Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20316 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 26/07/2019), n.20316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19004/2017 proposto da:

P.P., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

DEBORA LOLLI;

– ricorrente –

contro

F.I., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

ANDREA TOGNI, FEDERICO DALLA VERITA’;

S.V.S., D.M.P., S.V.L.,

domiciliate ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZONE, rappresentate e difese dagli avvocati ALESSANDRA VECCHI,

MONICA CALLEGARI;

VITTORIA ASSICURAZIONI SPA, C.G.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1133/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 30/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 7-3-2003 P.P., acquirente di un immobile sito in (OMISSIS), convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna S.V.G. e D.M.P., venditori del predetto cespite, nonchè lo Studio 19 di I.F., intermediario dell’affare, per sentire dichiarare la responsabilità dei convenuti per averle sottaciuto l’esistenza di abusi edilizi all’interno del bene compravenduto e per sentir accertar il suo diritto ad una congrua riduzione del corrispettivo pattuito, al risarcimento del danno ed alla restituzione delle spese effettuate nonchè della somma di Euro 1.549,37, versata dall’acquirente al mediatore a titolo di provvigione.

Si costituì lo Studio 19 di I.F. chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, domandando la condanna dell’attrice al pagamento della somma di Euro 1.787,85, a titolo di saldo delle provvigioni di mediazione; chiese ed ottenne anche l’autorizzazione a chiamare in causa la sua Compagnia assicuratrice Vittoria Assicurazioni SpA.

Si costituirono, inoltre, anche S.V.G., D.M.P. e la Vittoria Assicurazioni SpA, instando per il rigetto della domanda dell’attrice.

L’adito Tribunale rigettò tutte le domande.

Con sentenza 1133/2016 del 30-6-2016 la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dalla P. nei confronti degli originari convenuti e, poi, in seguito al decesso di S.V.G., riassunto nei confronti degli eredi S.V.L. e S.; ha quindi condannato la P. a rifondere le spese di lite sostenute in appello da S.V.L. e S. e da D.M.P., compensandole tra le altre parti “in ragione della reciproca soccombenza e della peculiarità della fattispecie”; in particolare la Corte ha escluso la sussistenza di responsabilità in capo ai venditori ed al mediatore, ritenendo provato che la P. fosse pienamente consapevole, anche al di là delle dichiarazioni contenute nell’atto di vendita, che l’immobile presentava delle difformità interne rispetto a quanto risultante dalla planimetria catastale; nello specifico, infatti, risultava dalla testimonianza resa dal notaio T. (rogante l’atto in questione) che lo stesso aveva ricevuto il giorno prima della stipula una richiesta di asseverazione relativa allo stato del bene da compravendere, mentre era certo che l’acquirente prima del rogito avesse ricevuto la planimetria catastale dell’immobile, dalla quale poteva agevolmente rendersi conto di eventuali difformità tra la situazione ivi risultante e quella di fatto; nessuna responsabilità poteva, inoltre, ascriversi al mediatore, tenuto sia a porre a disposizione tutta la documentazione relativa all’immobile sia ad una corretta informazione (obbligo nella specie adempiuto), ma non a svolgere particolari indagini circa la regolarità del cespite oggetto dell’incarico.

La Corte, infine, ha ritenuto insussistente, in capo alla Studio 19 e/o alla F., alcun diritto alla provvigione con riferimento alla compravendita in questione del 3-8-2001 (diritto alla provvigione per il quale comunque era maturata la prescrizione), atteso che il conferito mandato a vendere aveva scadenza al 31-12-2000 e non risultava provato alcun secondo mandato ricevuto in forma.

Avverso detta sentenza P.P. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Resistono con controricorso F.I., Vittoria Assicurazioni, S.V.L., S.V.S. e D.M.P..

F.I. ha presentato anche ulteriore memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., si duole che la Corte, nel ritenere dimostrata la consapevolezza di essa ricorrente dell’esistenza di opere abusive all’interno dell’immobile compravenduto, abbia violato il regime della prova; in particolare, tra l’altro, le dichiarazioni testimoniali del notaio T. erano da ritenere scarsamente attendibili e comunque inidonee a fondare un ragionamento di tipo presuntivo, in quanto rilasciate non sulla base di un ricordo diretto delle riferite circostanze ma solo prendendo visione dei documenti, mentre la consegna alla P. della planimetria catastale non aveva avuto alcun riscontro probatorio.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 1759, 2727 e 2729 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., si duole che la Corte, nell’escludere la responsabilità dell’agente immobiliare F.R. in occasione della compravendita in questione, abbia violato il regime della prova (nella specie presuntiva).

Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo e controverso del giudizio, si duole che la Corte non abbia esaminato i danni dalla stessa subiti per i tempi impiegati e la negligenza dei venditori nell’esecuzione delle opere necessarie a sanare l’immobile in questione.

Con il controricorso F.I. eccepisce l’inammissibilità del ricorso della P., in quanto notificato il 20-7-2017, dopo la scadenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, decorrente dal 30-9-2016 (data in cui, ad istanza di F.I., era stato notificato alla P. atto di citazione per revocazione avverso la medesima sentenza 1133/16 della Corte d’Appello di Bologna, oggetto del presente ricorso per Cassazione).

Il ricorso proposto da P.P. nei confronti di F.I. è inammissibile in quanto tardivo.

Come già chiarito da questa S.C., la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale (sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398 c.p.c., comma 4 (ipotesi non dedotta nel caso di specie (conf. Cass. 1196/2006; Cass. 20812/2009); di conseguenza, risultando l’atto di citazione per revocazione notificato, ad istanza di F.I., alla P. in data 30-9-2016, va dichiarato inammissibile per tardività il ricorso per Cassazione proposto da quest’ultima nei confronti di F.I. con atto notificato il 20-7-2017 e quindi oltre il termine breve di 60 gg di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2.

Siffatta inammissibilità non consente, pertanto, l’esame nel merito del secondo motivo di ricorso, concernente esclusivamente la responsabilità della mediatrice, mentre non rende di per sè inammissibile per tardività, attesa la scindibilità delle cause, anche il ricorso proposto dalla P. nei confronti di S.V.L., S.V.S. e D.M.P. (ricorso che interessa il primo ed il terzo motivo, concernenti la responsabilità di quest’ultime).

Al riguardo va, invero, ribadito che, in tema di impugnazioni, il principio secondo il quale, nel processo con pluralità di parti, vige la regola dell’unitarietà del termine dell’impugnazione (sicchè la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti) trova applicazione soltanto nelle ipotesi di cause inscindibili (o tra loro comunque dipendenti), ovvero in quella in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si tratti di cause scindibili o, comunque, tra loro indipendenti, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio; in tali ipotesi, il termine per l’impugnazione non è unico, ma decorre dalla data delle singole notificazioni della sentenza a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza, mentre per le altre parti si applica la norma dell’impugnabilità nel termine di cui all’art. 327 c.p.c. (conf. Cass. 2557/2010; Cass. 1825/07).

Il ricorso proposto dalla P. nei confronti di S.V.L., S.V.S. e D.M.P., pur tempestivo, è tuttavia comunque inammissibile.

Il primo motivo del ricorso proposto dalla P. nei confronti S.V.L., S.V.S. e D.M.P. è inammissibile in quanto si risolve, sub violazione di legge, in una critica alla valutazione delle prove per come operata dalla Corte territoriale ed in una diversa valutazione del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità, a maggior ragione dopo la novella del n. 5 dell’art. 360, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (v. Cass. sez. unite 8053, 8054 e 19881 del 2014); v. anche Cass. 11892/2016, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che sì tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante).

Per completezza, ove il riferimento agli artt. 115,116 c.p.c., fosse da intendere come violazione di legge, va rilevato che non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime; nè sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come nella specie) il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha apprezzato le stesse in modo non conforme con quello auspicato dalla parte.

Nè, infine, è rispettato il canone fissato da Cass. sez. unite 1785/2018 per la deduzione della violazione in iure dei paradigmi normativi sulle presunzioni semplici, essendosi i ricorrenti, anche in tal caso, limitati a prospettare una diversa ricostruzione in fatto quale esito dei pretesi ragionamenti presuntivi.

In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità sostenute da tutti i resistenti, che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, nei confronti di F.I., ed in Euro 3.500,00 per ciascuno, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore di Vittoria Assicurazioni SpA nonchè di D.M.P., S.V.L. e S.; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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