Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20318 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 20318 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: TORRICE AMELIA

ORDINANZA

sul ricorso 1642-2014 proposto da:
SICURANZA MICHELE C.F.

SCRMHL58S12H438J,

elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA

FRANCESCO SIACCI 2-B, presso lo studio
dell’avvocato CORRADO DE MARTINI, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018
1712

contro

AGENZIA DELLE DOGANE C.F. 97210890584, in

Data pubblicazione: 31/07/2018

persona

del

Direttore

pro

tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
che la rappresenta e difende ope legis;

avverso la sentenza n. 514/2013 della CORTE
D’APPELLO di GENOVA, depositata il
18/10/2013 R.G.N. 478/2013.

– controricorrente

N.R.G. 1642 2014

RILEVATO

1.

che la Corte di appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, ha

confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da
Michele Sicuranza volta alla condanna dell’Agenzia delle Entrate al risarcimento del

procedure di interpello indette negli anni 2006, 2007, 2008 per l’attribuzione di
posizioni dirigenziali presso la direzione regionale delle Dogane;
2.

che la Corte territoriale, richiamati i principi i principi affermati dalle Sezioni

Unite di questa Corte nella sentenza n. 21671/2013, ha ritenuto che: le motivazioni in
base alle quali l’Agenzia aveva proceduto alle scelte dei funzionari cui attribuire le
posizioni dirigenziali, esplicitate nelle note finali che le avevano precedute, non
risultavano arbitrarie o ispirate da intenti discriminatori perché formulate sul rilievo
che l’esperienza professionale del Sicuranza non era “pienamente coerente gli incarichi
richiesti” in ragione della breve esperienza e della professionalità maturate dal
Sicuranza presso l’Agenzia; quest’ultima aveva individuato i funzionari cui attribuire le
posizioni dirigenziali sulla scorta di dati oggettivi quali l’anzianità di servizio e la
esperienza maturata all’interno dell’Agenzia (quella del ricorrente risaliva al 2005)
ritenendoli preminenti rispetto agli altri elementi (titolo di studio e fascia retributiva);
quanto all’incarico di responsabile dell’Area antifrode la scelta della Agenzia non era
stata connotata da arbitrarietà perché era emerso che i funzionari che erano stati
ritenuti meritevoli,

muniti come il Sicuranza del titolo di studio della laurea in

giurisprudenza o in economia e commercio o in scienze sociali, avevano maturato
esperienze specifiche in vari settori dell’attività doganale (verifiche e controlli dei
tributi, settore antifrode), mentre il Sicuranza aveva maturato esperienze nell’ambito
della Polizia di Stato;
3.

che avverso questa sentenza Michele Sicuranza ha proposto ricorso per

cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, al quale l’Agenzia
delle Dogane ha resistito con controricorso;

CONSIDERATO

danno da perdita di chance, assunto come derivato dalla dedotta illegittimità delle

N.R.G. 1642 2014

4.

che il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione

e falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ. (primo e secondo motivo), degli artt. 28
e 19 c. 1 del D. Lgs. n. 165 del 2001 (primo motivo) e omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (primo
e secondo motivo);
che il ricorso è inammissibile perchè in entrambi i motivi risultano cumulate

censure riferite ad un tempo ai vizi di violazione di legge e di motivazione, sviluppate
secondo prospettazioni difensive che non consentono di scindere le ragioni poste a
sostegno dell’uno o dell’altro vizio (Cass. SSUU 17931/2013, 7770/2009; Cass.
25976/2017, 20335/2017, 27649/2011);
6.

che

tale promiscuità rende impossibile al Collegio l’operazione di

interpretazione e sussunzione delle censure correlate alla dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 28 e 19 del D. Lgs. n. 165 del 2001 (primo motivo) e dell’art.
115 cod.proc.civ. (primo e secondo motivo) nell’ambito dell’uno o dell’altro dei mezzi
impugnatori di cui all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., in quanto il “decisurn”
della sentenza impugnata poggia sui principi affermati da questa Corte nella sentenza
n. 21671 del 2013 e sulla accertata non decisività del titolo di studio degli aspiranti,
sulla rilevanza attribuita alla esperienza maturata all’interno della Amministrazione
datrice di lavoro nell’ambito dei criteri oggettivi di selezione individuati da
quest’ultima;
7.

che il cumulo di vizi diversi nell’ambito dello stesso motivo rende allo stesso

modo inammissibile la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 19 del
D. Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 115 cod.proc.civ. perchè, in violazione della
disposizione dell’art. 366. n. 4 cod.proc.civ., non risulta chiarita la ragione per la quale
tali disposizioni siano state male interpretate e perché le affermazioni in diritto
contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le norme
richiamate nella rubrica o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza
di legittimità (Cass. 7295/2018 24298/2016, 87/2016, 3010/2012, 5353/2007; Ord.
187/2014, 16308/2013);
8.

che ulteriore profilo di inammissibilità delle censure formulate nel primo e nel

secondo motivo consegue al fatto che il ricorrente, ad un tempo, contesta la violazione
delle norme citate nelle rubriche e la falsa applicazione (sussunzione) delle medesime
alla fattispecie dedotta in giudizio;
2

5.

N.R.G. 1642 2014

9.

che in tal modo il ricorrente non si confronta con i principi affermati

ripetutamente da questa Corte sulla differenza ontologica tra vizio di violazione di
legge, ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e vizio di errata applicazione della legge alla
fattispecie concreta, riconducibile all’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ. (Cass.7295/2018,
7568/2016, 26307/2014, 22348/2007), denunciabile nei limiti consentiti dall’ art. 360,

impugnata è stata pubblicata il 18.10.2013) risultante dalle modifiche introdotte
dall’art. 54 del D. L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L n. 134 del 2012, il
quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione per l’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia (Cass. SSUU 8053/2014, 8054/2014);
10.

che le censure di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria formulate

in entrambi i motivi sono inammissibili anche perché: a) sono estranee al mezzo
impugnatorio di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., nel testo applicabile “ratione
temporis” innanzi richiamato (cfr. punto 9 di questa sentenza); b) perchè sollecitano il
riesame del merito della causa e la rivalutazione del materiale istruttorio, non
consentiti in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass.
1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007;
181214/2006, 3436/2005, 8718/2005);
11.

che sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato

inammissibile;
12.

che le spese seguono la soccombenza;

13.

che ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto

della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di
legittimità, liquidate in C 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
3

comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo applicabile “ratione temporis” (la sentenza

N.R.G. 1642 2014

Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza .
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo

(0«ii

di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.

Così deciso nella Adunanza Camerale del 18 aprile 2018

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