Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20316 del 31/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20316 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 12654-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. P.IVA 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018

contro

1626

BRUNI CARLO JUNIOR, domiciliato in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato

Data pubblicazione: 31/07/2018

MARIA RITA PUGLIA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 278/2012 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 07/05/2012, R. G. N.
335/2011;

udienza del 12/04/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega LUIGI
FIORILLO;
udito l’Avvocato MARIA RITA PUGLLIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’accoglimento del 7
rigetto del resto.

0 motivo del ricorso

e

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 12654/2013

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 7 maggio 2012 la Corte di Appello di Ancona ha
confermato la pronuncia di primo grado del 25 giugno 2010 nella parte in cui
aveva dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine “per sostenere il
servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità” anche

stipulato per il periodo 1.10.2002 – 31.12.2002 tra Bruni Carlo Junior e Poste
Italiane Spa, nonché, respinta l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso, la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con
condanna della società alla riammissione in servizio del dipendente ed al
risarcimento del danno.
In riforma parziale di detta sentenza la Corte ha applicato l’art. 32 della I. n.
183 del 2010 condannando la società al pagamento di 8 mensilità di retribuzione,
oltre accessori “come per legge dal contratto di lavoro al saldo”;
2. Avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a sette
motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.
3. In prossimità dell’adunanza camerale del 26 settembre 2017 il Bruni ha
comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio il Collegio ha ritenuto
l’opportunità di trattare la causa in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, in particolare dell’art. 1372 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto
non risolto il rapporto di lavoro per mutuo consenso.
Esso non può trovare accoglimento in quanto l’accertamento della sussistenza
di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo
contrattuale costituisce in ogni caso valutazione del significato e della portata del
complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. SS.UU.
n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57) le cui conclusioni non sono
censurabili in sede di legittimità al di fuori delle rigorose regole sui motivi che
possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda
storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, co. 1, n. 5„

i

conseguenti all’attuazione di accordi sindacali, di cui al contratto di lavoro

R.G. n. 12654/2013

c.p.c., tempo per tempo vigente (per ogni ulteriore approfondimento v. Cass. n.
29781 del 2017 cui si rinvia).
Nella specie le censure proposte dalla società, da un lato, non investono
omissioni del discorso giustificativo su fatti realmente decisivi della controversia,
intesi come idonei a determinare un diverso esito della lite con giudizio di
certezza, e non di mera probabilità o possibilità, e, d’altro canto, si infrangono
contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali

criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono
sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di
merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro
il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione di
norme di diritto per avere la Corte territoriale applicato la I. n. 368 del 2001, è
privo di fondamento considerato il principio pacifico in base al quale “l’art. 74,
comma 1, CCL 11 gennaio 2001 per il personale non dirigente di Poste italiane
s.p.a., stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo, onde i
contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare
nella disciplina transitoria prevista dall’art. 11, d.lgs. n. 368/2001, e sono
interamente soggetti al nuovo regime normativo di cui agli artt. 1 ss., d.lgs. n.
368/2001” (ex multis: Cass. n. 25558 del 2015; Cass. n. 20441 del 2015).
3. Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per avere ritenuto
“generica la motivazione posta a fondamento dell’assunzione a termine dichiarata
illegittima”, ed il quarto lamenta l’omessa motivazione in ordine alla idoneità
della compresenza, in seno al contratto dichiarato illegittimo, di più ragioni
idonee a specificare le esigenze sottese al contratto medesimo.
Essi, congiuntamente esaminabili per connessione, risultano inammissibili non
solo perché nel ricorso per cassazione si pone a fondamento delle critiche una
causale diversa da quella contenuta nel contratto a termine impugnato ma anche
per inconferenza rispetto al

decisum, atteso che i giudici del merito hanno

considerato l’apposizione del termine illegittima non per genericità della clausola
bensì per “carenza di prova del nesso di specifica correlazione tra le esigenze di
riposizionamento sul territorio nazionale delle risorse da destinare al servizio di
recapito, in icate nel contratto, e l’assunzione a termine di Bruni”.

dell’argomentazione, mentre le doglianze si sostanziano nel ripercorrere

R.G. n. 12654/2013

4.

Il quinto motivo, con cui si sostiene che sarebbe stato onere della

controparte provare l’estraneità dell’assunzione rispetto alle esigenze individuate
nel singolo contratti, è privo di fondamento, atteso che per la giurisprudenza di
questa Corte, invece, l’onere probatorio di provare la sussistenza delle ragioni
legittimanti l’apposizione del termine grava sul datore di lavoro (tra tante: Cass.
n. 2279 del 2010; Cass. n. 3325 del 2014; Cass. n. 5255 del 2017).
5. Il sesto mezzo denuncia insufficiente motivazione in ordine ad un fatto

norme processuali per non avere la Corte territoriale sufficientemente motivato
per quali ragioni le prove testimoniali articolate dalla società non potevano
ritenersi meritevoli di accoglimento, trattandosi al più di integrare un quadro
probatorio già tempestivamente delineato, anche attraverso l’uso di poteri
istruttori d’ufficio.
La censura, oltre ad essere inammissibile per fare riferimento ad una causale
diversa da quella oggetto del contendere, non è comunque meritevole di
accoglimento investendo pienamente l’accertamento di un fatto – ricorrenza in
concreto della causale – compiuto dal giudice di merito, anche in ordine alla
esaustività delle allegazioni della società ed alla genericità della prova
testimoniale richiesta e di quella documentale prodotta dalla medesima.
Infatti, per pacifica giurisprudenza di legittimità, la doglianza che lamenta la
mancata ammissione di mezzi istruttori ed il mancato esercizio dei poteri officiosi
è sussumibile nell’ambito del vizio di motivazione, di cui deve avere forma e
sostanza (Cass. n. 16997 del 2002; Cass. n. 15633 del 2003) e può essere
denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione
su di un fatto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa
ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle
altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento
(Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011); né,
al riguardo, appare pertinente il richiamo alla facoltà del giudice di richiedere
chiarimenti al teste o di esercitare i propri poteri istruttori officiosi, posto che la
prima facoltà presuppone l’ammissibilità dei capitoli di prova così come formulati

