Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20332 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/07/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 26/07/2019), n.20332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EDITORIALE LA NUOVA SARDEGNA S.p.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale

Parioli 43 presso lo studio dell’Avv. Francesco d’Ayala Valva che la

rappresenta e difende per procura a margine del controricorso con

ricorso incidentale;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 67/8/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Sardegna – sezione staccata di Sassari, depositata

il 4.12.2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 11.12.2018 dal Consigliere Crucitti Roberta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sanlorenzo Rita che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito per la ricorrente l’Avv. Bruno Dettori;

udito per la controricorrente-ricorrente incidentale l’Avv. Francesco

d’Ayala Valva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Sassari, con distinti avvisi di accertamento, rettificava, ai fini IRAP per gli anni d’imposta 1999 e 2000, il reddito dichiarato da Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A., accertando una maggiore imposta e irrogando, contestualmente, la relativa sanzione, sul presupposto che la quota di reddito industriale non potesse essere interamente computata, ai fini dell’esenzione dall’IRAP, D.Lgs. n. 446 del 1997 ex art. 17, in quanto costituita anche da alcuni elementi (classificati quali altri proventi finanziari) che non potevano ritenersi fare parte del reddito industriale.

I ricorsi, proposti dalla Società avverso gli atti impositivi vennero accolti, previa riunione, dall’adita Commissione tributaria provinciale ma, la decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, veniva parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna – sezione distaccata di Sassari (d’ora in poi C.T.R.) la quale accoglieva l’appello con riguardo alla ripresa a tassazione dei proventi, indebitamente inclusi nell’agevolazione T.U. n. 218 del 1978 ex art. 101, comma 2, e del D.P.R.n. 601 del 1973, art. 26, mentre lo rigettava relativamente alle sanzioni delle quali confermava l’inapplicabilità.

In particolare, il Giudice di appello riteneva che la Società avesse stipulato con la sua controllante (Editoriale Gruppo L’Espresso S.p.A.) un contratto di finanziamento e che tale attività era del tutto estranea al ciclo produttivo tipico, con conseguente disconoscimento per tali redditi dall’esenzione ai fini dell’IRAP. Riteneva inapplicabili le sanzioni, data l’obiettiva incertezza e complessità della portata della norma.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso su tre motivi.

La Società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, su otto motivi, il tutto ulteriormente illustrato con successivo deposito di memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Va esaminato da primo, secondo l’ordine logico giuridico delle questioni prospettate, il ricorso incidentale proposto da Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A.

1.1 Con il primo motivo del ricorso incidentale, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Società deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1813 c.c. in luogo dell’art. 1823 c.c., in relazione alle regole dell’ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 c.c. e ss. laddove la C.T.R. aveva ritenuto che con riferimento ai rapporti finanziari con la società controllante Editoriale L’Espresso S.p.A., L’Editoriale la Nuova Serdegna S.p.A. ha stipulato non un semplice contratto di conto corrente avente ad oggetto un obbligo di annotazioni contabili di tipo reciproco, ma un contratto di finanziamento.

In particolare, secondo la prospettazione difensiva, aveva errato il Giudice di appello a interpretare il contratto di conto corrente in essere tra la Società contribuente e la sua controllante (Editoriale l’Espresso s.p.a.) come contratto di mutuo, traendo argomento da elementi di interpretazione non riconducibili e, anzi, incompatibili con il paradigma astratto di cui all’art. 1813 c.c.

1.2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. laddove il Giudice di appello aveva tratto decisivo argomento di qualificazione del contratto in termini di “finanziamento” dalla lettera con cui venivano fissati tra le parti contrattuali i tassi di interesse passivo e attivo e dalle fatture emesse dalla Società alla sua controllante recanti la dicitura “interessi di ns. competenza…su finanziamento attivo”. Anche in tal caso, secondo la prospettazione difensiva, il Giudice di appello avrebbe fatto mala gestio delle regole di ermeneutica contrattuale, laddove, pur prendendo atto del regolamento contrattuale complessivo, ovverossia della fissazione dell’interesse passivo al 12,50% e di quello attivo all’11,25% (identificabile esclusivamente in un contratto di conto corrente intersocietario) avrebbe poi dato rilievo alla mera dicitura letterale delle nominate cinque fatture, contrastate dal nomen iuris del contratto, dal contenuto complessivo delle clausole contrattuali e dalla successiva incontestata regolamentazione in conto corrente di tutti i rapporti di dare e avere tra la Editoriale La Nuova Sardegna e la Capogruppo.

