Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20337 del 16/07/2021

Cassazione civile sez. II, 16/07/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 16/07/2021), n.20337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 20490/2016) proposto da:

C.M., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv.

Giuseppe Lupis, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio,

in Roma, v. Ugo De Carolis, n. 93;

– ricorrente –

contro

L.I., (C.F.: (OMISSIS)), T.A. (C.F.: (OMISSIS)),

e T.M., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù

di procure speciali apposte in calce alle copie dei ricorso

rispettivamente loro notificato, dall’Avv. Gabriele de Majo, ed

elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma, via

Salaria, n. 32;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 721/2016

(pubblicata il 2 febbraio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 11244/2012 il Tribunale di Roma rigettava la domanda di rilascio proposta da L.I., T.A. e T.M. nei confronti di Ch.Gi. e C.M., con la quale avevano assunto che questi ultimi detenevano senza titolo gli immobili riportati nel catasto fabbricati del Comune di Roma al foglio (OMISSIS) particelle (OMISSIS) ed al catasto terreni del medesimo Comune al foglio (OMISSIS) particelle (OMISSIS), parte della particella (OMISSIS), di cui essi attori deducevano di essere proprietari. Lo stesso Tribunale aveva, invece, accolto la domanda riconvenzionale di usucapione della proprietà di detti immobili formulata dagli anzidetti convenuti ed aveva condannato in solido gli attori anche al pagamento delle spese giudiziali.

2. Decidendo sull’appello dai soccombenti attori originari e nella costituzione degli appellati, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 721/2016 (pubblicata il 2 febbraio 2016), accoglieva il gravame, dichiarando che Ch.Gi. e C.M. detenevano senza titolo gli immobili come in precedenza identificati, rigettando, pertanto, la domanda riconvenzionale proposta in primo grado dai medesimi appellati, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, ad eccezione di quelle occorse per la c.t.u., che poneva a definitivo carico degli appellati.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte laziale ravvisava la fondatezza dell’appello sulla base delle seguenti argomentazioni: – che risultava incontestata la circostanza che T.R., dante causa degli appellanti, e Ch.Gi. avevano costituito una società di fatto per la conduzione delle “(OMISSIS)”, nella quale si ricomprendevano gli immobili dedotti in controversia, che tale rapporto con i proprietari della tenuta era stato risolto con scrittura privata del 24 maggio 1979 e che la detenzione da parte del T. e del Ch. aveva trovato origine in detto rapporto; – che era rimasto altrettanto pacificamente accertato che i medesimi, una volta risolto il contratto di conduzione della tenuta, erano rimasti nella detenzione degli immobili in virtù di contratto di locazione concluso con gli allora proprietari; che, pertanto, il T. ed il Ch. avevano iniziato e continuato a detenere gli immobili contesi in dipendenza dei riferiti rapporti contrattuali e che l’unica modifica sopravvenuta era stata rappresentata dall’acquisto, da parte del T.R., della citata Tenuta nel 1984, pur restando immutata la posizione del Ch., il quale non aveva, tuttavia, provato che, ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2, fosse intervenuta la mutazione del suo titolo da detenzione in possesso contro il proprietario-possessore, per quanto emergente da una pluralità di riscontri fattuali acquisiti al materiale probatorio di causa.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, C.M. (in proprio e quale erede di Ch.Gi.), resistito con un unico controricorso da parte di tutti gli intimati.

4. In data 26 marzo 2021 il difensore della ricorrente ha fatto pervenire istanza di rinvio sulla base di un asserito attacco informatico al suo computer. Il collegio ritiene che la richiesta non sia accoglibile alla stregua della ragione addotta (in ogni caso non confortata da alcun elemento probatorio) e, comunque, sulla scorta della disponibilità della documentazione cartacea relativa degli atti del giudizio da parte del medesimo difensore, va affermato che non può ritenersi configurabile alcuna lesione del diritto di difesa e di quello al contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia (per quanto sembrerebbe evincersi dalle pagg. 9, 14 e 16 del ricorso) l’erroneità ed illogicità dell’impugnata sentenza rispetto a quanto stabilito dagli artt. 832,1140,1141 e 1158 c.c., sul presupposto che l’accoglimento dell’appello avrebbe trovato fondamento in una serie di considerazioni che non trovavano riscontro negli atti processuali e nelle risultanze probatorie, come invece correttamente valutate dal giudice di primo grado, avuto riguardo ai complessivi esiti dell’istruzione compiuta nel giudizio di prime cure, dai quali si sarebbe dovuta desumere l’avvenuta interversione prevista dal citato art. 1141 c.c., con la conseguente configurazione delle condizioni per l’acquisto a titolo di usucapione degli immobili dedotti in controversia.

2. Con la seconda censura (v. pag. 14 del ricorso) si deduce (testualmente) l’omesso esame di usucapione in comunione, ovvero sulla circostanza relativa al compossesso delle parti come condomini, che, anche se non esclusivo, sarebbe da considerarsi idoneo ai fini dell’usucapione del diritto di comproprietà.

3. Ritiene il collegio che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile sia perché in esso difetta un idoneo assolvimento dell’indicazione di quanto necessario con riferimento all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), sia perché, in realtà, esso si risolve in una inammissibile sollecitazione nella presente sede di legittimità ad una rivalutazione di merito sulle complessive risultanze probatorie relative alla prospettata idoneità delle stesse a riscontrare la sussistenza dei presupposti per il reclamato acquisto a titolo di usucapione della proprietà degli immobili oggetto di causa.

Va osservato, infatti, che – sul piano della struttura dei motivi – manca un’esposizione ordinata, precisa e distinta delle distinte violazioni fatte valere (non potendosi ritenere al riguardo sufficiente l’indicazione emergente dalle pagg. 9, 14 e 16 del ricorso, laddove si pone riferimento all’asserita violazione degli artt. 832,1140,1141 e 1158 c.c.) e ciò in contrasto con il pacifico orientamento di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 16700/2020 e Cass. SU n. 23745/2020), secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica (con l’evidenziazione univoca delle norme asseritamente violate e la riconduzione delle violazioni stesse ad uno o più motivi elencati nell’art. 360 c.p.c.), la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia.

In ogni caso, oltre a far valere mere rivalutazioni di merito, con il ricorso si deduce, in effetti, anche un vizio di insufficienza della motivazione, non più ammissibile a seguito della novellazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile “ratione temporis”, poiché la sentenza di appello risulta emessa dopo l’11 settembre 2012), per quanto si evince dalla chiosa finale (riportata a pag. 20 del ricorso), laddove si afferma che “tutto quanto evidenziato porta a denunciare la violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di possesso e usucapione, e in particolare degli artt. 1140 e 1158 c.c., l’omessa e/o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, mancata valutazione dei mezzi di prova acquisiti e dell’omessa richiesta di altri da parte di T. – L.”.

E’, inoltre, indiscutibile che, in tema di possesso “ad usucapionem”, non è censurabile in sede di legittimità – ove congruamente motivato ed immune da vizi giuridici (come verificatosi nel caso di specie, alla stregua dell’adeguatezza del percorso logico-giuridico addotto a sostegno dell’impugnata sentenza, con la quale sono state prese in considerazione tutte le circostanze fattuali emerse) – l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano, o meno, gli estremi del possesso idoneo ad usucapire (cfr. Cass. n. 11410/2010 e Cass. n. 356/2017).

4. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna alla ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

 

 

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