Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20315 del 31/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20315 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 12652-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. P.IVA 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018
nonchè contro

1625
ANIBALLI ROSANNA;

intimata

avverso la sentenza n. 279/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 31/07/2018

di ANCONA,

depositata il 07/05/2012,

R.

G.

N.

336/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/04/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;

FIORILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’accoglimento del 2 ° motivo, inammissibilità del
1 ° motivo del ricorso.

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega LUIGI

R.G. n. 12652/2013

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 8 maggio 2012 la Corte di Appello di Ancona ha
confermato la pronuncia di primo grado del 25 giugno 2010 nella parte in cui
aveva dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine “per ragioni di
carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla
sostituzione di personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio di

assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro”, di cui al contratto di
lavoro stipulato per il periodo 2.1.2003 – 31.3.2003 tra Rosanna Aniballi e Poste
Italiane Spa, nonché, respinta l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso, la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con
condanna della società alla riammissione in servizio della dipendente ed al
risarcimento del danno.
In riforma parziale di detta sentenza di prime cure la Corte ha poi applicato
l’art. 32 della I. n. 183 del 2010 condannando la società al pagamento di 8
mensilità di retribuzione, oltre accessori “come per legge dal contratto di lavoro
al saldo”.
2. Avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a
quattro motivi, cui non ha resistito la lavoratrice benché ritualmente intimata con
atto consegnato all’ufficiale giudiziario in data 7 maggio 2013 e notificato il 13
maggio successivo.
3. Nell’adunanza camerale del 26 settembre 2017, all’esito della camera di
consiglio, il Collegio ha ritenuto l’opportunità di trattare la causa

in pubblica

udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, in particolare dell’art. 1372 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto
non risolto il rapporto di lavoro per mutuo consenso.
Esso non può trovare accoglimento in quanto l’accertamento della sussistenza
di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo
contrattuale costituisce in ogni caso valutazione del significato e della portata del

recapito/smistamento e trasporto presso il Polo corrispondenza Marche Umbria,

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complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass.
SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57) le cui conclusioni non sono
censurabili in sede di legittimità al di fuori delle rigorose regole sui motivi che
possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda
storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, co. 1, n. 5,
c.p.c., tempo per tempo vigente (per ogni ulteriore approfondimento v. Cass. n.
29781 del 2017 cui si rinvia).

omissioni del discorso giustificativo su fatti realmente decisivi della controversia,
intesi come idonei a determinare un diverso esito della lite con giudizio di
certezza, e non di mera probabilità o possibilità, e, d’altro canto, si infrangono
contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali
dell’argomentazione, mentre le doglianze si sostanziano nel ripercorrere
criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono
sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di
merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro
il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo denuncia insufficiente motivazione in ordine ad un fatto
controverso e decisivo per il giudizio nonché violazione e falsa applicazione di
norme processuali per non avere la Corte territoriale sufficientemente motivato
per quali ragioni le prove testimoniali articolate dalla società non potevano
ritenersi meritevoli di accoglimento, trattandosi al più di integrare un quadro
probatorio già tempestivamente delineato, anche attraverso l’uso di poteri
istruttori d’ufficio; analogamente il terzo mezzo di gravame denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 115, 253, 420 e 421 c.p.c. in quanto la
documentazione prodotta dalla società in primo grado non sarebbe stata oggetto
di contestazione da parte dell’attore, per cui i fatti ivi documentati avrebbero
dovuto ritenersi pacifici.
Le censure, investendo pienamente l’accertamento di un fatto – ricorrenza in
concreto della causale – compiuto dal giudice di merito, anche in ordine alla
esaustività delle allegazioni della società ed alla genericità della prova
testimoniale richiesta e di quella documentale prodotta dalla medesima, non
risultano meritevoli di accoglimento.

2

Nella specie le censure proposte dalla società, da un lato, non investono

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Infatti, per pacifica giurisprudenza di legittimità, la doglianza che lamenta la
mancata ammissione di mezzi istruttori ed il mancato esercizio dei poteri officiosi
è sussumibile nell’ambito del vizio di motivazione, di cui deve avere forma e
sostanza (Cass. n. 16997 del 2002; Cass. n. 15633 del 2003) e può essere
denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione
su di un fatto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa
ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da

altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento
(Cass. n. 11457 del 2007; Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011); né,
al riguardo, appare pertinente il richiamo alla facoltà del giudice di richiedere
chiarimenti al teste o di esercitare i propri poteri istruttori officiosi, posto che la
prima facoltà presuppone l’ammissibilità dei capitoli di prova così come formulati
ed entrambe restano comunque circoscritte dall’ambito delle allegazioni
ritualmente dedotte dalle parti.
In definitiva i motivi