1.3 Con il terzo motivo si denuncia la sentenza impugnata di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente (e, in subordine, sub 3.1.), secondo la previgente formulazione, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata) nella parte in cui, in via apodittica e avulsa dal contenuto dei fatti, il giudice di merito aveva affermato la riconducibilità del transito di somme di denaro sul conto corrente accertato in capo alla Capogruppo ad un contratto di mutuo, traendo da questo unico e isolato elemento la prova in sè del finanziamento. In particolare, secondo la prospettazione difensiva il Giudice di appello non avrebbe tenuto conto: del contratto in essere tra le parti, pacificamente riconducibile, al rapporto di conto corrente intersocietario, alle rimesse reciproche, come affluite su detto conto, tese a dimostrarne l’effettiva dinamicità e operatività, la variabilità dell’interesse.

1.4. con il quarto motivo, qualora la Corte volesse ritenere che il Giudice di merito abbia correttamente gestito il paradigma astratto del “mutuo”, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1972, art. 26 e del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, in relazione agli interessi prodotti dal conto corrente intersocietario ex art. 1823 c.c. riqualificato dal giudice in termini di finanziamento ex art. 1813 c.c.

L’illustrazione del motivo si conclude con il seguente, anche se non più necessario, quesito di diritto: se sia conforme al combinato disposto di cui al D.P.R. n. 601 del 1972, art. 26 e al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, ritenere che i redditi, derivanti da finanziamento “possano neppure indirettamente rapportarsi alla attività industriale agevolata”; o se – dovendosi ritenere che il concetto di reddito industriale debba essere assimilato al concetto di reddito di impresa, inteso quale “reddito complessivo” delle società TUIR ex art. 95 -…anche gli interessi sul capitale (incontestatamente derivante dall’attività di impresa) dato a mutuo debba essere ricompreso quale “reddito di impresa” nell’ambito dell’esenzione parziale dell’Ilor, giacchè volti, in accordo con lo spirito della norma denunziata ad incrementare il capitale investito e, dunque, la produttività dell’impresa nel Mezzogiorno.

1.5 Con il quinto motivo la ricorrente incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. con riferimento al D.P.R. n. 601 del 1972, art. 26 e al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, in relazione agli interessi prodotti dal conto corrente intersocietario ex art. 1823 c.c., riqualificato dal giudice in termini di finanziamento ex art. 1813 c.c., censurando il passo della motivazione con il quale la C.T.R. aveva esonerato l’Amministrazione erariale dall’onere di provare che il denaro depositato sul conto corrente non provenisse dall’attività propria dell’impresa. In particolare, la ricorrente lamenta la mancata applicazione da parte del Giudice di merito del principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 2983/2002, secondo cui i redditi, vecchio TUIR ex art. 95, rientrano tutti nell’agevolazione Ilor, salvo che “l’Ufficio non provi che il denaro, depositato sul conto corrente bancario e produttivo degli interessi attivi, non proviene dall’attività propria dell’impresa”; prova che, nel caso in esame, l’Ufficio non aveva fornito e della quale, al contrario, il Giudice di merito aveva onerato la contribuente.

1.6. Con il sesto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame (e, in subordine sub 6.1 del ricorso incidentale, l’insufficiente motivazione) circa un fatto decisivo ai fini dell’accertamento del rapporto di conto corrente intersocietario ex art. 1823 c.c.

Si censura, in particolare, il capo della motivazione con cui la C.T.R. aveva escluso che, nel caso in specie, il rapporto negoziale potesse identificarsi in un conto corrente, ex art. 1813 c.c., ritenendo che la Società non avesse fornito la prova dell’utilizzo esclusivo delle somme per “l’attività imprenditoriale della stessa società e non diversamente e non credibile” che l’Espresso avesse pagato interesse per questo finanziamento e poi utlizzato il denaro per pagare esclusivamente ed integralmente i debiti de “La Nuova Sardegna”, senza prendere atto del contenuto contrattuale dell’apertura di un conto corrente di corrispondenza ad esclusivo nome della Editoriale La Nuova Sardegna, delle rimesse reciproche ovvero delle incontestate movimentazioni in dare e avere, tipiche del rapporto esclusivo di conto corrente, dalla valutazione dei quali sarebbe emerso che, nel conto corrente, erano transitati i debiti e i crediti dell’attività imprenditoriale di essa Società.

