Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20310 del 04/10/2011

Cassazione civile sez. II, 04/10/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 04/10/2011), n.20310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 281/06) proposto da:

– T.G.;

– s.n.c. Tarasconi & C.;

la seconda in persona del legale rappresentante T.G.;

parti entrambe rappresentate e difese dall’avv. De Dominkis Antonio,

del Foro di Parma e Francesco Luigi Braschi del Foro di Roma ed

elettivamente domiciliate presso lo studio del secondo in Roma, viale

Parioli 180, giusta procura a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

– P.D. rappresentato e difeso anche in via disgiunta

dagli avv.ti RIZZARDI RICCARDO del Foro di parma e Fabio Lais del

Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio del

secondo in via Zanardelli n.20, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte dì Appello di Bologna n. 1009/2005,

pubblicata il 21/09/2005 e notificata il 26/10/2005;

Udita la rela2ione della causa svolta nell’udienza pubblica del

6/07/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchirli;

Udito il procuratore delle parti ricorrenti avv. Luigi Francesco

Braschi che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Pretore di Parma, accogliendo un ricorso del dottore commercialista P.D., che affermava di aver svolto attività professionale in favore, dapprima di T.G., artigiano, e successivamente della snc Tarasconi & C. di cui il primo era legale rappresentante, ingiunse ad entrambi di pagare lire 12.100.000 oltre accessori e spese. Gli ingiunti proposero opposizione sostenendo che le richieste si riferivano, pressochè integralmente, a prestazioni professionali non rese, riconoscendo di dovere, al più, solo un milione di lire per consulenze prestate in occasione della costituzione della società. L’opposto si costituì a sua volta chiedendo rigettarsi l’opposizione. Il giudice unico presso il Tribunale di Parma, succeduto al Pretore, accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’opposto al pagamento delle spese.

La Corte di Appello di Bologna, adita dal P., ne accolse l’impugnazione, revocando il decreto d’ingiunzione e condannando le parti appellate al pagamento di lire 9 milioni, oltre IVA e contributo alla cassa dottori commercialisti, regolando di conseguenza le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Il Giudice dell’appello pervenne a tale decisione ritenendo innanzi tutto che, pur in assenza di specifica domanda di condanna proposta in via subordinata a quella di rigetto dell’opposizione, il Tribunale avrebbe comunque dovuto pronunziarsi in merito alla minor somma ritenuta dovuta; operò altresì una diversa valutazione delle emergenze istruttorie e ritenne provato che l’attiva partecipazione dell’appellante, assieme ad altri professionisti, ad una riunione nella quale si doveva valutare la proposta di vendita di un immobile alla società, ben potesse rientrare nell’ambito della voce tariffaria attinente all’assistenza professionale alla stipula; non ritenne invece univocamente dimostrata la prestazione dell’opera per altri incarichi pur descritti nella fattura posta a base della richiesta monitoria.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il T. agendo in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società Tarasconi, affidandolo a tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito il P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo vengono denunziati un vizio di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., criticandosi la valutazione delle prove in merito alla fattiva collaborazione del P. nel corso della riunione in cui si decise il prezzo di acquisto di un immobile ove svolgere l’attività di panificazione della società del T.; con il secondo e connesso motivo viene dedotta una insufficiente motivazione circa il minimo apporto causale del T. nel corso dell’anzidetta riunione, per il fatto che il contratto sarebbe stato già stato predisposto da altro professionista e l’immobile reperito a cura di terzi.

2 – I due motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica Entrambi sono per un verso inammissibili e per altro, infondati;

2/a – La censura attinente alla motivazione è inammissibile in quanto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr ex multis Cass. 10.657/2010).

2/b – Nella fattispecie il T. si duole della valutazione, diversa da quella da lui patrocinata, che la Corte bolognese ha formulato dell’apporto professionale del commercialista nel corso dell’incontro presso lo studio di altro professionista da lui stesso incaricato alla bisogna: appare però chiaro che il ragionamento del giudice non presta il fianco alle critiche di merito contenute nel ricorso in quanto la Corte felsinea si è fatta carico di esaminare criticamente tutti gli elementi probatori già passati al vaglio del Tribunale, pervenendo ad una logica soluzione interpretativa; va anche rilevato che il motivo non rispetta neppure il canone dell’autosufficienza – incorrendo pertanto nel vizio di inammissibilità- in quanto non viene riportato il contenuto delle testimonianze da cui si sarebbe dovuto trarre il diverso e opposto convincimento: tale omissione invero non permette di scrutinare criticamente: a – l’affermazione, pure dedotta nel primo motivo di ricorso, secondo la quale il prezzo proposto dal P. sarebbe stato addirittura maggiore di quello offerto dal cliente (giusta quanto sarebbe risultato da un fax prodotto a corredo di una memoria autorizzata nel corso del giudizio di primo grado); b – l’interpretazione da dare all’ammissione di dovere al più la somma di lire un milione per l’opera prestata per la costituzione della società (pur tralasciando la circostanza che l’ammissione sarebbe stata fatta nel corso del giudizio, come riportato a fol. 5^ della sentenza di appello).

3 – E altresì errata la censura di violazione delle norme sulle prove, in quanto il giudice dell’appello non ha affatto affermato che sarebbe stato a carico del cliente – l’odierno ricorrente – di dimostrare l’esistenza del conferimento deFincarico, piuttosto che del creditore del pagamento dell’onorario, limitandosi la Corte distrettuale a statuire che il concreto svolgersi della riunione – di cui sopra s’è detto – e la condotta tenuta in quel frangente dalle parti, costituivano circostanze che dovevano univocamente essere interpretate come presupponenti l’affidamento dell’incarico professionale (anche tenuto conto che il P. era da tempo il commercialista del T.).

4 – Con terzo motivo il T. fa valere l’erronea applicazione della tariffa dei dottori commercialisti e la mancanza di idonea motivazione in merito alla voce tariffaria da applicare – sostenendosi che al più sarebbe stata catalogabile nella meno onerosa attività di mera assistenza-, essendo la Corte distrettuale partita dal falso presupposto della mancanza di una contestazione sul punto che, invece, era stata fatta valere nel corso del giudizio di opposizione.

4/a – Anche in questo caso la violazione del principio di autosufficienza del ricorso -segnatamente: non avendo riportato il T. il tenore delle proprie difese innanzi al Tribunale, come neppure il contenuto della comparsa in appello, impedisce ogni ulteriore scrutinio in sede di legittimità, non senza omettere di considerare che difetterebbe nel motivo anche il requisito della specificità atteso che non è stato neppure esposto a quale diverso risultato contabile – più favorevole al cliente – si sarebbe pervenuti adottando uno dei criteri alternativi suggeriti dal D.P.R. n. 645 del 1994, art. 45, comma 1, (di approvazione delle tariffe per i dottori commercialisti).

5 – