Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20336 del 04/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20336 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA
sul ricorso 16666-2007 proposto da:
CRETI’ FERNANDO legale rappresentante dell’omonima
ditta CRTFNN46M021172C, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio MARCO
GARDIN, rappresentato e difeso dall’avvocato ANCORA
LUCIANO;
– ricorrente –

2013

contro

1253

SPANO

FRANCESCA

SPNFNC62R441172C,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 96, presso
lo

studio

dell’avvocato

FERRARA

GIOVANNI,

Data pubblicazione: 04/09/2013

rappresentata

e

difesa

dall’avvocato

ERRIQUEZ

GIUSEPPE;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 422/2006 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 09/06/2006;

udienza del 08/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito l’Avvocato ANCORA Luciano, difensore del
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi gli Avvocati ERRIQUEZ Giuseppe, Claudio MANGIA
difensori della resistente cha hanno chiesto il
rigetto del ricorso e nel merito infondato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 13 luglio 2004 Creti Fernando proponeva appello

. .

avverso la sentenza n. 90 del 1004 con la quale il Tribunale di Lecce rigettava
,

la domanda proposta dall’appellante contro Francesca Spanò, rilevando che
l’attore il quale in base ad un contratto di appalto aveva eseguito lavori edili

per conto della convenuta, non aveva diritto al compenso in quanto la
costruzione era stata realizzata in totale difformità dalla concessione edilizia
n. 14 del 1997 e dichiarava inammissibile la domanda dello stesso attore di
indebito arricchimento in quanto nuova non proposta nei termini di rito,
accoglieva la domanda riconvenzionale della convenuta e condannava il Creti
a restituire la somma di €. 11.103,82, pari agli acconti percepiti per i lavori
eseguiti, condannava infine lo stesso attore al pagamento delle spese di lite.
Con l’atto di appello il Creti esponeva che la costruzione realizzata per conto
della Spanò non era priva di concessione edilizia ma, semplicemente,
parzialmente difforme e che le opere in difformità erano state sanate con la
concessione in sanatoria n. 15 del 1997; che, comunque, avrebbe dovuto
essere accolta la domanda di indebito arricchimento, la quale poteva essere
proposta, anche, in appello.
Si costituiva in giudizio la Spanò e deduceva che la sentenza di primo grado
era del tutto corretta e non meritava le censure mosse dall’appellante, ne
chiedeva, pertanto, la conferma.
La Corte di Appello di Lecce con sentenza n. 422 del 2006 rigettava l’appello
e compensava le spese giudiziali del grado. Secondo la Corte di Lecce il
..
4

manufatto realizzato presentava varianti essenziali rispetto al progetto
assentito che prevedeva la realizzazione di un solo piano fuori terra e come
1

IL.Y

tale totalmente difforme dalla concessione edilizia. In termini assiologici
_

pratici quella difformità comportava la illiceità dell’oggetto e, pertanto, la

. .

nullità del contratto di appalto intercorso tra Creti e Spanò. Priva di rilievo era
il motivo di gravame relativo all’interpretazione da dare al contratto di appalto
privilegiandone quella conservativa della sua efficacia, dato che la totale

difformità della costruzione realizzata alla concessione edilizia comportava la
nullità del contratto stesso. La domanda di indennizzo per arricchimento senza
causa proposta in appello integrava rispetto all’adempimento contrattuale
formulata in primo grado una domanda nuova come tale inammissibile ai
sensi dell’art. 345 cpc.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Creti per tre motivi,
illustrati con memoria. Spanò Francesca ha resistito con controricorso,
illustrato con memoria.
Motivi della decisione
_

1.= Con il primo motivo Creti Fernando denuncia un error in giudicando e un
travisamento dei fatti.
Secondo il ricorrente la Corte di Lecce nell’aver deciso che nulla è dovuto
all’attuale ricorrente ma questi è tenuto alla restituzione di quanto già
percepito perché il contratto di appalto, essendo stato stipulato in assenza di
concessione edilizia, deve considerarsi nullo, non avrebbe valutato
correttamente la particolare fattispecie fattuale e le conseguenze giuridiche
che da essa discendono. In particolare sostiene il ricorrente, la Corte

.
territoriale non avrebbe correttamente considerato che l’opera era prima di
concessione edilizia, ma era esclusivamente difforme. Pertanto, il contratto di
_
_

appalto di cui s dice non era nullo tutt’al più spazialmente nullo relativamente
2

141

alle opere realizzate in difformità. Con la conseguenza che le opere realizzate
in presenza del titolo concessorio sarebbero dovuto essere retribuite.