1.7 Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del principio non scritto dell’abuso del diritto, ex art. 53 Cost., in relazione al combinato disposto di cui al D.P.R. n. 601 del 1972, art. 26 e al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, laddove la C.T.R. aveva ritenuto che, attraverso l’operazione di concessione di finanziamento, si era inteso spalmare i benefici dell’esenzione dell’ILOR sulle altre società del Gruppo che non godevano di tali benefici. Il motivo si conclude con il seguente momento di sintesi chiedendo alla Corte se sia conforme al principio non scritto dell’abuso del diritto, escludere il diritto all’esenzione Ilor (con conseguenti ripercussioni sull’Irap dovuta) di una società effettivamente operativa nel Mezzogiorno, per il solo fatto che la stessa faccia parte di un gruppo che, nell’ambito della libertà economica-imprenditoriale, abbia inteso migliorare la gestione delle risorse mediante Tesoreria accentrata, regolata in conto corrente intersocietario; o se, come si ritiene corretto, l’abuso del diritto, lungi dal reinterpretare una scelta imprenditoriale, per ragioni fiscali, può ammettersi nei limiti in cui la stessa sia stata costruita artificiosamente in ragione della fruizione del beneficio fiscale”.

1.8 Con l’ottavo motivo, infine, si denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame (e, in subordine, sub. 8.1) e 8.2) l’insufficiente e illogica motivazione qualora si ritenga applicabile l’anteriore disposto della norma) sul fatto decisivo, ai fini dell’accertamento dell’inapplicabilità, nella specie, di alcuna riqualificazione in termini di abuso del diritto laddove la CTR aveva concluso per l’artificiosità della costruzione contrattuale, finalizzata al beneficio fiscale, senza valutare l’effettiva operatività della società ricorrente nel Mezzogiorno avente incontestatamente diritto all’esenzione Ilor”, l’effettiva ed incontestata esclusività del rapporto di conto corrente tra la Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A. e la Capogruppo, rimanendovi estranee le consociate.

2 Prima di procedere all’esame dei singoli motivi del ricorso incidentale appare opportuno riassumere la vicenda processuale, in fatto, quale risulta pacifica in atti.

Per com’è incontestato tra le parti, la controllante Editoriale L’Espresso S.p.A., (che, in base alla facoltà concessale dal T.U. Bancario, art. 113, gestisce la tesoreria del Gruppo societario Espresso) e la controllata Editoriale La Nuova Sardegna stipularono un contratto di conto corrente di corrispondenza, intestato alla seconda Società, sul quale sarebbero affluite tutte le operazioni di addebito e di accredito intercorse tra le due società e che avrebbe dovuto essere utilizzato per: a) il regolamento dei rapporti commerciali e patrimoniali intercorrenti tra le Società del gruppo; b) il passaggio di fondi tra le società del Gruppo al fine (per come previsto nella corrispondenza tra le due Società riportate in sentenza e in atti) di conseguire i seguenti vantaggi:

– l’opportunità di prescindere totalmente dal sistema bancario per il regolamento di tutti i rapporti commerciali infragruppo, con il sicuro vantaggio in termini di costi e di certezza di accredito e addebito;

– la possibilità di conseguire a livello di gruppo l’obiettivo di supplire al ciclico fabbisogno di alcune società con la ciclica eccedenza di altre e presentarsi sul mercato dei capitali, con il fabbisogno residuale;

il vantaggio finanziario che ne deriva alla Società che matura proventi finanziari, dall’assenza della ritenuta d’acconto sugli interessi (30%).

Con lettera circolare, inviata a tutte le consociate del 31 maggio 1991, l’Editoriale L’Espresso provvide, con decorrenza 1.6.1991, a fissare l’interesse passivo nel 12,50% e quello attivo nell’11,125%. Cinque fatture emesse dalla ricorrente nei confronti dell’Editoriale L’Espresso S.p.A. recavano la dicitura “interessi di ns. competenza…su finanziamento attivo”. Negli anni oggetto di accertamento l’Editoriale La Nuova Sardegna ebbe a conseguire, dal rapporto in essere con la Capogruppo, interessi attivi pari a Lire 760.586.049 nell’esercizio 1999 e a Lire 1.162.984.497 nell’esercizio 2000.

