Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2034 del 26/01/2018


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2034 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA

sul ricorso n. 26605/2012 proposto da:
C ,A.)

COMUNE DI FFtATTAMAGGIORE

rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Damiano, con domicilio
eletto in Roma, via della Balduina, n. 120/5, presso lo studio dell’avv.
Ferruccio Auletta;
– ricorrente contro
DI GABRIELE LUIGI, in proprio e quale procuratore speciale di
DI GABRIELE CLELIA
PAGNANO GREGORIO, quale procuratore speciale di PAGNANO
PASQUALE e FUSCO GIUSEPPINA

rappresentati e difesi dagli avv.ti Domenico Fimnnanò e Simeone Rus-

9>

e_

Data pubblicazione: 26/01/2018

so, con domicilio eletto in Roma, via Sesto Rufo, n. 23, presso lo studio dell’avv. Lucio Valerio Moscarini;
– con troricorrenti nonché contro

COOP. EDILIZIA PARCO DEI FIORI A R.L.
REGIONE CAMPANIA

– intimatiavverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 3365, depositata in data 19 ottobre 2012;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2017 dal
Consigliere dott. Pietro Campanile;
sentito per il ricorrente l’avv. Damiano;
sentito per i controricorrenti l’avv. Fimmanò;
udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del sostituto
dott.ssa Immacolata Zeno, la quale ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso, o, in subordine, per il rigetto del primo e del secondo motivo, e per l’inammissibilità del terzo e del quarto.
FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5039 del 2010 il Tribunale di Napoli rigettava la
domanda proposta da Di Gabriele Clelia, Chianese Angela, Narrante
Giuseppe, Di Gabriele Luigi, Pagnano Gregorio, quale procuratore
speciale dei coniugi Pagnano Pasquale e Fusco Giuseppina, avente ad
oggetto il risarcimento dei danni relativi all’illecita occupazione e trasformazione di terreni di loro proprietà nei confronti del Comune di
Frattamaggiore, della Coop. Edilizia Parco dei Fiori e della Regione
Campania, ritenendo che fra le parti dovesse operare con efficacia di

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CHIANESE ANGELA – NARRANTE LUIGI

giudicato la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 761 del 30
marzo 1992, con la quale, in relazione alla medesima vicenda espropriativa, era stata determinata l’indennità di espropriazione, non potendosi, pertanto, tener conto, di una successiva decisione del giudice

di pubblica utilità.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli,
non

definitivamente

pronunciando,

dichiarata

improponibile

l’impugnazione nei confronti della Coop. Edilizia, ha affermato
l’ammissibilità dell’azione risarcitoria, non preclusa dalla precedente
decisione avente ad oggetto la determinazione dell’indennità di
espropriazione.
3. Ha poi ribadito la sussistenza della legittimazione passiva del Comune di Frattamaggiore, disponendo con separata ordinanza in ordine alla prosecuzione del procedimento.
4. Avverso tale decisione il Comune di Frattamaggiore propone ricorso immediato, affidato a quattro motivi, cui i proprietari dei suoli indicati in epigrafe resistono con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc.
civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendosi violazione degli artt. 2909 cod.
civ. e 99 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo, si
sostiene che la corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso la
preclusione derivante dal giudicato formatosi in merito alla legittimità
della procedura ablativa, implicitamente affermata nella decisione,

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amministrativo che aveva annullato gli atti inerenti alla dichiarazione

passata in giudicato, inerente al precedente giudizio di opposizione alla stima, anteriore alla pronuncia del giudice amministrativo di annullamento del P.E.E.P., e, pertanto, ad essa insensibile.
2. Con il secondo mezzo le violazioni sopra richiamate, nonché quella