. _

1.1.= Il motivo è infondato
_

A ben vedere la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che il contratto

o della concessione edilizia, per due ragioni essenziali: a) sia perché aveva
accertato che il manufatto realizzato presentava variazioni essenziali rispetto
al progetto assentito, e, sia b) perché, secondo la normativa di cui agli artt. 7 e
8 della legge n. 47 del 1985 (ribadita anche dal D.P.R. n. 380 del 6 giugno
2001), prescrivendo che ” Il sindaco

accertata l’esecuzione di opere in

assenza di concessione, in totale difformità dalla medesima, ovvero con
variazioni essenziali, determinate ai sensi del successivo articolo 8, ingiunge
la demolizione”, equipara le opere totalmente o parzialmente difformi o con
_
varianti essenziali rispetto alla concessione od all’autorizzazione edilizia, alle
_

opere prive della prescritta concessione edilizia.
Pertanto, posto che, il manufatto oggetto di causa integrava gli estremi di
un’opera edilizia senza la prescritta licenza o concessione edilizia, perché
realizzata con varianti essenziali, correttamente la Corte di Lecce ha ritenuto
che l’oggetto del contratto di appalto, così come risulta dalla clausola riportata
dallo stesso ricorrente ( pag. 10 del ricorso), era illecito perché contrario a
norme imperative dettate in tema di urbanistica. La nullità che ne derivava, ai
sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., oltre ad impedire al contratto di produrre sin
dall’origine gli effetti suoi propri, non era suscettibile di convalida, ostandovi
..

il disposto dell’art. 1423 c.c.. L’appaltatore non può conseguentemente
pretendere, in forza di detto contratto, il corrispettivo pattuito ed è privo di
3

di appalto di cui si dice era nullo e privo di effetti per mancanza della licenza

rilievo la sua eventuale ignoranza dell’assenza della concessione edilizia,
giacché, da un lato, con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto accertare la reale
situazione e, dall’altro, incombe anche sul costruttore, ai sensi della L. 28
_

febbraio 1985, n. 47, art. 6 (vedi ora il D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 378, art. 71),
l’obbligo del rispetto della normativa sulle concessioni (cfr. da ultimo: Cass. n.

8040 del 02/04/2009)
2.= Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la falsa ed erronea
interpretazione ed applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 cc., nonché
l’omessa pronunzia su questione fondamentale, motivazione apparente.
Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata secondo cui “il
secondo motivo di gravame relativa all’interpretazione da dare al contratto
privilegiandone quella conservativa della sua efficacia

è del tutto privo di

rilievo per le considerazioni sopra esposte in tema di nullità del contratto”
integrerebbe un’ipotesi di motivazione apparente dal momento che non
sarebbe consentito all’interprete seguire l’iter logico giuridico percorso dal
giudice. D’altra parte ritiene ancora il ricorrente la Corte leccese: a) non
avrebbe interpretato correttamente il contratto d’appalto non cogliendo
contraddizioni in esso contenuto e b) comunque e/o soprattutto non avrebbe
interpretato il contratto di cui si dice nel senso in cui avrebbe potuto avere
efficacia, in particolare nel senso che parti avessero inteso realizzare il
progetto, così come assentito dall’atto concessorio.
2.1.= Il motivo, essenzialmente, rimane assorbito dal precedente ed è,
comunque, infondato.
Va evidenziato che il ricorrente trascura di considerare che nell’ipotesi la
,

Corte di Lecce ha escluso che il manufatto realizzato potesse essere
4

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considerato una costruzione in difformità alla concessione edilizia avendo
accertato , per il tramite del CTU che la costruzione di cui si dice presentava
“varianti essenziali”, e come tale, ai sensi dell’art. 8 della legge n, 47 del
_

1985, è una costruzione equiparabile alla costruzione senza concessione o

un’attività interpretativa del contratto, non fosse altro perché la nullità di un
atto, rappresentata da un vizio strutturarle dell’atto o ancor di più, come nel
caso in esame, dall’illiceità dell’oggetto, non consente che l’atto possa essere
recuperato e/o sanato attraverso un’interpretazione dello stesso atto.
Come è già stato detto da questa Corte in altra occasione (sent. N. 2884 del
2002) Il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza
concessione edilizia è nullo, ex artt. 1346 e 1418 cod. civ., avendo un oggetto
illecito per violazione delle norme imperative di cui agli artt. 31 e 41 della
legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 e 10 e 13 della legge 6 agosto 1967,
.