3. Secondo la ricostruzione operata dell’Agenzia delle entrate, fatta propria e ritenuta corretta dal Giudice di appello nella sentenza impugnata, la ricorrente incidentale, attraverso l’utilizzo del suddetto rapporto di conto corrente avrebbe, in realtà, posto in essere in favore della controllante, un’operazione di finanziamento, con la conseguenza che gli interessi attivi conseguiti da tale operazione non potevano ritenersi “redditi industriali”, nell’accezione rilevante al fine di potere conseguire l’agevolazione sulla quale è controversia.

Il Giudice di appello ha fondato tale sua decisione, oltre che sul contenuto del predetto accordo, dall’ingente quantità di fondi ricevuti dalla controllante, dalla misura del tasso degli interessi praticati (che aveva generato interessi attivi d’importi considerevoli in favore della ricorrente incidentale) e dalle indicazioni contenute in cinque fatture emesse dalla Editoriale La Nuova Sardegna nei confronti dell’Editoriale L’Espresso s.p.a. le quali recavano la dicitura: “Interessi di ns. competenza… su finanziamento attivo”.

Secondo il Giudice di appello, una volta dimostrato il trasferimento di denaro alla capogruppo e che quest’ultima ne aveva la piena capacità di utilizzo, l’attività di finanziamento era in re ipsa, spettando alla contribuente l’onere di provare che il denaro era stato utilizzato esclusivamente ed integralmente per l’attività imprenditoriale della stessa società e non diversamente.

13. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda processuale, in diritto va rilevato che il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 17, comma 1, dispone: “per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto hanno acquistato il diritto a fruire di uno dei regimi di esenzione decennale a carattere territoriale dell’imposta locale sui redditi nel rispetto delle condizioni e dei requisiti previsti dalle singole leggi di esonero, il valore prodotto nel territorio della regione ove è ubicato lo stabilimento o l’impianto cui il regime agevolativo si riferisce, determinato a norma degli artt. 4 e 5, è ridotto per il residuo periodo di applicabilità del detto regime di un ammontare pari al reddito che ne avrebbe fruito”. La giurisprudenza di questa Corte ha interpretato tale norma nel senso che, in tema di IRAP, l’agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1 (per quei soggetti che, all’entrata in vigore del citato decreto legislativo, avevano acquisito il diritto a fruire di un regime di esenzione decennale dell’ILOR a carattere territoriale), opera sul piano della determinazione della base imponibile IRAP, consentendo di ridurre il valore prodotto nel territorio di un ammontare pari al reddito che avrebbe fruito della predetta esenzione ILOR (cfr. Cass. n. 12285 del 17 maggio 2017; id. n. 1164 del 2010).

Ai sensi del T.U. n. 218 del 1978, art. 101, per gli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati che si impiantano nei territori indicati all’art. 1 e per le costruzioni annesse è concessa l’esenzione decennale dall’imposta locale sui redditi (ILOR) sui relativi redditi industriali.

4.1 Secondo la lettura datane dall’Agenzia delle entrate negli avvisi di accertamento impugnati, e ribadita in tutti i gradi del processo, tale norma fonda la propria validità su un presupposto squisitamente oggettivo, dato dalla produzione di redditi da attività industriale laddove certamente tali non erano gli interessi attivi da finanziamento.

4.2 In materia, la giurisprudenza di questa Corte – a fronte di un iniziale orientamento (v. Cass. n. 11211/1995) secondo cui il reddito a favore del quale trova applicazione la normativa agevolativa (originariamente prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 26 e poi dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 101) era quello di natura industriale con esclusione di altre entrate finanziarie – affermò, a partire da Cass. n. 11211/2002 che se è esatto che l’esenzione decennale dell’ILOR riguarda i redditi industriali, è anche vero che, tale concetto – alla luce del disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 95, comma 1, secondo cui “il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) e b), da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa” – ricomprende ogni reddito conseguito, nelle sue diverse componenti, e non solo i ricavi; sicchè l’esclusione di una o più “voci” di reddito da trattamento agevolato non può essere affermata in astratto, su base “nominalistica”, ma solo in esito ad un accertamento in fatto sulla concreta riferibilità delle componenti attive all’attività di impresa”; e purchè non risulti provato che lo stesso non sia riferibile all’attività di impresa (cfr. Cass. n. 2983/2002; id. n. 1607/2006). Si è, così, statuito che “l’agevolazione de qua è (e non può non essere) riferita al reddito d’impresa nelle sue diverse componenti e non ai soli ricavi; sicchè l’esclusione di una o più “voci” di reddito da trattamento agevolato non può essere affermata in astratto, su base “nominalistica” ma solo in esito ad un accertamento in fatto sulla concreta riferibilità delle componenti attive all’attività di impresa” (cfr. Cass. n. 22793/2006 cit. con specifico riferimento agli “interessi bancari” ed alle “plusvalenze”), sino a porre a carico del Fisco l’onere di provare che gli interessi maturassero su somme non attinenti all’attività di impresa (cfr. Cass. 2983/2002 cit., invocata dalla ricorrente incidentale e non ritenuta applicabile alla fattispecie dal Giudice di appello).

