Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2033 del 26/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2033 Anno 2018
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: DORONZO ADRIANA

ORDINANZA
sul ricorso 10004-2014 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E
DELLA RICERCA 80185250588, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrentecontro
ZAMPARINI MILENA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ARNO 88, presso lo studio dell’avvocato CAMILLO UNGARI
TRASATTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROBERTO NICOLA CASSINELLI;
controricorrente –

Data pubblicazione: 26/01/2018

avverso la sentenza n. 503/2013 della CORTE D’APPELLO di
GENOVA, depositata il 15/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/12/2017 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA
DORONZO.

Il Tribunale di Genova, in accoglimento della domanda proposta dalla
odierna parte intimata, assunta con reiterati contratti a tempo
determinato alle dipendenze del MIUR, per quanto qui ancora di
interesse, ha condannato il Ministero al pagamento in favore della
lavoratrice delle differenze tra la retribuzione spettante al dipendente a
tempo indeterminato e quella effettivamente corrisposta, siccome
dipendente a tempo determinato;
la Corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello del Ministero;
in questa sentenza la Corte ha ritenuto che la domanda della ricorrente
fosse fondata alla luce dell’art. 4 dell’Accordo Quadro attuato con
Direttiva 1999/70/CE (oltre che con l’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001), il
quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo
determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni
oggettive, che non possono essere ravvisate nella mera circostanza che
un impiego sia qualificato di ruolo in base all’ordinamento interno e
presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego;
per la cassazione ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca sulla base di un unico motivo;
la parte intimata ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata
comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza
in camera di consiglio non partecipata;
il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
RIC.

-2-

2014 n. 10004 sez. ML – ud. 19-12-2017

Rilevato che:

Considerato che:
1. il MIUR denuncia la violazione degli artt. 6 e 10 del d.lgs. 6/9/2001,
n. 368, dell’art. 9, comma 18, D. L. n. 70/2011, come convertito dalla
L. n. 106/2011, dell’art. 4 della L. 3/5/1999 n. 124, dell’art. 526 del
D.lgs. 16/4/1994, n. 297, dell’art. 79 del C.C.N.L. comparto scuola del

70-CE e dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato ivi
allegato;
1.1. sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che le supplenze
stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo
sulla base della normativa di settore non violano la direttiva
comunitaria, che ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze
di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce
rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla
tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo
determinato ed indeterminato;
1.2. il ricorso – che deve ritenersi ammissibile in quanto è
sufficientemente delineato lo svolgimento del processo e sono
chiaramente enucleate le censure che si intendono muovere alla
sentenza impugnata – è manifestamente infondato;
1.3. il motivo, nella parte in cui insiste sulla legittimità dei contratti a
termine, sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico, sulla
esistenza di ragioni oggettive legate alla necessità di assicurare la
continuità didattica, sovrappone e confonde il principio di non
discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le
organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e
UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di

Ric. 2014 n. 10004 sez. ML – ud. 19-12-2017
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29/11/2007, dell’art. 36 del D. Lgs. n. 165/2001 e della direttiva 99-

abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della
disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;
1.4. il motivo è comunque infondato, in quanto la sentenza impugnata,
nel riconoscere l’anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea
con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con

«nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a
tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta
applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al
personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini
della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per
i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo,
sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che,
prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la
retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento
economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato»;
2. a dette conclusioni, ribadite da ultimo da Cass. ord. 12/7/2017, n.
17168, la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla
Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4
dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico
degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato

condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a

quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato ‘comparabile”,
sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;
3. il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a
disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le
ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi
qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise
dal Collegio;
Rlc. 2014 n. 10004 sez. ML – ud. 19-12-2017
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le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che

4. in conclusione, il ricorso va respinto;
5. la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle
Corti territoriali e solo di recente composta dalle citate sentenze di
questa Corte, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di
legittimità;

dello Stato l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228,
atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a
debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano
sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di
legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto
della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.

13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2017

6. non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni

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