Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20311 del 04/10/2011

Cassazione civile sez. II, 04/10/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 04/10/2011), n.20311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SUSA 1, presso lo studio dell’avvocato DI DOMENICA IDA,

rappresentata e difesa dall’avvocato PILOLLI UMBERTO;

– ricorrente –

e contro

C.A., M.M.;

– intimati –

sul ricorso 3303-2007 proposto da:

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI PAOLO MASSIMO;

– controricorrente ricorrente incidentale condizionato –

contro

D.C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SUSA 1,

presso lo studio dell’avvocato DI DOMENICA IDA, rappresentata e

difesa dall’avvocato PILOLLI UMBERTO;

– controricorrente al ricorso incidentale condizionato –

avverso la sentenza n. 1120/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 13/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato PILOLLI Umberto, difensore della ricorrente che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato DI PAOLO Massimo difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L. e D.C.D., proprietarie di un’area sita in (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al locale Tribunale, C.A., proprietario di un fondo vicino, per sentirlo condannare a demolire la costruzione che questi aveva realizzato abbattendo un muro divisorio, con la conseguenza di sconfinare nella proprietà delle attrici o, comunque, di violare le distanze legali.

Rigettata la domanda, sull’impugnazione proposta da D.C.L., anche in qualità di erede della sorella D., deceduta nelle more del processo di primo grado, la Corte d’appello dell’Aquila respingeva l’appello.

Riteneva il giudice di secondo grado – per quanto ancora rilevante in questa sede di legittimità – che il c.t.u. aveva accertato che il fabbricato di nuova costruzione eretto dal convenuto sorgeva su di un’area su cui già insistevano le fondazioni di un fabbricato demolito, non appartenente alle attrici; e che queste ultime non avevano fornito elementi idonei a provare che la nuova costruzione fosse stata realizzata invadendo la loro proprietà. Inoltre, osservava la Corte territoriale, ciò neppure avrebbe potuto presumersi, in mancanza di idonei elementi obiettivi, dal fatto che le fondazioni del nuovo fabbricato erano necessariamente più poderose, rispetto al vecchio garage ivi esistente, e che, quindi, occupassero una maggiore area di sedime. Al riguardo, rilevava la Corte aquilana, il c.t.u. aveva riferito che prima che fosse demolito il vecchio garage, le attrici avevano costruito in aderenza a questo una piattaforma in calcestruzzo per l’ancoraggio di una tenda, piattaforma che, non demolita per realizzare la nuova costruzione, delimitava la proprietà delle attrici e aderiva alla recente costruzione per una lunghezza di mt. 5,35, mentre verso il centro del nuovo fabbricato si distanziava dalla linea di prolungamento del muro di confine, lato nord, fino a trovarsi a 90 cm. da questo.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre D.C.L., formulando due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso la parte intimata, che propone, altresì, ricorso incidentale condizionato.

La parte ricorrente hA presentato controricorso al ricorso incidentale condizionato.

La parte controricorrente da depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius, n. 4), lamentando l’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’illegittimità degli interventi demolitori effettuati sul manufatto murario di separazione tra i fondi contigui delle parti, e sulla stessa preesistenza di un muro divisorio e del suo posizionamento rispetto alla traccia di confine tra le rispettive proprietà delle parti. La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, si è limitata a riportare le risultanze peritali del tecnico d’ufficio, aderendo all’ipotizzata costruzione da parte della sig.ra D.C. di una piattaforma in aderenza alla linea di demarcazione tra le due proprietà, senza statuire alcunchè sull’istanza specifica dell’appellante.

Sotto la medesima titolazione parte ricorrente denuncia, altresì, la mancata statuizione in punto di violazione delle distanze legali rispetto al confine, nonchè il mancato esame, in merito, delle specifiche critiche mosse alla consulenza d’ufficio, sulla base della relazione del consulente di parte, che dimostrano l’appartenenza certa del muro di confine alla proprietà D.C..

1.1. – Il motivo va respinto in ciascuna delle censure in cui si articola.

1.2. – Affinchè si configuri il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. nn. 16788/06, 10696/07, 24458/07).

Nello specifico, la domanda è stata respinta in maniera espressa e nel suo insieme, con implicita motivazione di rigetto di ogni pretesa di parte attrice diretta a dichiarare illegittima l’attività edificatoria svolta dal convenuto. Condivisa dalla Corte territoriale la valutazione del c.t.u. secondo cui la D.C. aveva realizzato una piattaforma in calcestruzzo in aderenza ad un vecchio garage di proprietà C., e che tale piattaforma non era stata demolita dalla nuova costruzione di quest’ultimo, va da sè la conclusione, implicita quanto ovvia, che non può esservi stato da parte del convenuto nè sconfinamento, nè demolizione di preesistenti corpi di fabbrica che non fossero interamente ubicati all’interno della proprietà di lui.