4.3 In epoca successiva, a tale ultima pronuncia, la giurisprudenza delle Sezioni Unite si è, però, attestata per la tesi secondo cui l’onere della prova di esenzioni tributarie è rigorosamente a carico del privato richiedente (v. Cass. Sez. U. n. 27619 del 29/12/2006 e n. 1576 del 22/01/2009 entrambe in tema di esenzione, ai fini dell’Irpeg, della ritenuta d’acconto sui dividendi da partecipazioni azionarie, prevista dalla L. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 10 bis e, in materia di ICI, Cass., Sez. Un. 18565 del 21/08/2009, in merito dell’applicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis). Identico principio è stato affermato ai fini dell’onere probatorio in tema di esenzioni contributive (v. Cass. S.U. n. 6489 del 26/04/2012).

Tale principio di diritto ha trovato e trova tutt’ora applicazione costante nei più vari contesti. Così, di recente Cass. n. 23228 del 04/10/2017 “In tema di egevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva onerato l’agenzia delle entrate di provare il mancato rispetto delle regole normative di “democrazia interna” prescritte per il regime fiscale agevolato delle associazioni sportive dilettantistiche, nonostante dichiarazioni confessorie riguardanti la disapplicazione di fatto delle norme statutarie inerenti l’esercizio dei diritti partecipativi degli associati minorenni, comunque rappresentati ex lege dai genitori); Cass. n. 23167 del 04/10/2017: “In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro – come si evince dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111, comma 2 (nel testo applicabile “ratione temporis”) – svolgere attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma 1 – in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo costituisce, d’altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dal medesimo D.P.R., artt. 86 e 87 secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche, con la conseguenza che l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c.”.

E, anche, nella materia, che qui interessa, delle esenzioni Ilor, per Cass.n. 14997 del 16/06/2017 “In tema di agevolazioni tributarie, le agevolazioni ILOR previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 30, per le imprese artigiane ed industriali che operano nelle zone del Centro-nord riconosciute depresse ai sensi della L. n. 614 del 1966, art. 8 e art. 12, commi 4 e 5, in quanto benefici direttamente accordati dalla legge, possono essere fatte valere con domanda di annullamento dell’atto che esplicitamente o implicitamente le escluda (ossia dell’atto che disponga il pagamento o neghi il rimborso delle somme pagate), spettando, quindi, al giudice tributario il compito di pronunciarsi, nell’ambito del giudizio di legittimità di tale atto, sulla spettanza dell’agevolazione, gravando, invece, l’onere della prova sull’esistenza dei presupposti di fatto per l’applicazione della stessa sul contribuente che ne beneficia”; cosi come, precedentemente, anche per Cass. n. 18930 del 24 settembre 2015 (pur citata, a conforto, dalla Società in memoria), in tema di agevolazioni tributarie di cui al D.P.R. n. 218 del 1978, artt. 101 e 105, grava sul contribuente, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare, in caso di contestazione, i fatti costitutivi dell’agevolazione invocata.

