Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20331 del 10/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/10/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 10/10/2016), n.20331

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15484-2015 proposto da:

BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA – SOCIETA’ COOPERATIVA, P.I.

(OMISSIS), quale società incorporante la Banca della Campania

S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARI 3, presso MARIA

TERESA ACONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MODESTINO ACONE,

DANIELA PETITTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DI SAN SALVATORE IN CAMPO 33, presso lo studio dell’avvocato

NICOLINA GIUSEPPINA MUCCIO, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 2956/2C15 della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI, depositata il 93/04/2015 R.G.N. 5649/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato ACONE MODESTINO;

udito l’Avvocato MUCCIO NICOLINA GIUSEPPINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso, assorbito il resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3 aprile 2015, la Corte d’Appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, confermava la decisione del Tribunale di Napoli e accoglieva la domanda proposta da L.G. nei confronti della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna – Società cooperativa (quale incorporante la Banca della Campania S.p.A.), avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei licenziamento per giusta causa intimatogli il (OMISSIS) dalla Banca della Campania S.p.A. per motivi disciplinari dati dal rifiuto di riprendere servizio all’esito della visita medico fiscale effettuata all’estero attestante il superamento delle precarie condizioni di salute che giustificavano il perdurare dell’assenza dal lavoro, condannando la Banca alla reintegrazione L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, comma 4, nuovo testo.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto insussistente la violazione di legge dedotta in relazione ai mancato esame della CTU espletata nella fase sommaria, rilevandone anzi l’inconfercnza rispetto al thema decidendum definibile, viceversa, sulla base della sola documentazione medica prodotta dall’interessato, dalla quale non emergeva, contrariamente a quanto ritenuto dalla Banca datrice, la guarigione dallo stato di malattia e la possibilità della ripresa del servizio con anticipo rispetto ai 90 giorni prescritti dal medico curante, così da risultare idonea ad escludere la sussistenza dell’addebito contestato relativo all’assenza ingiustificata dal lavoro a decorrere dal (OMISSIS) ed altresì la sussistenza del secondo addebito strettamente conciato al primo in quanto fondato sul convincimento che il viaggio in (OMISSIS) fosse un escamotage per sottrarsi agli obblighi derivanti dalla posizione debitoria pendente con la Banca, da cui faceva conseguire, anche ai sensi dell’art. 18 novellato, il diritto del dipendente alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno di cui escludeva, quale eccezione non elevabile in sede di rito Fornero, la compensazione con il reciproco credito vantato dalla Banca per le rate del mutuo non pagate.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Banca, affidando l’impugnazione a nove motivi, cui resiste, con controricorso, il L..

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Banca ricorrente deduce un vizio di motivazione in relazione all’incongruità della valutazione operata dalla Corte territoriale con riguardo alla certificazione dell’esito della visita fiscale cui il dipendente veniva sottoposto all’estero, considerata in sè, in riferimento alla sua formulazione testuale e nel più ampio contesto fattuale, asseverato in sede istruttoria nel quale veniva ad inserirsi.

Con il secondo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 112, 115 e 116 c.p.c. oltre al principio del giusto processo di cui agli artt. 25 e 111 Cost., la Banca ricorrente imputa alla Corte territoriale, sulla scia delle censure svolte con il primo motivo, l’omessa pronunzia, aggravata dalla mancata considerazione, anch’essa immotivata, della documentazione medica attestante l’effettivo stato di salute del dipendente ed in particolare della CTU espletata nella fase sommaria e comunque acquisita agli atti del giudizio, circa l’assolvimento da parte del lavoratore dell’onere di provare le ragioni giustificative dell’assenza dal lavoro.

Il terzo motivo ripropone sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, la medesima censura di cui al precedente motivo, data dall’omessa valutazione del materiale probatorio offerto dalle parti.

Con il quarto motivo la Banca ricorrente imputa alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 nella nuova formulazione introdotta dalla L. n. 92 del 2012 in relazione alla ritenuta operatività della tutela reintegratoria pur in presenza dell’accertamento della ricorrenza del fatto contestato inteso nella sua materialità.

Il quinto motivo ripropone la medesima censura di cui al motivo che precede sotto il profilo del vizio motivazionale.

Con il sesto motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. nonchè del principio di non contestazione in riferimento ai D.M. 7 febbraio 1985, D.M. 15 luglio 1996 e D.M. 12 ottobre 2000 in materia di visite di controllo e del D.P.C.M. 26 marzo 2005, art. 7 la Banca ricorrente imputa alla Corte territoriale l’omessa pronunzia in ordine alla rilevata acquiescenza all’esito della visita fiscale ancora una volta letta nel senso di certificare il recupero di condizioni fisiche tali da impone la ripresa del servizio.

Il settimo motivo ripropone sotto il profilo del vizio di motivazione la precedente censura. L’ottavo motivo è inteso a denunciare sotto il profilo del vizio di motivazione il travisamento in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale in relazione al secondo addebito disciplinare.

Il nono motivo riferisce anche a questo secondo addebito il vizio di violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 nuovo testo predicato con riferimento all’addebito principale.

Il primo motivo deve ritenersi infondato e con esso gli ulteriori motivi, dal secondo al settimo, che investono tutti l’accertamento della sussistenza del primo addebito di cui alla lettera di contestazione disciplinare afferente all’assenza ingiustificata dal servizio decorrente dal (OMISSIS) e, in successione logica, la proporzionalità della sanzione del licenziamento irrogata dalla Banca datrice al dipendente in questione, la legittimità del recesso intimato, le conseguenze sanzionatorie della dichiarata illegittimità del recesso medesimo.

