Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20328 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/07/2019, (ud. 07/01/2019, dep. 26/07/2019), n.20328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11947-2018 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BASTIONE

MICHELANGELO 5/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FATICA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIERPAOLA BELPOLITI;

– ricorrente –

contro

ABC ASSICURA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

R.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2277/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2014 T.G. conveniva, dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, R.T. per sentirne dichiarare la responsabilità in ordine al sinistro verificatosi in data 10 giugno 2011 in (OMISSIS) a Reggio Emilia, ed in ragione del quale il T. aveva riportato gravi lesioni. L’attore assumeva che mentre era alla guida del proprio ciclomotore, collideva improvvisamente con l’autovettura guidata dal R., che aveva invaso l’opposta corsia di marcia. Parte attrice domandava, quindi, la condanna del convenuto e della compagnia assicurativa ABC Assicura S.p.A. al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in Euro 80.001,56; chiedeva, infine, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 148, comma 10, che in caso di sentenza di accoglimento della domanda attorea, laddove la somma offerta dall’INAIL e dalla Compagnia di assicurazione fosse stata inferiore alla metà di quella liquidata, che il Tribunale trasmettesse copia della sentenza all’ISVAP per l’accertamento dell’osservanza delle disposizioni in materia di risarcimento.

Con sentenza 56/2016, il Tribunale di Reggio Emilia accertava la responsabilità esclusiva di R.T., ma respingeva le richieste del T., ritenendo esaustive le somme già corrisposte dalla compagnia assicurativa e tenuto conto di quanto già percepito dall’attore dall’INAIL D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13.

2. T.G. appellava la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia. R.T. e la ABC Assicurazioni S.p.A. proponevano appello incidentale, lamentando il mancato riconoscimento del concorso di colpa dall’appellante nella causazione del sinistro. Con sentenza 2277/2017, pubblicata il 6/10/2017, la Corte territoriale di Bologna confermava il rigetto della domanda attorea, accogliendo il gravame incidentale.

Relativamente a quest’ultimo, il Giudicante riteneva sussistenti concreti profili di colpa nella condotta di entrambi i conducenti, nella diversa misura del 70% a carico dell’automobilista e del 30% carico del ciclomotorista, avendo questi fatto incondizionato affidamento sul proprio diritto di precedenza.

La Corte respingeva, poi, la censura dell’appello principale relativo alla misura della personalizzazione del danno biologico, essendo mancata la prova dell’asserito mutamento delle abitudini di vita dell’appellante, che non ha reiterato alcuna istanza istruttoria sul punto. Condividendosi, poi, l’assunto secondo il quale l’invalidità temporanea avrebbe dovuto essere liquidata sulla base del valore medio di 120 Euro giornalieri, il danno complessivamente subito dal T. ammontava ad Euro 89.678,88, che, contenuto nei limiti del 70%, andava ridotto ad Euro 62.775,29; detratta la somma erogata dall’INAIL, il danno differenziale risultava pari ad Euro 28.339,85, certamente compreso nell’acconto di Euro 33.000,00 versato dalla Compagnia di Assicurazione.

3. T.G. propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi.

3.1. ABC Assicura S.p.A. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo, articolato in tre censure, parte ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, ossia la circostanza per cui la compagnia assicurativa avrebbe risarcito integralmente il danno patito dal T. senza obiettare in ordine ad una responsabilità anche residuale di questi nella causazione del sinistro; il rilievo della velocità di guida e, in generale, della condotta tenuta dal T., non potendosi in alcun modo desumersi una velocità non prudenziale del conducente ovvero un suo comportamento colposo; la circostanza per cui il Giudicante abbia confermato la sentenza di prime cure anche in punto di personalizzazione del danno, limitandola al 5%.

Il motivo in tutte le sue articolazioni è inammissibile.

Per quanto riguarda la prima censura, indicata sub a), denuncia l’omesso esame di un preteso fatto decisivo del quale omette di indicare come e dove fosse stato introdotto nel giudizio di merito e, dunque, dovesse esaminarsi dalla Corte territoriale. Sotto tale profilo è violato l’art. 366 c.p.c., n. 6. Inoltre, non può certo dirsi, in verità, che il giudicante non abbia tenuto conto della somma corrisposta all’odierno ricorrente dalla compagnia assicurativa (pag. 3 del dispositivo), comprensivo del danno differenziale, e qualificata in termini di acconto del quantum risarcitorio complessivamente considerato.

La seconda censura, indicata sub b), deduce un vizio ai sensi dell’art. 360, n. 5, in modo del tutto inidoneo e irrispettoso dei limiti indicati dalle S.U. di questa Corte nn. 8053-8054 del 2014, sostanziandosi in realtà in una sollecitazione alla rivalutazione del materiale probatorio relativo alla ricostruzione della quaestio fatti. Infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. da ultimo Cass. 22598/2018).

Infine, la terza censura, quella sub c), risulta del tutto assertoria e priva di specificità (Cass. S.U. n. 7074 del 2017) ed anche articolata in violazione dell’art. 366, n. 6, là dove omette di individuare il tenore dell’appello e fa riferimento ad altre emergenze senza fornirne l’indicazione specifica.

6.2. Con il secondo mezzo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, art. 141 C.d.S., art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La Corte avrebbe errato nel fare applicazione della presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, avendo il T. fornito la prova liberatoria di essersi pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza.

Anche il secondo motivo è inammissibile, essendo basato sulla eventuale fondatezza della seconda censura del primo motivo. Infatti pur argomentando in iure lo fa nella supposizione che la ricostruzione della dinamica sia quella postulata da detta censura. Da ciò deriva la conseguente inammissibilità. E comunque la censura è diretta ad ottenere una rivalutazione del merito, non avendo la Corte fatto semplicistica applicazione del meccanismo presuntivo di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, ma avendo, per contro, accertato la ricorrenza di concreti profili di colpa del danneggiato nella causazione dell’evento, individuati nell’incondizionato affidamento sull’altrui diligenza, che di per sè costituisce condotta negligente. Si afferma, infatti, che il T. avrebbe dovuto prudentemente rallentare prima di affrontare l’incrocio, in modo tale da poter fronteggiare la manovra incauta dell’altro conducente. Pertanto, nell’affermare di aver fornito la piena prova di essersi conformato alle regole sulla circolazione stradale nonchè alle norme di prudenza, il ricorrente si limita a proporre una tesi alternativa rispetto a quella seguita dal giudicante, non essendo dato rinvenire vizi logico giuridici idonei ad inficiare la validità della sentenza.

6.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione apparente, laddove la Corte afferma apoditticamente la responsabilità del ciclomotorista, senza disaminare approfonditamente le risultanze istruttorie.

6.4. Con il quarto mezzo parte ricorrente censura la falsa applicazione degli artt. 140,141,145, comma 4 e artt. 7,154 C.d.S., comma 1, che individuano in modo preciso il comportamento da tenere in caso di svolta a sinistra, e del quale la Corte non ha tenuto conto nel confermare la responsabilità concorrente del T..

Per quanto riguarda il terzo e quarto motivo congiuntamente esaminati si fondano sempre nel presupposto che risulti fondata la seconda censura del primo motivo in ordine alla condotta del ricorrente. L’inammissibilità delle censure deriva, quindi, dalla velata richiesta di rivalutazione del merito, non rinvenendosi nella motivazione della sentenza impugnata vizi idonei ad inficiarne la validità.

Inoltre la terza censura è inammissibile in quanto manifestamente aspecifica, sostanziantesi in una critica generica alla sentenza impugnata. Invero, il ricorrente non prospetta argomenti sufficienti a valutare l’assunta apparenza della motivazione d’appello, limitandosi a ribadire l’erroneità della ritenuta responsabilità concorrente del T.. Peraltro, pur volendo procedere all’esame del merito della doglianza, non si può che concludere per la sua infondatezza, avendo la Corte territoriale esplicato adeguatamente le ragioni poste a fondamento della sua decisione. Tali considerazioni valgono anche per il quarto motivo.

6.5. Con il quinto motivo, parte ricorrente si duole della falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., avendo la Corte d’Appello posto a carico dell’appellante principale le spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di tre quarti. Essendo risultato l’appellante principale vincitore di due motivi su tre, la Corte avrebbe dovuto quantomeno compensare le spese di giudizio.

Il motivo è infondato perchè la corte ha applicato il principio della soccombenza reciproca valutando più grave quella del ricorrente e ciò non è sindacabile in questa sede, non senza doversi rilevare che la soccombenza del ricorrente era in definitiva di maggior rilievo. La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30592/2017).

6.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 1992, art. 13, comma 1, posto che, per imporre a carico dell’appellante principale il raddoppio del contributo unificato è necessario che l’impugnazione sia respinta integralmente, ovvero sia dichiarata inammissibile o improcedibile.

Sebbene la Corte abbia condiviso la doglianza mossa con il secondo motivo di appello relativamente alla liquidazione dell’invalidità temporanea, al netto delle valutazioni concernenti la definizione del quantum debeatur (circoscrizione del danno nei limiti del 70%, detrazione della somma erogata dall’INAIL, acconto della compagnia assicurativa) la domanda attorea veniva comunque rigettata; sicchè possono ritenersi sussistenti tutti i presupposti di cui al D.P.R Cit., art. 13, circa l’imposizione del doppio del contributo unificato.

7. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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