1.3. – Del pari implicita deve ritenersi la statuizione della Corte d’appello in ordine alle distanze, nel senso che l’aver ritenuto che il nuovo fabbricato di proprietà C. sia stato eretto in luogo e nella medesima area del preesistente garage, a sua volta aderente alla piattaforma di calcestruzzo realizzata dalla D. C., non può che significare che l’attività edificatoria oggetto delle doglianze di parte attrice ha rispettato lo stato preesistente dei luoghi, la cui legittimità non ha costituito oggetto di questione in causa.

1.4. – Infine, la terza censura è inammissibile, perchè formata da una critica generica, non autosufficiente e che non individua nè il singolo punto di fatto insufficientemente motivato, nè la parte di motivazione che, al riguardo, sarebbe viziata per ragioni intrinseche.

E’, infatti, fermo orientamento di questa Corte che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la ratio decidendi, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Cass. nn. 5913/00, 8629/00 e 3615/99).

2. – Con il secondo motivo è dedotta l’omessa e insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, “in specie riguardo la corretta e completa interpretazione e valutazione di tutte le risultanze istruttorie”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Parte ricorrente lamenta che la sentenza d’appello non abbia ritenuto di rinnovare le indagini tecniche, nonostante i precisi rilievi mossi dall’appellante sulla base di ben tre perizie di parte. La Corte territoriale, sostiene, ha riportato sic et simpliciter le risultanze della c.t.u. senza esaminare i pur motivati rilievi critici dell’appellante supportati da riscontri di valore tecnico- scientifico. In particolare non ha tenuto conto del giudizio espresso dal consulente di parte D.C. secondo il quale il nuovo fabbricato non può sorgere sulle stesse fondazioni della vecchia autorimessa, perchè questa era un edificio limitato al solo piano terra, mentre il nuovo è in cemento armato e si eleva per cinque piani oltre l’attico, di guisa che le due fondazioni non possono coincidere, la prima non potendo sopportare i carichi statici previsti per la seconda.

Del pari carente sarebbe la motivazione riguardo al secondo profilo di criticità, inerente al presunto posizionamento in aderenza al confine della piattaforma in calcestruzzo esistente sul terreno di proprietà D.C.. E’, infatti, inconcepibile, afferma parte ricorrente, identificare la linea di confine tra le due proprietà con la parte terminale della predetta piattaforma, per il semplice fatto che questa nella sua massima estensione non arriva al muro di recinzione e dunque non identifica la demarcazione di fondi contigui.

La Corte d’appello non ha considerato, in merito, quanto sostenuto dal geom. R., il quale aveva sottolineato che per realizzare il nuovo edificio l’impresa di costruzione “non ha demolito la piattaforma, ma con lo scavo della fondazione e con la gettata di cemento della stessa si sono andati sotto, invadendo ancor di più l’area D.C.” (così, testualmente, a pag. 17 del ricorso).

2.1. – Anche detta censura è infondata.

Contrariamente a quanto si afferma con essa, la sentenza impugnata motiva proprio ed espressamente sul punto decisivo riguardante la collocazione del nuovo fabbricato, affermando non già, come vorrebbe far intendere parte ricorrente, che la vecchia e la nuova costruzione condividano le medesime fondazioni, ma solo che “il fabbricato di nuova costruzione di parte convenuta, sorge sull’area ove insistevano le fondazioni di un fabbricato demolito nel 1983”, affermazione, questa, che non implica affatto, nè testualmente, nè logicamente, che la Corte d’appello abbia ritenuto che un edificio in cemento armato di cinque piani sia stato costruito utilizzando le stesse fondamenta di un garage di un solo piano fuori terra. Ed infatti, prosegue la sentenza impugnata, l’addotto sconfinamento non può desumersi, in difetto di validi elementi oggettivi, dal fatto che le fondazioni del nuovo fabbricato sia necessariamente più poderose rispetto a quelle del vecchio garage, occupando un’area di sedime più consistente.

Tale motivazione è del tutto logica e coerente alle premesse di fatto adoperate dai giudici d’appello, in ordine alle quali non è possibile, in sede di legittimità, sollecitare un nuovo e diverso giudizio di merito.

Del pari priva di consistenza, sotto il profilo del controllo di congruità e logicità della motivazione, è la critica secondo cui lo sconfinamento della nuova costruzione sarebbe avvenuto senza demolire la piattaforma di proprietà D.C., ma scavandovi sotto e ivi operando la gettata di cemento. A parte la problematica leggibilità di tale giudizio espresso dal tecnico della ricorrente, la critica in esame non specifica nè su quali dati oggettivi esso sia stato formulato, nè se e in quale atto processuale la parte abbia sollecitato l’esame della Corte d’appello su di esso, ma si limita a postulare come necessaria la confutazione di una mera argomentazione difensiva, che di per sè non costituisce punto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 887/75).

3. – Infine, va rilevata l’inammissibilità del ricorso incidentale per difetto d’interesse, in quanto proposto dalla parte risultata integralmente vittoriosa.

4. – Conclusivamente, va rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale.

5. Le spese del presente procedimento di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2011

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