4.4 Superata, pertanto, quella giurisprudenza che poneva a carico dell’Amministrazione finanziaria, seppur con riferimento ai soli interessi attivi da conto corrente bancario, l’onere di provare l’estraneità dei proventi all’attività di impresa, con riguardo alla nozione di reddito industriale rilevante ai fini dell’esenzione, in fattispecie analoghe a quelle in esame (v. Cass. n. 1455 del 21/01/2009) si è, altresì, attenuata la tesi che riteneva, pressochè, equivalenti il reddito industriale e quello di impresa, chiarendosi e specificandosi che “il beneficio dell’esenzione decennale dalle imposte dirette previsto dalla L. 21 luglio 1966, n. 614, art. 8, per il reddito derivante, tra l’altro, dall’ampliamento di stabilimenti industriali già esistenti, situati nelle aree depresse dell’Italia centro-settentrionale, postula che si verifichi un apporto di nuovi elementi di sviluppo nelle suddette aree: esso, pertanto, non spetta… in relazione ai proventi derivanti da titoli e buoni ordinari del tesoro o da operazioni immobiliari, i quali costituiscono ricavi solo occasionalmente connessi con l’attività produttiva”.

Sulla stessa linea interpretativa è stato specificato (v. Cass. n. 13954/2011) che, mentre i depositi bancari potrebbero essere funzionali alla sola circolazione monetaria necessaria per la vita stessa dell’impresa, altrettanto non si sarebbe potuto dire per le operazioni finanziarie, ad esempio, su titoli e carta commerciale, stante la natura speculativa e non industriale di esse.

5. Alla luce di detti principi, integralmente condivisi dal Collegio, va esaminata l’odierna fattispecie che vede le parti contrapposte in ordine alla qualificazione dei redditi (sotto forma di interessi attivi, rinvenienti dal contratto di conto corrente in essere tra la Società ricorrente incidentale, intestataria, e la sua controllante) quali redditi industriali o meno, ai fini dell’esenzione oggetto di controversia.

5.1 La tenuta della cassa comune tra due o più imprese (cd. cash pooling cui fa riferimento la stessa ricorrente incidentale nei suoi scritti difensivi al fine di contrastare l’opzione ermeneutica del Giudice di merito) – secondo la giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di trattare dell’argomento (v. Cass. 14730 del 23 giugno 2009; conf., seppur in diverso contesto, Cass. n. 7215/2015 e Cass. n. 14759/2015) – “quali che siano le modalità di tenuta, adempie all’evidente funzione di escludere o limitare all’accesso al credito bancario, finanziando l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa dell’altra o delle altre imprese”.

L’istituto ha trovato riconoscimento anche nei principi contabili nazionali (OIC14) e, a certe rigorosissime condizioni, anche nella giurisprudenza penale (v. Cass. Pen. 34457/2018) ed è ricondotto, dalla dottrina maggioritaria, alla figura del contratto atipico, ai sensi dell’art. 1322 c.c., a causa mista, differenziandosi, attraverso l’analisi delle prassi aziendali, il cd. “notional cash pooling” (generante interessi attivi a carico della capogruppo/tesoriere e a favore delle partecipate/gestite) dal cd.”zero balance cash pooling” (il quale azzera le partite di dare e avere e genera, in alcune ipotesi al massimo un aggio a favore della capogruppo e a carico delle partecipate per il servizio di tesoreria svolto).

6. Ciò posto in termini generali, procedendosi all’esame dei singoli motivi del ricorso incidentale alla luce della ricostruzione in fatto e in diritto dei termini della vicenda processuale, i primi tre motivi, con i quali, sotto l’egida della violazione delle regole ermeneutiche e del vizio di omesso esame di un fatto decisivo, si censura, quale erronea, la qualificazione operata dal Giudice di merito al contratto di conto corrente in essere tra le parti quale mutuo, vanno disattesi perchè infondati e, comunque, inconferenti rispetto al decisum.

6.1. Dalla lettura complessiva della sentenza impugnata si evince, infatti, che la Commissione tributaria di appello, non ha disatteso la vera natura del rapporto in essere tra le parti, disconoscendo la natura di conto corrente per attribuirgli quella di mutuo (come, invece, prospettato dalla ricorrente incidentale), ma ne ha evidenziato, sulla base di elementi fattuali non contestati dalla stessa Società, un’ulteriore causa (finanziamento tra le consociate al fine, tra gli altri vantaggi perseguiti, di escludere il ricorso all’accesso bancario) per come emergente dagli atti e per come prospettato ancor oggi dalla Società nei suoi scritti difensivi. Tale accertamento, compiuto dal Giudice di merito, peraltro, rimane fuori da un’attività di stretta interpretazione del contratto e/o della volontà delle parti ma ha ad oggetto, specificamente, l’accertamento della natura degli interessi attivi conseguiti dalla ricorrente incidentale, da tale particolare rapporto di conto corrente in essere con la sua controllante, come redditi idonei ai fini della chiesta esenzione, ovvero connessi o estranei all’attività di impresa.

