricorso non fondato, perchè la responsabilità ex art. 2051 c.c. presuppone che “il danno sia cagionato dalla “res” senza intervento del fatto colposo del danneggiato”, la sussistenza del quale è stata accertata nel caso che occupa;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, inizialmente per il 26 marzo 2020 e, poi, per il 16 luglio 2020;

– che la ricorrente E. ha depositato due diverse memorie, con le quali ha insistito nelle proprie tesi, in particolare svolgendo argomentazioni a confutazione della proposta del relatore;

– che anche la controricorrente Generali Italia h depositato memoria, ribadendo le proprie conclusioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è inammissibile, ritenendo questo collegio di non condividere – per le ragioni di cui meglio si dirà di seguito – i rilievi svolti dalla ricorrente in replica alla proposta del consigliere relatore;

– che, difatti, il solo motivo in cui si articola la presente impugnazione – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. – si colloca, come non hanno mancato di notare gli stessi controricorrenti, fuori dall’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), visto che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che la ricorrente si duole del fatto che la Corte capitolina abbia dato esclusivo rilievo all’interrogatorio libero dell’attrice, disattendendo altre risultanze istruttorie (deposizione testimoniale, relazione della Polizia Municipale e consulenza tecnica d’ufficio) – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01);

– che, invero, “la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (così Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);

– che, in ogni caso, la sentenza impugnata – nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto, emerso dall’interrogatorio dell’odierna ricorrente, che ella attraversasse “abitualmente” il tratto di strada luogo del sinistro, e che conoscesse “lo stato dissesto” dello stesso, peraltro, a suo dire, “peggiorato” il giorno dell’incidente, giorno in cui, oltretutto, “aveva piovuto” (ciò che, quindi, avrebbe dovuto indurre la E. ad ancora maggiore circospezione) – si è conformata al principio secondo cui, “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2019, n. 9315, Rv. 653609-01; si veda anche, con riferimento a danni originati dalla presenza di buche nella pavimentazione stradale, Cass. Sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 22 dicembre 2017, n. 30775, Rv. 647197-01);

– che, pertanto, la Corte territoriale non ha affatto disatteso -come sostenuto dalla ricorrente, in particolare, nella (duplice) memoria depositata in vista dell’adunanza camerale del 16 luglio – i principi enunciati, da questa Corte, circa la verifica del nesso causale, con specifico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., fermo restando che solo “l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, restando, invece, inteso che “l’eventuale errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata” (Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439, Rv. 630127-01);

– che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;

– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando E.R. a rifondere sia a R.D., R.M.G. e R.P., che alla società Generali Italia S.p.a, le spese del presente giudizio, che liquida, per le prime, nella misura di Euro 2.400,00, nonchè, per la seconda, Euro 3.000,00, oltre – per tutti – Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2020

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