Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20319 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 11/06/2021, dep. 15/07/2021), n.20319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1884/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.

– ricorrente –

contro

T.G., rapp.to e difeso, giusta procura in margine al

controricorso, dall’Avv.to Oreste Cantillo e dall’Avv.to Guglielmo

Cantillo, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, al

Lungotevere Mellini, n. 17.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 7990/12/14, depositata in data 22/09/2014, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del

11/06/2021, dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito, CTR), di cui in epigrafe, che ha accolto l’appello del contribuente, T.G., dichiarando, in riforma della sentenza di prime cure, la nullità dell’atto impositivo – con il quale erano stati determinati, per l’anno 2006, maggiori redditi di capitale in quanto emesso prima dello spirare dei termini di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212 art. 12, comma 7 (cd. Statuto del Contribuente).

T.G. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione ricorrente deduce la violazione di legge per aver i secondi giudici rilevato l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, e la conseguente nullità dell’avviso di accertamento nonostante, nella specie, non vi fosse stato accesso, ispezione o verifica fiscale nei locali del contribuente, trattandosi di accertamento cd. standardizzato riguardante i redditi di capitale conseguiti – e non dichiarati nella loro effettiva entità – dal T..

Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di autosufficienza e, nel merito, l’infondatezza dello stesso.

Il ricorso è ammissibile – perché redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza espositiva, avendo il ricorrente selezionato i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice”, anche con specifica localizzazione delle allegazioni difensive dei precedenti gradi, sì da rendere intellegibili le questioni giuridiche prospettate, nonché di individuare, in relazione a tali profili, le ragioni critiche nell’ambito del vizio prospettato (per i profili contenutistici del ricorso in cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), cfr. Sez. 5, 30/04/2020, n. 8425) – e fondato.

Con due sentenze rese dalle Sezioni Unite di questa Corte si è definitivamente tracciata la corretta interpretazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Con la decisione n. 18184 del 29/07/2013 (richiamata dai giudici di appello), le Sezioni Unite hanno stabilito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, termine che, secondo interpretazione unanime, decorre dal rilascio al contribuente, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza; ciò in quanto trattasi di termini posti a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione di principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. La Suprema Corte ha specificato che il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza del requisito dell’urgenza (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, le Sezioni Unite, hanno fornito un’ulteriore interpretazione delle norme in parola per i cd. controlli cd. “a tavolino”, stabilendo che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale”. Tale decisione ha, altresì, affermato la necessità di operare, per i tributi armonizzati la cosiddetta “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, nel senso che l’Amministrazione finanziaria è gravata da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di denunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre per quelli “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che sussiste solo per l’ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

Il quadro di riferimento normativo e l’interpretazione datane dalla Suprema Corte, porta, dunque, ad affermare che le garanzie procedimentali di cui alle disposizioni richiamate trovano applicazione solo rispetto al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali, mentre il termine dilatorio non opera nell’ipotesi di accertamenti cd. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’Iva, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (cfr. Sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27429; Sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283).

Nel caso in esame, posto che si controverte su tributi non armonizzati (Irpef) e non di Iva, e posto che non v’e’ contestazione sul fatto che il contraddittorio con l’Ufficio sia avvenuto, ne deriva la fondatezza del ricorso, per le ragioni di cui innanzi.

Il ricorso va, dunque, accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, affinché proceda all’esame del merito della controversia. La CTR in sede di rinvio è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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