n. 765, ancorché sopraggiunga ad esso condono edilizio, in quanto la nullità,
una volta verificatasi, anche se non ancora dichiarata, impedisce sin
dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne rende
inammissibile anche la convalida, ai sensi dell’art. 1423 cod. civ.,
3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta: violazione di legge. Falsa ed
erronea interpretazione

e applicazione e dell’art. 13 della legge n. 47 del

1985: Omessa valutazione dell’elemento decisivo della controversia. Difetto
di motivazione. Secondo il ricorrente la Corte di Lecce non avrebbe
considerato che le opere realizzate dal sig. Creti fossero state sanate con
_

concessione in sanatoria n. 15 del 1997. Piuttosto, la Corte territoriale avrebbe
dovuto, secondo il ricorrente, valutare sulla scorta degli elementi offerti dal
5

licenza edilizia. L’illiceità dell’oggetto, pertanto, non consentiva neppure

ricorrente, un’ipotesi di sanatoria di convalida di un contratto nullo previsto
dalla legge ai sensi dell’art. 1423 cc. A bene vedere l’accertamento di

. _

conformità già previsto dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985 (adesso art. 36
_

DPR 380/2001) è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza concessione edilizia o autorizzazione, ma conformi

vigente sia al momento della

loro realizzazione, che al momento della

presentazione

sanatoria:

dell’istanza

di

cd.

Doppia

conformità)

nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono (

Il

provvedimento di accertamento di conformità assume, pertanto, una
connotazione eminentemente oggettiva e vincolata priva di apprezzamenti
discrezionali. Insomma, specifica il ricorrente, l’accertamento di conformità
riguarda come nel caso inesame opere che dovevano essere assentite dal
Comune, perché realizzate in conformità con le previsioni urbanistiche e
_
l’unica violazione era di tipo formale, ovvero, quella di averle realizzate prima
di avere la concessione edilizia (che, quindi, rappresentava un atto dovuto)
Pertanto, i Giudici di appello, sempre a dire del ricorrente, avrebbero dovuto
rilevare la circostanza secondo la quale non vi era nullità del contratto perché
non si trattava di violazione delle norme giuridiche sostanziali ma solo ed
esclusivamente formali. Fuorviante è, altresì, secondo il ricorrente, il
riferimento alla circostanza che il CTU avrebbe rilevato che la concessione in
sanatoria (che il giudice di appello definisce variante) n. 15 del 1997 fosse
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difforme dal realizzato perché prevedeva un terrapieno laddove il CTU aveva
individuato uno scantinato, atteso che il FCTU aveva fotografato la situazione
_

al momento del sopralluogo quando i lavori erano in corso e che ancora era
possibile trasformare il piano scantinato in terrapieno con il materiale di
6

,

riporto addossato lungo il perimetro esterno del fabbricato.

3.1.= Anche questo motivo è infondato.

. _

Posto che la costruzione delle opere di cui si dice era da considerarsi “contra
legem” perché avvenuta in totale difformità della concessione edilizia,
legittimamente la Corte di appello, come si è già detto, rilevò la nullità del

contratto di appalto per illiceità dell’oggetto (ex art. 1418 in relazione all’art.
1346 c.c.) negando all’appaltatore Creti il diritto al corrispettivo (in
conformità alla giurisprudenza di questa Corte: nn. 783-1987 e 1101-1982, tra
le altre). La Corte leccese ha ulteriormente precisato che l’opera di che trattasi
non poteva dirsi neppure conforme alla variante in quanto il CTU aveva
constatato la mancata realizzazione dell’interramento de quo e di più, anche
l’esistenza di ulteriori difformità (ala nord dell’edificio che eccedeva cm. 0,50
la sagoma consentita). Per il resto, è sufficiente osservare che la nullità ex art.
1418 cod. civ., una volta verificatasi, anche se non ancora dichiarata,
impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne
rende inammissibile anche la convalida, giusto quanto dispone espressamente
l’art. 1423 cod. civ., sicché non è giuridicamente concepibile una reviviscenza
del contratto stesso per il sopraggiungere di una nuova normativa che abbia
eliminato ex post le cause che avevano dato origine a quella nullità’. Ed
ancora, ne consegue, nel caso di specie, che è del tutto irrilevante la
circostanza del successivo condono edilizio, atto ad eliminare il carattere
abusivo dell’opera appaltata e ad estinguere il relativo reato, restando
circoscritti gli effetti di tale condono al rapporto con la Pubblica

.

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Amministrazione, senza alcuna possibilità di una sua incidenza retroattiva

sulla validità del contratto d’appalto (in tal senso cass. 319/60, 12709/92).
7

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di
–soccombenza ex art. 91 cpc.,

condannato al pagamento delle spese del

–presente giudizio di cassazione, che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.

del presente giudizio che liquida in E. 2700,00 di cui €. 200,00 per esborsi.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte Suprema di Cassazione 1’8 maggio 2013
Il Consigliere relatore

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La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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