all’affermata responsabilità del Comune in merito all’occupazione sine
titulo del terreno degli appellanti.
Si deduce: a) l’esclusione della legittimazione passiva del Comune
nella sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione alla stima
avrebbe dovuto riverberarsi anche nel procedimento concernente
l’azione risarcitoria; b) l’annullamento del piano per l’edilizia sarebbe
avvenuto ad opera di un terzo soggetto, la S.p.a. SAES; c) i proprietari non avrebbero invocato la tutela aquiliana prescindendo dal giudicato di annullamento del piano, di talché la stessa sarebbe stata accordata d’ufficio; c) in ogni caso, la responsabilità del Comune,
nell’ambito del medesimo rapporto giuridico, sarebbe stata esclusa
con la precedente decisione n. 761 del 1992; d), non sarebbero stati
adeguatamente esaminati i profili inerenti alla responsabilità extracontrattuale attribuita all’ente ricorrente.
3. Con la terza censura la violazione degli artt. 2909 cod. civ., 99
cod. proc. civ. 3 dell’art. 9, c. 3, della I. n. 167 del 1962, con deduzione anche dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio,
viene prospetta in relazione all’efficacia del giudicato amministrativo
formatosi in ordine all’illegittimità del decreto che aveva approvato il
piano di zona per l’edilizia economica e popolare del Comune di Frattamaggiore, impugnato, fra gli altri, da Clelia e Luigi Di Gabriele, e

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inerente all’art. 112 cod. proc. civ., vengono prospettate in relazione

non dagli altri espropriati, nei cui confronti, quindi, la procedura
espropriativa avrebbe dovuto considerarsi legittima.
4. Con il quarto mezzo si deduce violazione dell’art. 2945 cod. civ.,
degli artt. 110 e 350 cod. proc. civ., nonché vizio motivazionale, per

del Comune — l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci
della Cooperativa, la cui cancellazione dal registro delle imprese aveva comportato la declaratoria di improponibilità dei gravami proposti
nei suoi confronti.
5. Deve preliminarmente affermarsi l’ammissibilità del ricorso, dovendo trovare applicazione il principio secondo cui, allorché, come
nella specie, nel giudizio si trovino cumulate più domande fra le stesse parti, anche connesse soltanto soggettivamente, la sentenza che,
con riguardo a taluna o talune delle domande, abbia deciso solo alcune questioni senza definire il giudizio, e che invece, con riguardo ad
altre domande, abbia contemporaneamente definito il giudizio, è soggetta esclusivamente al regime di impugnazione per cassazione di cui
all’art. 361 cod. proc. civ., restandone escluso l’assoggettamento al
regime di impugnazione per cassazione necessariamente differita,
previsto dall’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ., per la decisione
soltanto su questioni. Ne consegue che la sentenza è alternativamente impugnabile immediatamente, ovvero suscettibile di riserva di impugnazione da ciascuna delle parti interessate, con riferimento a tutte
le statuizioni e, quindi, anche a quelle che altrimenti sarebbero state
soggette al regime dell’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass.,
29 luglio 2011, n. 16734).

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non essersi disposta — con evidente pregiudizio delle ragioni di rivalsa

6. Il primo motivo è infondato. Deve in primo luogo richiamarsi il consolidato principio secondo l’autorità del giudicato sostanziale opera
soltanto entro i rigorosi limiti rappresentati dagli elementi costitutivi
dell’azione, e presuppone, quindi, che la causa precedente e quella in

petendi, restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione
(cfr. ex plurimis, Cass. 24 marzo 2014, n. 6830; Cass., 27 gennaio
2006, n. 1760; Cass., 19 luglio 2005, n. 15222; Cass., 27 agosto
2002, n. 12564). Tanto premesso, va osservato che la giurisprudenza
di questa Corte ha in più occasioni rimarcato la sostanziale diversità
fra le domande proposte dall’espropriato aventi ad oggetto la determinazione dell’indennità e le azioni di natura risarcitoria scaturenti da
occupazioni illegittime, ponendo in evidenza l’innegabile diversità fra
le stesse, sotto i distinti profili del petitum e della causa petendi
(Cass., 5 maggio 1998, n. 4485; Cass., 28 agosto 1999, n. 9055;
Cass., 30 agosto 2001, n. 11344; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19644;
Cass., 10 agosto 2008, n. 21944).
E’ stato altresì rilevato che il giudizio di opposizione alla stima ha per

oggetto esclusivamente la determinazione del quantum dell’indennità
dovuta all’espropriato per effetto dell’ablazione dell’immobile (e plurimis Cass. 18 maggio 2012, n. 7906; Cass. 15 marzo 2001, n. 3749;
Cass. 1 agosto 1996, n. 6957), senza che vi sia un accertamento, suscettibile di giudicato, sulla legittimità della procedura espropriativa.

