Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20329 del 23/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/08/2017, (ud. 05/12/2016, dep.23/08/2017),  n. 20329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2305-2015 proposto da:

P.C., PA.GI., PI.CR., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELLO GIOIOSO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LODOVICO FABRIS in virtù di mandato a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Z.N., erede di Z.G., elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE CARSO 9, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

VITALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIUSEPPE ALESSIO e BRUNO BELLISAI giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

emessa il 04/11/2013 e depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato Lodovico Fabris, per i ricorrenti, che si riporta

agli scritti;

udito l’Avvocato Bruno Bellissai, per la controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Il Tribunale di Padova, chiamato a pronunciarsi sull’ opposizione a decreto ingiuntivo di P.A. nei confronti dell’ingiungente, avv. Z.G., per la liquidazione di un compenso per l’attività di patrocinio espletata in un giudizio penale, con sentenza 571 del 2006, la rigettava e per l’effetto confermava il decreto opposto.

Contro tale sentenza il P. ha proposto gravame e la Corte di Appello di Venezia, nella contumacia della controparte, con sentenza n. 110 del 2014, depositata in data 17 gennaio 2014, in riforma della decisione di primo grado, in accoglimento dell’impugnazione, ha rigettato l’originaria domanda monitoria sul presupposto del difetto di prova del credito preteso, rigettata anche quella dell’ appellante di restituzione della somma versata per non avere provato 1′ effettivo esborso.

Avverso tale sentenza della Corte di appello di Venezia hanno presentato ricorso per cassazione gli eredi del P., prospettando con un unico motivo l’omesso esame di un fatto rilevante e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., n. 5.

Z.N., erede dell’avv. Z.G., ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo l’accoglimento del ricorso. In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Parte ricorrente con l’unico motivo lamenta che la Corte di Appello non abbia considerato dimostrato il pagamento della somma portata nel decreto ingiuntivo attraverso la produzione della copia di assegno bancario fatto pervenire al creditore con raccomandata R/R del 15/09/2003 come verbalizzato all’udienza dell’08/06/2005, essendo stata concessa in primo grado la provvisoria esexcuzione del decreto ingiuntivo.

Il motivo appare fondato per quanto di seguito si dirà.

Occorre premettere che, nella specie, il giudice del gravame non è incorso in un errore revocatorio – come asserito dalla controricorrente – non trattandosi di mera svista di un documento, ma di erronea valutazione di elementi di giudizio comprovanti l’avvenuto versamento dell’importo preteso. Del resto l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motiva pione, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (Cass. n. 4893/2016).

Ciò posto si osserva che in relazione alla domanda – proposta nella fase di gravame – di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado impugnata, il giudice di appello opera quale giudice di primo grado (Cass. 15461/2008) e quindi è ammesso all’esame di tutta la documentazione prodotta nella fase monitoria e in quella del giudizio di opposizione, non potendo limitare la cognizione ai soli atti allegati in appello.

Va, altresì, precisato che essendo stata la sentenza impugnata depositata il 17 gennaio 2014, il presente ricorso soggiace alla disciplina dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012. In relazione a tale modificazione, questa Corte, a Sezioni Unite, ha avuto modo di affermare che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. In L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “Minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “Motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. SS. UU. 8053 del 2014).

In altri termini, la norma in questione introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale atto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Parte ricorrente indica nel ricorso il fatto storico il cui esame è stato omesso dalla Corte di appello e cioè l’esistenza, risultante dalla documentazione in atti, dell’assegno, la cui fotocopia veniva depositata all’udienza del 8/06/2005, intestato a Z.N. riportante il saldo di Euro: 18.992,82. Appare evidente la decisività di tale nota ai fini di considerare il versamento della somma pretesa dalla creditrice, di cui il giudice del gravame non risulta avere tenuto conto, con ciò integrando la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo omesso di analizzare quell’elemento, che è stato oggetto di discussione tra le parti, tale dato è decisivo per la decisione di merito.

In definitiva, si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ravvisando la possibile fondatezza del ricorso.”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e non vengono scalfiti dalle ragioni illustrate dalla controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., dal momento che con detto atto vengono introdotte questioni nuove, come il mancato pagamento dell’assegno pacificamente in atti, che come tali sono inammissibili dovendo, al riguardo, ribadirsi che nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (v., fra le altre, Cass. 22 febbraio 2016 n. 3471).

In conclusione il ricorso va accolto, con annullamento della contestata decisione in punto di restituzioni e rinvio, per il riesame, allo stesso giudice che ha emanato la sentenza “in pane qua” annullata, il quale dovrà attenersi nella sua pronuncia ai principi di diritto sopra riportati. Lo stesso giudice provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017

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