L’esclusione di tali redditi dalla categoria dei redditi industriali (o strettamente di impresa) al fine dell’esenzione per cui è controversia ed il relativo accertamento in fatto, come operati dalla Commissione tributaria di censurati con il quarto, quinto e sesto incidentale (già sopra illustrati).

Tali mezzi di impugnazione, alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali (sub p. 4.4.), sono infondati, mentre èinammissibile il motivo (sub. 6.1 del ricorso incidentale) afferente a vizi motivazionali, e formulato secondo il vecchio disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicandosi, al ricorso in esame la norma nella sua vigente formulazione (cfr.Cass.Sez.Un. 8053/2014), per essere stata la sentenza impugnata, depositata il 4.12.2012.

7.1 In ordine al quarto motivo di ricorso va, infatti, rilevato che – seppur la Commissione regionale esclude, con terminologia solo apparentemente impropria, che il reddito da finanziamento conseguito dalla Editoriale Nuova Sardegna (siccome riveniente da attività palesemente estranea al ciclo produttivo tipico), possa rapportarsi all’attività industriale agevolata – la sentenza, avuto riguardo al tenore complessivo dell’iter argomentativo svolto, va esente dalle censure mossele.

Come già sopra posto in evidenza, nella specifica materia, contrariamente da quanto assunto dalla ricorrente incidentale, la giurisprudenza di questa Corte non è giunta all’equivalenza terminologica tra “reddito industriale” e “reddito d’impresa” ma ha solo affermato che l’esclusione di una più voci di reddito da trattamento agevolato non potesse affermarsi in astratto, su base “nominalistica” ma solo in esito ad un accertamento in fatto sulla concreta riferibilità delle componenti attive all’attività di impresa (cfr. Cass. n. 22793/2006). Sul solco di tale interpretazione si è cosi esclusa la spettanza del beneficio dell’esenzione dall’Ilor in relazione ai proventi derivanti da titoli e buoni del tesoro, i quali costituiscono ricavi solo occasionalmente connessi con l’attività produttiva (cfr. Cass. n. 1455 del 21.1.2009cit.) e in relazione ai proventi derivanti da operazioni su titoli di Stato e non (pronti contro termini, commercial paper, etc.) in quanto costituenti rendite meramente finanziarie che in realtà non ineriscono strettamente all’attività di produzione di beni dell’azienda, quanto piuttosto ricavi aventi solo un’occasionale connessione con tale tipologia, diversamente da quanto accade per gli ordinari depositi bancari normalmente funzionali alla sola circolazione monetaria necessaria per la vita dell’azienda, in tal senso dovendosi intendere la sentenza n. 1607 del 26.1.2006 (così Cass. n. 28530/2011 cit.). E, anche, Cass. n. 12003/2015 (invocata a conforto dalla ricorrente incidentale in memoria) giunge all’affermazione dell’esentabilità, ai sensi del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, artt. 101 e 105, dei contributi corrisposti dallo Stato a titolo di fiscalizzazione degli oneri sociali in quanto finalizzati alla riduzione del costo del lavoro e, in definitiva, della produzione.

7.2 Alla luce di tali condivisi principi” non sussiste, quindi, la dedotta violazione di legge, laddove, la Commissione regionale, anche in conformità con gli arresti giurisprudenziali sopra citati (p. 5.1) in tema di cash pooling, ha correttamente distinto, ai fini che occupano, gli interessi attivi derivanti da un contratto di conto corrente bancario, normalmente funzionale alla sola circolazione monetaria necessaria per la vita dell’azienda, dagli interessi rivenienti da un conto corrente infragruppo, quale quello in esame, sottolineando come non fosse applicabile, per la diversità di fattispecie, il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 2983 del 1.3.2012 (ancora oggi, invece, invocata dalla ricorrente incidentale), specificando che, nel caso all’esame della Corte in quell’occasione, si trattava di un conto bancario sul quale affluivano i ricavi della società e dal quale venivano prelevate somme per le spese, rapporto non equiparabile alla gestione unificata della tesoreria delle risorse finanziarie infragruppo dalla quale, secondo l’accertamento compiuto dalla C.T.R., conseguiva, al contrario un finanziamento da una Società all’altra non direttamente ricollegabile all’esercizio dell’attività propria dell’impresa godente dell’agevolazione.