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atto abbiano in comune, oltre ai soggetti, anche il petitum e la causa

7. La seconda censura presenta aspetti di inammissibilità e di infondatezza.
7.1. Il primo profilo, con il quale si ribadisce l’eccezione di carenza di
legittimazione del Comune, già affermata nella precedente sentenza

dell’impossibilità di predicare il formarsi del giudicato in presenza di
due azioni ontologicamente distinte (alla giurisprudenza sopra richiamata adde Cass., Sez. U, 24 aprile 1979, n. 2313, nella quale, per altro, si afferma anche l’efficacia dell’annullamento del piano regolatore
nei confronti di tutti gli interessati, indipendentemente dalla loro partecipazione al giudizio amministrativo).
7.2. La questione dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo
non risulta sottoposta nel giudizio di secondo grado, ed è pertanto,
connotata dal carattere della novità (implicando, per altro, anche
aspetti di natura fattuale), con conseguente inammissibilità del profilo
di censura.
7.3. Non sussiste, per altro, il denunciato vizio di ultrapetizione, in
quanto l’azione aquiliana risulta in ogni caso proposta sulla base della
illegittima apprensione del bene, realizzata in totale carenza di potere
ablatorio. L’annullamento degli atti della procedura ablativa in sede
giurisdizionale elimina, infatti, con effetto ex tunc la dichiarazione di
pubblica utilità e la condotta dell’amministrazione assume le connotazioni di mera attività di fatto (Cass. 5 febbraio 2008, n. 2746).
7.4. Quanto al giudizio di corresponsabilità espresso nei confronti del
Comune di Frattamaggiore, deve preliminarmente rilevarsi che
l’accertamento in merito alla sussistenza del nesso di causalità fra la

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relativa al giudizio di opposizione alla stima, risente all’evidenza

condotta ascritta a tale ente e il danno lamentato dagli intimati è riservato al giudice del merito, che al riguardo ha reso congrua motivazione, per altro non sindacabile in questa sede, dovendosi applicare,
ratione temporis, l’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 5, nella

con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al
“minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione,
nel senso già chiarito da questa Corte (Cass., Sez. un., n. 8053 del
2014), secondo cui la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione.
Benvero la Corte di appello ha riferito l’attività illecita posta alla base
della domanda risarcitoria dei proprietari all’attività sia della cooperative che del Comune, osservando, quando al secondo, che la sua responsabilità scaturiva dalla qualità di “autore, per quanto già detto,
di un’attività amministrativa di programmazione costruttiva viziata e
illegittima, per aver avviato e condotto la correlata procedura espropriativa in violazione dei precetti di legge, per aver quindi concorso
con il proprio operato insieme alla cooperativa nel determinare
l’evento dannoso per cui è causa”.
Risulta correttamente applicato, pertanto, il principio costantemente
affermato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente di questa
Corte: tutta l’attività svolta nel corso dell’occupazione, da chiunque
esplicata – per definizione illecita -, rende l’autore o gli autori responsabili del relativo risarcimento ai sensi degli artt. 2043 e 2055 cod.
civ.. Detta responsabilità grava sempre e comunque anzitutto sull’en-

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versione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito

te che ha consumato l’illecita apprensione e posto in essere il mutamento del regime di appartenenza dell’immobile (Cass., n. 11890 del
2006; Cass., n. 6591 del 2003; Cass., n. 15687 del 2001).
Né possono condividersi i rilievi in relazione all’assenza dell’elemento

