Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2033 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 11/12/2019, dep. 28/01/2021), n.2033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 33963-2018 r.g. proposto da:

L.E., (cod. fisc. (OMISSIS)), domiciliato in Torino, Via

Guicciardini n. 3, presso lo studio dell’Avv. Lorenzo Trucco, che lo

rappresenta e difese, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

rappresentato e difeso dall’avvocatura Generale Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 649/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/04/2018;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

SANLORENZO Rita, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso.

udito, per il Ministero dell’Interno, l’Avv. Massarelli, che ha

chiesto respingersi l’avverso ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 10 aprile 2018, ha respinto il ricorso proposto da L.E., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza del locale Tribunale che aveva rigettato il ricorso del richiedente avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, respinto la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo, altresì, la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’appello ha raggiunto la suddetta conclusione rilevando, per quel che qui interessa, che: a) preliminarmente doveva essere affermata la non accoglibilità della richiesta di audizione formulata dall’appellante, in quanto il richiedente era stato già sentito dalla Commissione territoriale in modo approfondito e comunque nella suddetta richiesta non erano stati indicati fatti o circostanze specifiche e concrete sui quali avrebbe dovuto essere ascoltato; b) doveva essere condiviso il motivato giudizio di non credibilità del racconto del ricorrente effettuato dal Tribunale, dal quale non era emersa la sussistenza di alcun rischio di essere sottoposto a tortura o a trattamento inumano o degradante; b) risultava, inoltre, che nella zona della Nigeria di provenienza del ricorrente non vi era una situazione di conflitto armato interno; c) pertanto mancavano i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria; d) generiche, come le altre, dovevano essere considerate le censure relative al rigetto della protezione umanitaria, con le quali non si esponeva alcuna concreta argomentazione volta a confutare l’ordinanza del Tribunale sul punto, sostenendosi che il mero dato della provenienza dalla Nigeria sarebbe sufficiente ad ottenere il relativo permesso di soggiorno, senza evidenziare la sussistenza di seri e gravi motivi di carattere umanitario come richiesto dalla corrispondente normativa; e) l’infondatezza dell’appello portava a ritenere che ricorresse la fattispecie di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, effettuata con contestuale decreto.

3. Il ricorso di L.E. domanda la cassazione della suddetta sentenza per due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non resiste con controricorso, ma deposita atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, seguito dallo svolgimento di attività difensiva solo limitatamente alla discussione orale in pubblica udienza.

4. Con ordinanza interlocutoria del 26.6.2020, la Prima Sezione di questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza in relazione alla doglianza prospettata nel primo motivo e relativa all’audizione del richiedente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e erronea applicazione di plurime disposizioni legislative, contestandosi la mancata concessione della protezione sussidiaria, fondata sul giudizio negativo sulla credibilità del ricorrente espresso dalla Corte d’appello (e ancora prima dal Tribunale), nonchè sulla valutazione positiva della situazione della Nigeria, espresse con motivazione contraddittoria e dopo aver impedito la richiesta audizione dell’interessato, che avrebbe potuto fornire elementi utili a superare le riscontrate inattendibilità del racconto del ricorrente.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, in riferimento all’art. 10 Cost., comma 3, per non aver dato rilievo, al fine della protezione umanitaria, alla evidente sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali tra il Paese di origine e quello di accoglienza.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo è, in parte, infondato e, per altra, inammissibile.

3.1.1 Sotto il primo profilo ed in relazione alla questione dell’audizione giudiziale del richiedente, giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento al procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).

3.1.2 Per quanto concerne invece l’ulteriore questione della richiesta di audizione in appello (che riguarda anche la fattispecie concreta qui in esame, nel rito, cioè, governato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19), non può essere dimenticato che, sempre secondo la condivisibile giurisprudenza espressa da questa Corte, nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere il suo ascolto, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Sez. 1, Ordinanza n. 8931 del 14/05/2020). Occorre, altresì, precisare che la richiesta di ammissione dell’audizione in grado di appello avanzata dal richiedente protezione dovrà essere corredata, per essere positivamente apprezzata dal giudice del gravame, dell’indicazione di analoga richiesta già presentata innanzi al primo giudice e declinata come doglianza di mancata ammissione di un mezzo istruttorio, con l’ulteriore conseguenza che tale richiesta potrà essere accolta soltanto se la corte di appello ritenga indispensabile la prova richiesta ai fini della decisione e ovvero la parte richiedente dimostri di non aver potuto avanzare tale richiesta nel precedente grado di giudizio, secondo il paradigma applicativo previsto dall’art. 702 quater c.p.c., per come richiamato, nel rito in esame, dal sopra ricordato il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19.

3.1.3 Ciò posto, osserva la Corte come la doglianza articolata dal ricorrente sul punto qui in discussione risulti, in primis, infondata perchè – secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sopra menzionata (e qui confermata) – non esiste un obbligo dell’autorità giudiziaria ad ascoltare in sede giurisdizionale il richiedente e, inoltre, la stessa si presenti del tutto generica e dunque irricevibile, non spiegando e non specificando il richiedente, nel presente ricorso per cassazione, i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione innanzi ai giudici del merito ed i profili di credibilità del racconto non approfonditi nelle precedenti fasi di giudizio.

3.1.4 Nel resto il primo motivo di ricorso è del pari inammissibile.

3.1.4.1 Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a e b, la censura proposta dal ricorrente, peraltro articolata in termini estremamente generici, non coglie la ratio decidendi del provvedimento di diniego della richiesta tutela protettiva, ratio che si fonda su una complessiva valutazione di non credibilità del racconto e che non è stata censurata se non nei termini sopra esaminati della necessità di ammettere l’audizione giudiziale del richiedente e dunque secondo una richiesta non apprezzabile positivamente neanche in questa sede giudiziale.

3.1.4.2 In ordine alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, va precisato che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Ciò detto, il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Nigeria, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che negli Stati del sud della Nigeria non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

3.2 Anche il secondo motivo – declinato in relazione al diniego della reclamata protezione umanitaria – è articolato dal ricorrente in modo inammissibile.

Si prospetta un vizio di violazione e falsa applicazione dei parametri normativi sopra ricordati in premessa.

3.2.1 Sul punto, non è inutile ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).

3.2.2 Ciò posto in termini generali, osserva la Corte come le doglianze articolate dal ricorrente, peraltro in modo generico, siano volte a far ripetere a questa Corte un inammissibile riesame della questio facti e dei presupposti applicativi dell’invocata protezione umanitaria, prospettando censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante l’area di cognizione del giudizio di legittimità.

Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate, con esclusivo riferimento all’attività svolta dal difensore nella discussione in pubblica udienza, come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 300 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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