in esame, trascurando tali principi e mancando di

enucleare il fatto controverso e decisivo anche secondo il previgente testo
dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., prospettano una diversa ricostruzione della
vicenda storica in ordine alla sussistenza fattuale della causale giustificativa, così
scivolando “sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un
accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di fatto, incompatibili con
il giudizio innanzi a questa Corte Suprema” (in termini: Cass. n. 16346 del
2016).
3. Il quarto mezzo lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. n.
183/2010 e dell’art. 429 c.p.c.” sia per avere la Corte territoriale determinato
l’indennità nella misura di 8 mensilità e non piuttosto nella misura minima, sia
per essere stati riconosciuti gli interessi e la rivalutazione monetaria sulla
medesima, sia per la decorrenza non fissata dal momento in cui il primo giudice
ha convertito il contratto;
Quanto alla prima doglianza essa non è fondata in ragione del principio secondo
cui “in tema di contratto a termine, la determinazione, tra il minimo e il
massimo, della misura dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4
novembre 2010, n. 183 – che richiama i criteri indicati dall’art. 8 della legge 15

3

invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle

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luglio 1966, n. 604 – spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di
legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria” (per tutte:
Cass. n. 7458, n. 6122 e n. 1320 del 2014), vizi motivazionali che il Collegio
nella specie non riscontra.
Circa il secondo aspetto questa Corte ha statuito che l’articolo 429, comma 3,
c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, trova applicazione
anche nel caso dell’indennità di cui all’art. 32 della I. n. 183 del 2010, in quanto

natura strettamente retributiva (Cass. ord. VI n. 5344 del 2016; conf. n. 3062
del 2016);
Deve essere accolta invece la censura circa la decorrenza degli accessori.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’indennità ex art. 32, co. 5, I.
n. 183 del 2010, così come interpretata dall’art. 1, co. 13, I. n. 92 del 2012,
rappresenta il ristoro dei danni conseguenti alla nullità del termine apposto al
contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine
alla data della sentenza che ha statuito la conversione del rapporto e dalla natura
di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo
consegue che gli accessori ex art. 429, co. 3, c.p.c. decorrono dalla data della
sentenza che ha statuito la conversione del contratto e che, appunto, delimita
temporalmente la liquidazione stessa (Cass. n. 3027 del 2014 e, in motivazione,

ex plurimis, Cass. n. 6031 del 2016; Cass. n. 2660 del 2017).
Infatti appare preferibile l’interpretazione che, aderente alla lettera della norma
di interpretazione autentica, afferma la decorrenza degli accessori dalla
pronuncia di conversione del rapporto (di primo o secondo grado): tale evento
(la conversione, appunto) segna, per legge, il momento in cui il danno va
attualizzato e dal quale, secondo il sistema delineato dall’art. 429, co. 3, c.p.c.,
decorrono interessi nella misura legale e rivalutazione monetaria (da ultimo v.
Cass. n. 3617 e n. 5953 del 2018).
4. Pertanto, respinti tutti gli altri motivi di ricorso, deve essere accolto l’ultimo,
nei sensi di cui in motivazione, e non essendo necessari altri accertamenti,
cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, la causa va
decisa nel merito dichiarando la società tenuta al pagamento della indennità già
liquidata dalla Corte territoriale, con interessi e rivalutazione da calcolarsi a

\o

4

si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a quelli aventi

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decorrere dalla data (25 giugno 2010) della pronuncia giudiziaria dichiarativa
della illegittimità della clausola appositiva del termine sino al saldo.
5. In ordine alla liquidazione delle spese può essere confermata la liquidazione
operata dalla Corte territoriale, stante la prevalente soccombenza di Poste
Italiane Spa, mentre nulla va disposto per quelle del giudizio di legittimità in
difetto di attività difensiva dell’intimata.

La Corte, rigettato ogni altro motivo di ricorso, accoglie l’ultimo nei sensi di cui
in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e, decidendo
nel merito, dichiara dovuti da Poste Italiane Spa interessi e rivalutazione
monetaria sulla indennità ex art. 32 della I. n. 183 del 2010 già determinata
dalla Corte di Appello di Ancona dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa
della illegittimità della clausola sino al saldo; conferma le statuizioni della Corte
territoriale in ordine alla liquidazione delle spese relativamente ai gradi di merito.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 aprile 2018

P.Q.M.

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