Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20328 del 23/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/08/2017, (ud. 05/12/2016, dep.23/08/2017),  n. 20328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1146-2015 proposto da:

C.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIULIO CERAVOLO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Avv. CA.EL., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sè

medesimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 921/2014 del TRIBUNALE di PALMI, emessa il

25/11/2014 e depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Il Tribunale di Palmi con la sentenza n. 6/2009 (depositata il 7/1/2009) rigettava il gravame proposto da C.R.C. nei confronti di CA.El. avverso la decisione del Giudice di pace di Palmi n. 4141 del 2012 che, adito in opposizione al decreto ingiuntivo n. 364/2010 ottenuto dall’appellato per il pagamento di prestazioni professionali, respingeva l’opposizione e per l’effetto confermava l’esistenza del credito di cui al decreto.

Avverso detta sentenza l’originario opponente propone ricorso per cassazione formulando tre motivi: con il primo lamenta l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia; con il secondo deduce la contraddittoria motivazione in ordine all’individuazione dell’avvocato che avrebbe svolto l’incarico professionale; con il terzo denuncia la contraddittoria motivazione in ordine al rigetto della richiesta di risarcimento danni all’immagine.

Il Ca. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con il primo motivo il ricorrente lamenta che il giudice dell’impugnazione, al pari di quello di primo grado, non avrebbe valutato che le somme esposte dall’ingiungente attenevano ai costi liquidati dal giudice in suo favore nel procedimento civile n. 1201/2006 e che quindi non aveva alcuna pertinenza con il credito vantato dal professionista.

Il motivo è inammissibile prima che infondato.

Nella sostanza il ricorrente denuncia che il giudice di appello abbia omesso di pronunziare su apposita censura mossa con l’atto di gravame quanto alle somme indicate dall’ingiungente.

Orbene, nella specie, non risultando tale censura esposta nella sentenza di secondo grado, era onere del ricorrente trascriverla nel ricorso, onde consentire alla Corte, da un lato, di verificare che la questione prospettata non fisse nuova e come tale inammissibile, dall’altro di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

Non avendo il ricorrente assolto tale onere in quanto (dalla lettura del ricorso) non è dato cogliere quale fisse il motivo di gravame formulato con l’atto di appello, la censura va ritenuta inammissibile (v. Cass. 17049 del 2015).

Con la seconda censura, nel denunciare contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che, l’attività difensiva del Ca. nel giudizio presupposto sia cessata alla prima udienza diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale che ha liquidato il compenso per la difesa svolta per l’intero giudizio.

Anche il secondo motivo è inammissibile.

Occorre premettere che nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., n. 5 come riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, per essere stata la sentenza depositata il 26/11/2014 per cui il vizio di motivazioe deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come rido ione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Con la conseguenza che è denunciabile in cassa pione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esisterza della motivazione in se, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultane processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. Cass. SS. UU. n. 8053 del 2014).

Ciò posto, non sussiste la dedotta contraddittorietà nel senso di apparente motivazione, in quanto il giudice di merito ha statuito ponendo a base del suo convincimento oltre alle prove documentali, la deposizione del teste P., comprovante che l’attività svolta dal Ca. aveva avuto ad oggetto l’intero giudizio.

Anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione con riferimento alla reiezione della domanda di risarcimento dei danni all’immagine, è inammissibile, involgendo la censura un vizio motivazionale deducibile nei limiti esposti al motivo secondo.

Quindi anche quest’ultima censura va respinta per le medesime ragioni esposte con riferimento al secondo.

Per tali ragioni si ritiene sussistere la manifesta infondatezza della censura in esame e dunque procedere ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c…

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione sopra riportata sono condivisi dal Collegio e non risultano scalfiti dalle pur diffuse argomentazioni del ricorrente, riproposte anche con la memoria ex art. 378 c.p.c..

Conclusivamente il ricorso va respinto ed il ricorrente condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017

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