Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20336 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. III, 25/09/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28241-2019 proposto da:

J.B., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LORENZO TRUCCO;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE CASSAZIONE;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 287/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. J.B., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse di esser fuggito dal proprio paese per il timore di dover affrontare un processo e venire arrestato per il danneggiamento di una abitazione compiuto mentre svolgeva la sua attività di meccanico. Non avendo disponibilità economiche per risarcire il danno e non volendo tornare a vivere con la seconda moglie del padre defunto, con la quale intratteneva rapporti sgradevoli, decise di recarsi dapprima in Senegal per giungere poi in Italia nel 2015.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento J.B. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex. art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 dinanzi il Tribunale di Torino, che con ordinanza del 30 marzo 2018 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente non credibile;

b) la domanda di protezione internazionale infondata, perchè i fatti narrati riguardavano questioni meramente private non tutelabili in sede di protezione internazionale;

c) la domanda di protezione sussidiaria infondata, perchè le condizioni attuali del paese di provenienza erano mutate e non era in atto alcun conflitto armato;

d) la domanda di protezione umanitaria infondata poichè l’istante non aveva provato nè allegato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quella posta a fondamento delle domande di protezione maggiore, di per sè dimostrativa di una situazione di vulnerabilità;

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di l’orino con sentenza n. 287/2019, pubblicata il 12/02/2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da J.B. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e/o erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 del D.lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) in combinato disposto con il D.lgs. n. 25 del 2008, art. 8 anche in relazione alla mancata audizione del ricorrente”. Da una parte il giudice di merito avrebbe omesso l’audizione del richiedente, ritenuta invece necessaria dal ricorrente ai fini del giudizio di credibilità; dall’altra non avrebbe adeguatamente considerato la situazione del sistema giudiziario presente in (OMISSIS), in cui ripetute sarebbero le violazioni dei diritti umani.

Il motivo è infondato.

In relazione alla mancata audizione del richiedente asilo, può dirsi ormai consolidato, presso questa Corte, il principio secondo il quale, fermo l’obbligo di fissare, a pena di nullità, l’udienza di comparizione, “nel procedimento relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (tra le tante conformi, Cass. n. 3003/2018 e Cass. 14600/2019).

Non ignora il collegio che, con la recente ordinanza n. 9228/2020, questa stessa Corte ha enunciato il diverso principio secondo cui “nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parli, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio. Tale interpretazione è resa evidente non solo dalla lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 ed 11 che distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l’udienza, da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, ma anche dalla valutazione delle intenioni del legislatore che ha previsto la videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, per consentire al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in lutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, anche in ragione della natura camerale non partecipata della la se giurisdizionale”.

La solidità ed il rigore delle argomentazioni poste a fondamento di tale principio, che si leggono nella parte motiva della poc’anzi richiamata ordinanza, non appaiono, peraltro, idonee, a giudizio del collegio, a modificare radicalmente il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità.

E’ pur vero che l’omessa audizione del richiedente asilo da parte dell’organo giurisdizionale trova il suo presupposto normativo, prima ancora che logico, nell’obbligo di videoregistrazione del suo interpello dinanzi alla Commissione territoriale; ma è parimenti ius receptum presso questa Corte, anche alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza sovranazionale, quello secondo cui tale obbligo (ove non adempiuto) non si pone come necessariamente speculare a quello dell’audizione dinanzi al Tribunale e/o alla Corte di appello investiti del ricorso, qualora il contenuto del verbale formato dinanzi alla Commissione territoriale appaia completo ed esaustivo di tutti gli aspetti della vicenda personale narrata dal ricorrente.

Ne consegue che il principio tradizionale, cui il collegio intende dare continuità, deve essere in parte qua specificato nel senso che, al fine di ritenere legittimamente predicabile un vero e proprio obbligo di audizione da parte del giudice, è necessario che, in sede di udienza di comparizione ovvero attraverso gli scritti difensivi tempestivamente depositati, il richiedente asilo, oltre ad allegare le circostanze che intende riferire all’organo giurisdizionale, evidenzi specificamente i motivi per i quali la nuova audizione si renderebbe necessaria (motivi quali la non corretta traduzione delle dichiarazioni da parte dell’interprete, la necessità di fornire chiarimenti indispensabili al fine di dar conto delle apparenti contraddizioni emerse in sede di audizione e poste a fondamento del provvedimento di rigetto dell’istanza da parte della Commissione territoriale, l’omissione di fatti decisivi al fine di valutare la credibilità del racconto, l’omessa formulazione, da parte dei componenti della Commissione, di domande altrettanto decisive perchè funzionali ad una miglior comprensione e valutazione del contenuto dell’audizione stessa).

Nella specie, la Corte d’appello, correttamente, sulla base della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedete in sede amministrativa e del contenuto dell’atto di appello dove non sono stati allegati fatti per cui si rendeva necessario l’audizione del ricorrente, ha ritenuto non procedere ad una nuova audizione.

Riguardo alla supposta mancata considerazione della situazione sociopolitica in (OMISSIS) da parte del giudice di merito, la rimostranza è in contrasto con gli accertamenti compiuti dalla Corte d’appello, secondo cui il mutamento delle condizioni ivi presenti non rendono più attuale un rischio per il richiedente di un danno grave alla persona.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e/o erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3 D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 ed in relazione all’art. 10 Cost., comma 3”. I giudici di merito avrebbero erroneamente negato il riconoscimento della protezione umanitaria, disconoscendo una situazione di vulnerabilità la quale anzi sarebbe palese, stante la giovane età del richiedente nonchè le vicende subite. Per di più mancherebbe il giudizio comparativo tra la situazione del soggetto in (OMISSIS) e quella raggiunta in Italia.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, riguardo il mancato riconoscimento di una situazione di vulnerabilità, codesto è un accertamento di fatto che compete al giudice di merito, non sindacabile in tale sede se non sotto il profilo motivazionale, che appare però scevro di vizi. In secondo luogo, le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità (cfr. Cass. 4455/2018) in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia”. Nel caso di specie il giudice del merito si è attenuto ai principi sopraindicati, con motivazione che si sottrae alla censure ad essa mosse dal ricorrente.

6. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la indefesio della parte pubblica.

6.1. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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