Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20337 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 26/07/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 26/07/2019), n.20337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16610/2013 R.G. proposto da:

L.P., titolare della ditta individuale SOGECO DI

L.P., rappresentato e difeso, come da procure speciale in atti,

dagli Avv.ti Antonio Romano, Pietro Romano ed Ercole Forgione, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Trasone, n. 8-12;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 118/31/12, depositata il 10 agosto 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 giugno 2019

dal Consigliere Dott. MICHELE CATALDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Ettore Pedicini, che ha concluso per

l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv. Pietro Romano per il ricorrente e l’Avv. dello Stato

Emanuele Valenzano per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L.P., titolare della ditta individuale SOGECO DI L.P., propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 118/31/12, depositata il 10 agosto 2012, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Varese, che aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso d’accertamento con il quale l’Ufficio aveva rettificato, ai fini IRPEF, il reddito imponibile d’impresa dichiarato per l’anno d’imposta 2005, disconoscendo la deducibilità della sopravvenienza passiva costituita dalla nota di credito n. (OMISSIS) del 2005, emessa dal contribuente ad integrale storno della fattura n. (OMISSIS) del 2003, emessa dalla stessa ditta individuale nei confronti della Cooperativa Sered per lavori edili di manovalanza e spostamento materiali eseguiti presso “Vs cantieri Winterthur Centro servizi: Ancona – Bologna – Brescia – Torino – Napoli”.

2. Infatti, l’Ufficio aveva ritenuto che la predetta fattura del 2003 fosse relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti e che non fosse possibile pertanto configurare come sopravvenienza passiva la relativa nota di credito emessa nel 2005, atteso che il presupposto dello storno non era l’erronea fatturazione, come sostenuto dal contribuente, ma la falsità dell’originaria fattura, che non rendeva ammissibile la pretesa variazione. Peraltro, aggiungeva l’Ufficio, i medesimi ricavi di cui alla fattura n. (OMISSIS) del 2003 erano stati, di fatto, già stornati, nello stesso anno d’imposta 2003, con le fatture emesse, nei confronti dello stesso L., dalla terza ditta L.P.M.” relative ad operazioni a loro volta inesistenti.

3. La CTP aveva accolto il ricorso introduttivo del contribuente, ritenendo che l’accertamento impugnato non fosse sufficientemente motivato e che l’Ufficio non avesse assolto all’onere di provare la natura fittizia della fattura stornata.

4. La CTR ha invece accolto l’appello dell’Ufficio, considerando l’accertamento legittimamente motivato per relationem e ritenendo raggiunta la prova della natura fittizia della fattura stornata.

5. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo per il giudizio, poichè il giudice a quo non avrebbe spiegato perchè, ove pure la fattura stornata con la nota di credito avesse effettivamente avuto per oggetto operazioni inesistenti, il suo storno non potesse comunque essere considerato una legittima sopravvenienza passiva, atteso che il relativo corrispettivo, pur contabilizzato tra i ricavi dell’esercizio 2003, non era mai stato realmente incassato;

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione:

– del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 (rectius, art. 26), che, in materia di IVA, consente di procedere all’emissione della nota di credito quando un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, con diritto del cedente del bene o prestatore del servizio di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione;

– del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66 (ora 101), che considera sopravvenienze passive il mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi e la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

Avrebbe infatti errato la CTR nell’escludere che la nota di credito in questione potesse costituire una sopravvenienza passiva rilevante ai sensi delle predette norme.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che spettasse al ricorrente fornire la prova della natura effettiva delle prestazioni di cui alle fatture emesse dalla ditta del terzo L.P. nei confronti della ditta dello stesso L., mentre l’onere probatorio dell’inesistenza delle operazioni fatturate gravava piuttosto sull’Amministrazione finanziaria.

4. Per la loro stretta connessione, tutti i motivi vanno trattati congiuntamente e vanno respinti, in quanto infondati.

4.1. Infatti, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio dell’onere della prova in materia di fatture relative ad operazioni inesistenti, laddove, con specifico riferimento alla fattura n. (OMISSIS) del 2003 emessa dal ricorrente, che è quella cui si riferisce la nota di credito controversa, ha enucleato una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (la riferibilità di fatto al ricorrente della stessa cooperativa cessionaria delle prestazioni fatturate, confortata da una serie di riscontri oggettivi; la circostanza che, nei rapporti tra la ditta del ricorrente e la cooperativa, era piuttosto quest’ultima che svolgeva servizi a favore della prima; la genericità dell’indicazione delle prestazioni nella fattura e la coincidenza con il medesimo importo fatturato dalla cooperativa nello stesso anno d’imposta 2003; l’anomala crescita dei costi della cooperativa nello stesso anno d’imposta e l’elevata percentuale, rispetto al loro ammontare complessivo, imputabile alla fattura in questione) che sorreggevano la conclusione che la fattura de qua fosse stata emessa non per mero errore, come sostenuto dal ricorrente, ma per procurare alla cooperativa stessa un costo fittizio idoneo a ridurne il reddito imponibile.

All’esito di tale riscontro istruttorio fornito dall’Ufficio era quindi onere dei contribuente, in conformità a quanto ritenuto da questa Corte (Cass., 19/10/2018, n. 26453; Cass., 05/07/2018, n. 17619) provare che l’operazione fatturata fosse invece effettiva. Ma lo stesso ricorrente non solo non indica nessun elemento istruttorio, atto a contrastare l’inesistenza dell’operazione, che sia stato fornito in giudizio e che sia stato trascurato dal giudice a quo, ma anzi riconosce che i servizi di cui alla sua fattura n. 5 del 2003 non erano stati effettivamente prestati, adducendo tuttavia, a giustificazione della loro fatturazione da parte sua, un generico errore, del quale non indica nè la natura, nè i riscontri forniti in giudizio.