7.3 L’esclusione della natura esentabile del reddito da interessi attivi ed il relativo accertamento in fatto, come operati dalla C.T.R. non risultano, peraltro, idoneamente contrastati dal ricorso incidentale.

7.4 La C.T.R. ha, invero, applicato, correttamente e rigorosamente i principi enunciati da questa Corte (come illustrati p. 4.3) allorquando ha posto a carico dell’Editoriale La Nuova Sardegna, ritenendolo non assolto, l’onere probatorio al fine della dimostrazione della natura esentabile del reddito, con conseguente rigetto del quinto motivo del ricorso incidentale.

7.5. Dal canto suo, la ricorrente incidentale, come suo onere, non ha fornito idonei elementi atti a dimostrare che il “capitale” di cui al conto corrente infragruppo, generativo di quegli interessi, fosse costituito unicamente dalla mera circolazione monetaria relativa alla vita dell’azienda della Editoriale Nuova Sardegna. Sul punto, infatti, il sesto motivo di ricorso (prospettante l’omesso esame di un fatto decisivo) si attesta su circostanze generiche, sulla base dell’assunto (sopra smentito p. 7.1) dell’integrale equivalenza tra la nozione di reddito industriale e reddito di impresa, mentre, al contrario, il rapporto di conto corrente infragruppo, dalla stessa ricostruzione operata dalla ricorrente incidentale nei suoi scritti difensivi, appare finalizzato a una forma di finanziamento indiretto, teso a sopperire alle varie e contingenti esigenze delle consociate.

8. Il rigetto di tali mezzi di impugnazione assorbe l’esame del settimo e dell’ottavo motivo. L’argomentazione svolta dalla C.T.R. e oggetto di censura, infatti, non costituisce autonoma ratio decidendi, ma mera argomentazione, rafforzativa del decisum, svolta ad abundantiam, laddove, peraltro, l’abuso del diritto non aveva mai formato oggetto nè di contestazione nè di allegazione.

9. Il ricorso incidentale va, pertanto, rigettato.

10. Va, quindi, esaminato il ricorso principale proposto dall’Agenzia delle entrate avverso il capo della sentenza impugnata che ha escluso la debenza delle sanzioni.

10.1 Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, laddove la C.T.R. aveva ritenuto inapplicabili le sanzioni, per le obiettive condizioni di incertezza sulla portata della norma, malgrado detta questione fosse stata proposta, inammissibilmente, per la prima volta in grado di appello, e non con i ricorsi introduttivi.

10.2 Con il secondo motivo si denuncia la sentenza impugnata di omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove la C.T.R. non aveva illustrato le ragioni per le quali la sanzione era inapplicabile.

10.3 Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, laddove la C.T.R. non aveva minimamente motivato circa l’incertezza normativa oggettiva della disciplina normativa.

11. Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato con assorbimento dei restanti. Per insegnamento consolidato di questa Corte, infatti, “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio di legittimità” (cfr. Cass. n. 14402 del 14/07/2016; id. n. 24060 del 2014; n. 440 del 2015) e ancora “il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto.

12. Nel caso in esame, come emerge dal contenuto del ricorso introduttivo proposto dalla Società (come riportato, in ossequio al principio di autosufficienza, nel ricorso per stralcio idoneo allo scopo) la contribuente aveva contestato l’applicabilità delle sanzioni nel merito, senza invocare nè allegare i presupposti cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6,comma 2, collega l’inapplicabilità delle sanzioni. Ne consegue che la domanda, formulata per la prima volta nel giudizio di appello, deve ritenersi nuova e come tale inammissibile e che, pertanto, ha errato il Giudice di secondo grado nel trattarla.

13. La sentenza impugnata, pertanto, sul punto va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 4, non potendo la domanda essere proposta.

14. In ossequio al principio di soccombenza Editoriale La Nuova Sardegna S.p.A. va condannata, in favore dell’Agenzia delle entrate, alle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti;

rigetta il ricorso incidentale;

cassa, nei limiti del motivo accolto del ricorso principale, la sentenza impugnata, senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., comma 4;

condanna Editoriale Nuova Sardegna S.p.a. al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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