tamaggiore al fatto generatore della responsabilità, poiché, nella misura in cui la colpa della pubblica amministrazione non può automaticamente farsi discendere dall’illegittimità del provvedimento annullato, non è la decisione del giudice amministrativo di accoglimento delle
censure dei aventi diritto che lamentano l’esistenza di determinati vizi
che determina la consapevolezza della loro probabile sussistenza
(come rilevato nella decisione di questa Corte n. 8692 del 2013, invocata, anche nella memoria, dall’ente territoriale), dovendosi individuare (e ciò valga anche per l’impresa esecutrice) nella stessa denuncia dei vizi stessi, della quale l’ente ricorrente certamente era a conoscenza, la fonte di quel dovere di prudenza e di diligenza tale da imporre di verificare, in via del tutto autonoma, la ragionevole fondatezza di tali censure, astenendosi, quindi, dal compiere atti probabilmente lesivi della sfera giuridica dei proprietari dei suoli.
Pur dovendosi sottolineare come la materia dell’elemento psicologico
in merito alla condotta degli esecutori materiali dell’attività – giova ripeterlo, per se stessa illecita – inerente alla manipolazione del fondo
nell’ambito dell’occupazione illecita non risulti adeguatamente approfondita nell’elaborazione giurisprudenziale, giova richiamare un precedente e condivisibile arresto di questa Corte (Cass., 5 novembre
1997, n. 10840), nel quale si afferma che con la responsabilità

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elemento psicologico e, in generale, all’estraneità del Comune di Frat-

dell’ente espropriante (nella specie, il Comune) concorre, in tal caso,
quella degli enti delegati alla costruzione di edifici sul suolo occupato
qualora, nel comportamento di chi perseveri nell’occupazione del terreno e nella costruzione dei manufatti, pur essendo a conoscenza del-

gli elementi della responsabilità aquiliana (condotta attiva od omissiva, elemento psicologico della colpa, danno, nesso di causalità tra
condotta e pregiudizio).
Mette conto di aggiungere, ad integrazione della motivazione della
decisione impugnata, il cui dispositivo appare conforme al diritto, che
– venendo nella specie in considerazione un intervento finalizzato alla
concessione, in favore della cooperativa edilizia, del diritto di superficie sul suolo occupato, ed avendo il Comune riservato per sé la proprietà del terreno – deve trovare applicazione il principio, di recente
ribadito da questa Corte (Cass., 7 marzo 2017, n. 5687; 21 novembre 2015, n. 23639, in motivazione), secondo cui la titolarità passiva
del rapporto obbligatorio aquiliano va riconosciuta non solo in capo a
colui che ha proceduto alla materiale apprensione del bene, al compimento delle attività anche giuridiche necessarie a tal fine, nonchè
all’esecuzione dell’opera pubblica, ma anche in capo a colui il quale
conserva l’occupazione dell’immobile senza titolo, in quanto in tale
comportamento possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l’elemento psicologico
della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio.
8. Il terzo motivo è inammissibile: viene prospettata una questione
del tutto nuova, inerente ai limiti soggettivi dell’efficacia del giudicato

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la prospettata illegittimità dell’occupazione, possano individuarsi tutti

amministrativo, per altro comportante, oltre alla soluzione di questioni giuridiche, anche accertamenti di natura fattuale.
9. Il quarto motivo è infondato. Va rilevato preliminarmente che non
è contestata la declaratoria di inammissibilità del gravame proposto

ta dal Registro delle Imprese in data 15 febbraio 2005, nel corso del
giudizio di primo grado, evidentemente in applicazione del principio
secondo cui, poiché la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società, privandola della capacità processuale,
l’appello successivo al verificarsi della cancellazione deve provenire (o
essere indirizzato) dai soci (o nei confronti dei soci) succeduti alla società estinta, a pena di inammissibilità, atteso che la stabilizzazione
processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (Cass., 28 novembre 2014,
n. 25275; Cass., Sez. U, 13 marzo 2013, n. 6070). La tesi secondo
cui avrebbe dovuto disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci impinge, pertanto, contro la natura scindibile
dell’obbligazione solidale. Deve invero ribadirsi che in tema di responsabilità da fatto illecito, il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria, escludendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile
tra i soggetti che abbiano concorso nella produzione del danno, comporta, sul piano processuale, l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, la quale impedisce di ravvisare un litisconsorzio necessario tra gli autori dell’illecito (Cass., 13
ottobre 2016, n. 20962).

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nei confronti della Società cooperativa a r. I. Parco dei Fiori, cancella-

10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del Comune di Frattamaggiore al pagamento delle spese relative al presente giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.

relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.200,00,
di cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione
civile, il 5 aprile 201
Coiglier est.
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11 Funzionario Giu
Dott.ssa Fabrizio

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Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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