Il thema decidendum riguarda essenzialmente la conformità a diritto e la congruità logica dell’interpretazione accolta dalla Corte territoriale della certificazione attestante l’esito della visita medica di controllo dello stato di malattia comunicato dal dipendente alla Banca datrice dall’estero ove si trovava fruendo di un congedo ordinario, interpretazione che ha condotto la Corte territoriale a disattendere la lettura datane dalla Banca in base alla quale la stessa ha ritenuto quel certificato espressivo di una condizione psico-fisica del dipendente idonea a ritenere superato il precedente giudizio diagnostico e prognostico reso al dipendente dal medico cui lo stesso si era rivolto, il quale, a fronte del riscontro di un quadro depressivo/ansioso con sintomi di panico, aveva prescritto al primo un periodo di riposo dal lavoro della durata di 90 giorni ed a considerare, quindi, il dipendente idoneo alla ripresa del servizio per la quale formulava apposito invito, che lo stesso ha poi lasciato cadere, così causando la reazione disciplinare della Banca.

Ebbene, al riguardo è a dirsi come il convincimento cui perviene la Corte territoriale nel senso di escludere, in relazione al tenore della certificazione dell’esito della visita fiscale, l’attribuibilità al medico incaricato di una valutazione di cessazione dello stato di malattia e di idoneità al lavoro del dipendente trovi solido fondamento logico e giuridico nel richiamo al dato, desumibile dal testo di quel certificato, della conferma del giudizio diagnostico e prognostico originariamente reso dal primo medico, risultando questa dall’essere ivi, da un lato, il dipendente dichiarato portatore di psicopatia connotata al momento da crisi depressiva e sindrome di panico cd implicante l’uso di psicofarmaci e, dall’altro, non fatta oggetto di smentita la prescrizione di un periodo di riposo dal lavoro di 90 giorni, rispetto al quale il medico incaricato si limita a consentire, a fronte di un riscontrato quadro evolutivo di recupero della condizione psicofisica, la prosecuzione in Italia con applicazione del trattamento sotto la guida dello psichiatra curante, con ciò implicitamente escludendo il recupero della capacità lavorativa.

Ed essendo la quaestio iuris così identificata nell’apprezzamento dell’essere la certificazione dell’esito della visita fiscale espressiva o meno di una valutazione di idoneità al lavoro del dipendente e non certo nella verifica dell’effettiva condizione psicofisica del medesimo all’atto dell’effettuazione di quella visita fiscale, emerge evidente, conseguendone l’infondatezza del secondo e del terzo motivo, la correttezza logica e giuridica di un accertamento tutto condotto all’interno del perimetro segnato dal contenuto di quella certificazione, rispetto al quale è stato correttamente considerato del tutto irrilevante l’ulteriore, e come tale estraneo alla predetta certificazione, giudizio diagnostico e prognostico che avrebbe potuto derivare dall’espletamento della richiesta CTU.

Dall’accoglimento dell’interpretazione data dalla Corte territoriale al contenuto della certificazione de qua, tale per cui lo stesso, in quanto confermativo dello stato di malattia in cui il ricorrente aveva dichiarato di versare, discende altresì l’infondatezza, da un lato, del sesto e del settimo motivo, non configurandosi a carico della Corte territoriale la violazione dell’invocata disciplina che impone, ai fini della negazione del certificato esito della visita fiscale, la previa impugnazione del medesimo, per essere stato quell’esito qui considerato favorevole al dipendente, dall’altro del quarto e del quinto motivo, risultando la statuizione sulle conseguenze sanzionatorie della dichiarata illegittimità del licenziamento conforme al disposto del nuovo testo della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, applicabile ratione temporis, starne la prevista applicabilità della tutela reintegratoria nell’ipotesi, da ritenersi nella specie verificata sulla base dell’interpretazione della certificazione de qua, in cui la condotta addebitata non integri gli estremi dell’inadempimento disciplinarmente rilevante.

Parimenti infondati risultano l’ottavo ed il nono motivo attinenti ai capi dell’impugnata sentenza relativi alla sussistenza del secondo addebito oggetto della contestazione disciplinare e, dunque, nuovamente alle conseguenze sanzionatorie della ribadita illegittimità dell’intimato licenziamento.

Decisiva in tal senso è la considerazione per cui la condotta oggetto di tale ulteriore contestazione – prospettata dalla Banca datrice in termini di lesione della propria immagine in conseguenza del diffondersi tra i colleghi di lavoro e la stessa clientela della voce per cui il L., rendendosi protagonista di una vera e propria fuga, avesse riparato in (OMISSIS) e protraesse la sua permanenza lì, addirittura inscenando la falsa malattia, per sottrarsi alle pressioni ed in qualche modo raggirare i creditori, tra cui la stessa Banca con la quale aveva in precedenza contratto un mutuo – piuttosto che un ulteriore addebito riflette la ragione stessa per cui la Banca si è determinata alla reazione disciplinare, considerazione che è alla base dell’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte territoriale, come attesta il passo della motivazione dell’impugnata sentenza (cfr. pag. 11, secondo cpv.) ove si rileva che l’essere quella condotta prospettata come mancanza disciplinare ha senso solo presupponendo la falsità della malattia, sicchè, in difetto di tale presupposto, essa viene financo a perdere qualsiasi reale consistenza.

Di qui l’inconfigurabilità della condotta addebitata quale inadempimento disciplinarmente rilevante e la conseguente corretta applicazione, L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, nuovo testo, della tutela reintegratoria.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. n. 222 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2016

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