3

controverso e decisivo per il giudizio nonché violazione e falsa applicazione di

R.G. n. 12654/2013

ed entrambe restano comunque circoscritte dall’ambito delle allegazioni
ritualmente dedotte dalle parti.
In definitiva il motivo

in esame, trascurando tali principi e mancando di

enucleare il fatto controverso e decisivo anche secondo il previgente testo
dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., prospetta una diversa ricostruzione della vicenda
storica in ordine alla sussistenza fattuale della causale giustificativa, così
scivolando “sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un

il giudizio innanzi a questa Corte Suprema” (in termini: Cass. n. 16346 del
2016).
6. Il settimo mezzo lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. n.
183/2010 e art. 429 c.p.c.” sia per avere la Corte territoriale determinato
l’indennità nella misura di 8 mensilità e non piuttosto nella misura minima, sia
per essere stati riconosciuti gli interessi e la rivalutazione monetaria sulla
medesima, sia per la decorrenza fissata “dal contratto di lavoro al saldo”.
Quanto alla prima doglianza essa non è fondata in ragione del principio secondo
cui “in tema di contratto a termine, la determinazione, tra il minimo e il
massimo, della misura dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4
novembre 2010, n. 183 – che richiama i criteri indicati dall’art. 8 della legge 15
luglio 1966, n. 604 – spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria” (per tutte:
Cass. n. 7458, n. 6122 e n. 1320 del 2014), vizi motivazionali che il Collegio
nella specie non riscontra.
Circa il secondo aspetto questa Corte ha statuito che l’articolo 429, comma 3,
c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, trova applicazione
anche nel caso dell’indennità di cui all’art. 32 della I. n. 183 del 2010, in quanto
si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi
natura strettamente retributiva (Cass. ord. VI n. 5344 del 2016; conf. n. 3062
del 2016).
Deve essere accolta invece la censura circa la decorrenza degli accessori.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’indennità ex art. 32, co. 5, I.
n. 183 del 2010, così come interpretata dall’art. 1, co. 13,

I. n. 92 del 2012,

rappresenta il ristoro dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al
contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine

4

accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di fatto, incompatibili con

R.G. n. 12654/2013

alla data della sentenza che ha statuito la conversione del rapporto e dalla
natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto
periodo consegue che gli accessori ex art. 429, co. 3, c.p.c. decorrono dalla data
della sentenza che ha statuito la conversione del contratto e che, appunto,
delimita temporalmente la liquidazione stessa (Cass. n. 3027 del 2014 e, in
motivazione, ex plurímis, Cass. n. 6031 del 2016; Cass. n. 2660 del 2017).
Infatti appare preferibile l’interpretazione che, aderente alla lettera della norma

pronuncia di conversione del rapporto (di primo o secondo grado): tale evento
(la conversione, appunto) segna, per legge, il momento in cui il danno va
attualizzato e dal quale, secondo il sistema delineato dall’art. 429, co. 3, c.p.c.,
decorrono interessi nella misura legale e rivalutazione monetaria (da ultimo v.
Cass. n. 3617 e n. 5953 del 2018).
7. Pertanto, respinti tutti gli altri motivi di ricorso, deve essere accolto l’ultimo,
nei sensi di cui in motivazione, e non essendo necessari altri accertamenti,
cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, la causa va
decisa nel merito dichiarando la società tenuta al pagamento della indennità già
liquidata dalla Corte territoriale, con interessi e rivalutazione da calcolarsi a
decorrere dalla data (25 giugno 2010) della pronuncia giudiziaria dichiarativa
della illegittimità della clausola appositiva del termine sino al saldo.
8. In ordine alla liquidazione delle spese possono esser confermate quelle già
determinate dalla Corte territoriale, mentre quelle del giudizio di legittimità
possono essere compensate nella misura di un quarto, considerato il limitato
accoglimento del ricorso per cassazione, ponendo le residue a carico di Poste
Italiane Spa liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigettato ogni altro motivo di ricorso, accoglie l’ultimo nei sensi di cui
in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e, decidendo
nel merito, dichiara dovuti da Poste Italiane Spa interessi e rivalutazione
monetaria sulla indennità ex art. 32 della I. n. 183 del 2010 già determinata
dalla Corte di Appello di Ancona dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa
della illegittimità della clausola appositiva del termine sino al saldo; conferma le

5

di interpretazione autentica, afferma la decorrenza degli accessori dalla

R.G. n. 12654/2013
y statuizioni della Corte territoriale in ordine alla liquidazione delle spese
relativamente ai gradi di merito, mentre condanna la società al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità nella misura di 3/4, compensate le residue,
liquidate per l’intero in euro 4.000,00 oltre accessori secondo legge, esborsi pari
ad euro 200,00 e spese generali al 15%.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 aprile 2018

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