Nè peraltro, la motivazione della sentenza impugnata, in ordine alla natura fittizia della fattura emessa dallo stesso ricorrente, può ritenersi viziata, come si sostiene nel terzo motivo di ricorso, dal mero generico riferimento alla “ricostruzione dei rapporti tra il Sig. L. ed il Sig. L.P.”, contenuta nel penultimo cpv. della parte motiva del provvedimento.

Infatti, rispetto alla fattispecie concreta oggetto dell’accertamento qui sub iudice – ovvero l’indeducibilità dello storno della fattura n. (OMISSIS) del 2003 del L., a causa della natura fittizia di quest’ultima – la considerazione della natura reale o meno di altri rapporti contrattuali intrattenuti dal ricorrente con una terza ditta, e da quest’ultima eventualmente fatturati, non appare necessaria, nè decisiva, e tale comunque non è stata considerata dalla motivazione della CTR, la cui ratio decidendi è invece correttamente centrata sul rapporto tra la cooperativa Sered ed il ricorrente, contabilizzato dalla fattura di quest’ultimo, poi stornata con la nota di credito.

4.2. In punto di diritto, poi, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, alla natura fittizia della fattura n. (OMISSIS) del 2003 del contribuente consegue l’indeducibilità, quale componente passivo del reddito imponibile, della nota di credito n. (OMISSIS) del 2005, con la quale lo stesso ricorrente ha stornato il medesimo importo come sopravvenienza passiva.

Infatti, la legittimità dell’operazione di storno di fatture con note di variazione dello stesso importo può ritenersi giuridicamente legittima unicamente nell’ipotesi in cui e operazioni oggetto delle fatture e delle successive note siano effettive e non pure nel caso, posto a fondamento dell’atto impositivo qui impugnato, di operazioni del tutto inesistenti, in quanto l’utilizzazione del meccanismo dell’emissione di una nota di credito è consentito solo per rimediare ad una operazione effettiva e reale (Cass., 09/01/2017, n. 10083, in motivazione; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12168 del 26/05/2009,n. 12168, in motivazione; Cass. 10/06/2005, n. 12353; Cass., 18/11/2011, n. 24231).

Ed invero nel caso di specie, che ha per oggetto l’ammissibilità o meno della deducibilità della sopravvenienza passiva dall’imponibile dell’anno d’imposta 2005, l’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate dal ricorrente non integra alcuna delle fattispecie di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66 (ora 101) ed in particolare nè il mancato conseguimento di ricavi o di altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nè la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, atteso che tali ipotesi presuppongono necessariamente la natura effettiva del titolo dal quale derivano i ricavi o le attività già considerati ai fini del reddito imponibile di un esercizio precedente.

4.3. Peraltro, in materia d’IVA, anche nel caso di operazioni inesistenti (che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21,comma 7, comportano la debenza dell’imposta per l’intero ammontare corrispondente alle indicazioni della fattura) resta salva la possibilità, entro un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile, di una correzione o di un annullamento, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, della fattura erroneamente emessa dal contribuente, se il destinatario non ne abbia fatto uso fiscale (Cass., 27/05/2015, n. 10939. Cfr. altresì Corte Giustizia, 8 maggio 2019, C-712/17, secondo cui chi emette fatture per operazioni inesistenti ha il diritto di recuperare l’IVA addebitata al cliente se non sussiste alcun rischio di perdita di gettito, mentre, dal Iato del cliente, la sanzione pari all’imposta indebitamente detratta è illegittima, in quanto viola il principio di proporzionalità, se non si è verificato alcun danno erariale) Mentre, per quanto riguarda le imposte dirette, che colpiscono esclusivamente la ricchezza reale, le operazioni oggettivamente inesistenti non concorrono alla formazione del reddito imponibile oggetto di rettifica: ” In tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, conv., con mod., nella L. n. 44 del 2012, che ha portata retroattiva ed è applicabile anche d’ufficio, i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese.” (Cass., 20/04/2016, n. 7896. Nello stesso senso Cass., 07/03/2018, n. 18390; Cass., 20/04/2016, n. 7896).

Tuttavia, l’emenda delle fatture deve avvenire nel rispetto del principio di competenza, che trova deroga annuale esclusivamente nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3, in materia d’IVA, per le rettifiche delle inesattezze che abbiano dato luogo all’imposizione ai sensi dello stesso decreto, art. 21, comma 7.

Nè, comunque, sussiste, nel caso di specie, ai fini delle imposte dirette, il presupposto necessario della deroga al criterio di competenza, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, che si realizza attraverso la posticipata deducibilità, ai sensi della stessa fonte, art. 66, di componenti negativi del reddito, ovvero la certezza, della loro esistenza e della determinabilità obiettiva del loro ammontare, che sia sopravvenuta alla formazione del titolo giuridico fonte dei ricavi (Cass., 22/09/2006, n. 20521; Cass., 14/05/2007, n. 10988; Cass., 24/10/2012, n. 18237, ex plurimis).

Infatti, se l’operazione fatturata è oggettivamente inesistente, la consapevolezza del contribuente circa l’inesistenza dei relativi ricavi è necessariamente contestuale alla fatturazione e non giustifica, pertanto, la successiva deduzione di una correlata sopravvenienza passiva, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (cfr. Cass., n. 28159 del 17/12/2013).

Correttamente, pertanto, l’accertamento dell’Ufficio, che la CTR ha ritenuto legittimo, ha escluso la configurabilità e la deducibilità, nell’anno d’imposta 2005, della sopravvenienza passiva in questione, con la quale il contribuente stornava una fattura per operazioni oggettivamente inesistenti emessa ben due anni prima, ovvero nell’anno d’imposta 2003.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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