Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20311 del 15/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/07/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 15/07/2021), n.20311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27539-2014 proposto da:

M.E., MA.EN., MA.EU.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI COLLI PORTUENSI 442,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO LESTI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 675/2014 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 08/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

con ricorso in data 22.10.1999 le signore M.E., Ma.Eu. e Ma.En. impugnavano l’avviso di liquidazione recante l’imposta di successione emesso dall’Ufficio del Registro di Rimini con riguardo alla successione di M.C.L. lamentando che il tributo era stato calcolato sulla base delle sole attività cadute in successione senza tenere in considerazione le passività e segnatamente le fideiussioni rilasciate dal de cuius.

La CTP di Rimini con sentenza in data 22.9.2000 accoglieva la tesi delle ricorrenti e per l’effetto annullava l’avviso di liquidazione impugnato.

Proposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la CTR dell’Emilia Romagna lo dichiarava inammissibile.

A seguito di tale decisione l’Ufficio locale di Rimini nell’ottobre del 2005 notificava un nuovo avviso di liquidazione avente ad oggetto l’imposta di) successione asseritamente dovuta.

Impugnato detto atto da parte delle contribuenti sull’assunto che la pretesa fiscale violasse l’art. 2909 c.c., la CTP di Rimini con sentenza in data 25.9.2007 rigettava il ricorso ritenendo che l’avviso di liquidazione fosse stato legittimamente emesso.

Proposto appello, la CTR dell’Emilia Romagna con sentenza in data 28.10.2009 accoglieva il gravame ritenendo l’illegittimità della pretesa erariale.

Proposto ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Corte con ordinanza in data 28.6.2012 accoglieva il gravame ritenendo che la pronuncia impugnata fosse del tutto carente in ordine alla correlazione tra il contenuto del giudicato ed il contenuto della domanda proposta e quindi cassava con rinvio alla CTR per una più completa disamina delle questioni.

Riassunto il giudizio da parte delle contribuenti, la CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza emessa in data 8 aprile 2014, si pronunciava confermando la sentenza di primo grado e ritenendo quindi legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso detta pronuncia le contribuenti proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso rubricato “Sull’esistenza di un giudicato riguardo alla controversia odierna, sull’applicabilità dell’art. 2909 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” parte ricorrente deduceva che la controversia risulta coperta da una sentenza definitiva che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fa stato tra le parti ovvero la sentenza della CTR di Bologna n. 85/16/12 il cui oggetto va a coincidere con quello per cui è causa. Aggiungeva che le contribuenti avevano altresì invocato la decadenza dell’Ufficio dal potere di pretendere il pagamento dell’imposta in applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 27, comma 2, che prevede un termine triennale.

Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Omessa pronuncia dei giudici del merito su una questione rilevante (esistenza di un giudicato vincolante recato dalla sentenza della CTR di Bologna n. 85/16/12; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)” parte ricorrente deduceva che i giudici avevano omesso di pronunciarsi circa l’esistenza di un giudicato vincolante nonostante la rilevanza e la decisività dello stesso.

Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Sulla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, con riferimento all’art. 112 c.p.c. nonché del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 27, vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” parte ricorrente deduceva che la sentenza gravata aveva mal interpretato la statuizione recata dalla CTP di Rimini n. 132/04/00 nel punto in cui detta sentenza aveva annullato l’avviso di liquidazione invece di disporne la rettifica.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Ed invero, premesso che l’odierno ricorso verte sull’interpretazione del giudicato della sentenza 132/04/2000, parte ricorrente deduce l’esistenza di un giudicato diverso, ovvero quello relativo alla sentenza della CTR n. 85/16/12, che concerne un avviso di liquidazione differente che non può pertanto avere efficacia rispetto all’oggetto del presente giudizio.

Inoltre parte ricorrente non indica né trascrive nel ricorso l’avviso di liquidazione oggetto del giudicato de quo non rispondendo pertanto la censura al requisito dell’autosufficienza prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa ed il tenore della sentenza impugnata.

Il secondo motivo di ricorso, avendo ad oggetto il diverso giudicato prima menzionato, è assorbito.

Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero l’annullamento dell’originario avviso di accertamento deciso dalla sentenza della CTP, della cui efficacia di giudicato si tratta, è avvenuto entro le censure sollevate dalle ricorrenti ovvero limitatamente al mancato computo delle passività ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta di successione.

In altri termini, l’avviso di accertamento de quo non è stato impugnato nella sua totalità bensì limitatamente alla parte in cui l’Ufficio disconosceva le passività ereditarie cosicché la portata della statuizione di annullamento va parametrata alla domanda. Pertanto la caducazione dell’avviso di accertamento andava limitata al solo mancato riconoscimento delle passività.

Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha interpretato il giudicato nel senso che l’annullamento dell’avviso di liquidazione va limitato alla questione della deducibilità delle passività che la CTP ha ritenuto, a differenza dell’amministrazione finanziaria, deducibili.

In conclusione il ricorso va rigettato.

La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue

la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 5.600,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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