Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20315 del 23/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/08/2017, (ud. 03/05/2017, dep.23/08/2017),  n. 20315

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 836-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del f Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.L., L.I.G.F.R.M.,

G.G., nella qualità di eredi del sig. Ga.Gi.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII 186, presso lo

studio dell’avvocato SABRINA MARIANI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANNA BANDIERA, MAURIZIO SALADINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2281/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 25/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, nei cui confronti la parte contribuente ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Lombardia, relativa a un avviso di liquidazione per mancato pagamento dell’imposta di registro principale relativamente ad una sentenza di condanna a somme di denaro, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1453 e 1988 c.c., nonchè dell’art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (primo motivo), nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (secondo motivo), in quanto, erroneamente i giudici d’appello avrebbero ritenuto di qualificare la sentenza, il cui assolvimento della imposta di registrazione è oggetto della presente controversia, non come sentenza di condanna a somme di denaro, ai sensi della lett. b) del citato art. 8, comma 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ma ai sensi della successiva lett. e), come sentenza restitutoria a seguito di annullamento o risoluzione del contratto, ritenendo, pertanto, che l’imposta fosse da assolvere in misura fissa e non proporzionale, al 3%.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

Il secondo motivo di censura, da esaminare prioritariamente in via logica è da respingere, in quanto, quand’anche infondata in diritto, la motivazione della sentenza impugnata, fornisce una sua ricostruzione giuridica degli effetti civilistici della sentenza da tassare, e precisamente, di tipo risolutorio con effetti restitutori – che giustificherebbero l’applicazione dell’imposta in misura fissa – che non la rendono nè apparente nè carente degli elementi fondamentali per la ricostruzione dell’iter logico giuridico.

Il primo motivo è, invece, fondato nei termini che seguono.

La sentenza, della cui registrazione è controversia, riportata integralmente in ricorso, ai fini dell’autosufficienza, non ha accertato alcuna causa di nullità del contratto nè lo ha dichiarato risolto. Si riferisce a una promessa di pagamento rimasta inadempiuta e che ha generato, il conseguente obbligo restitutorio, ma senza declaratoria, come detto, di alcuna causa di nullità, anzi postulando la piena validità della stessa promessa.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di imposta di registro, la sentenza che accoglie l’azione revocatoria fallimentare e dispone le conseguenti restituzioni, producendo l’effetto giuridico del recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza assenti e realizzando un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, è soggetta ad aliquota proporzionale ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della tariffa, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale assoggetta ad imposta proporzionale i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori (comportanti, quindi, un trasferimento di ricchezza), mentre la lett. e) del medesimo articolo, norma speciale e di stretta interpretazione, determina l’imposta in misura fissa in relazione ai provvedimenti che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorchè portanti condanna alla restituzione di denaro o beni o la risoluzione di un contratto (dunque, in funzione meramente restitutoria e di ripristino della situazione patrimoniale anteriore)” (Cass. nn. 4537/09, 17584/12, 24954/13, 8545/14, 23128/13, 13315/06).

Il principio che si ricava è che gli atti recanti condanna al pagamento di somme o valori o alla restituzione di denaro sono assoggettati all’imposta di registro in misura proporzionale, in quanto espressione di attribuzione di ricchezza e solo nel caso in cui l’atto giudiziario rechi, oltre alla condanna a somme di denaro, una pronuncia di nullità o annullamento, lo stesso sarà assoggettato all’imposta di registro in misura fissa.

Nel caso di specie, fa condanna di tipo restitutorio, non è conseguenza di una pronuncia di nullità del contratto o dell’atto, nè tale condanna ha disposto la risoluzione dello stesso, pertanto, deve scontare un’imposta proporzionale.

Va, conseguentemente accolto il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese dei gradi di merito per l’alterno esito dei relativi giudizi, ponendosi a carico dei controricorrenti in solido, le spese del giudizio di legittimità, secondo soccombenza, da liquidarsi come in dispositivo.

PQM

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE:

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna i controricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017

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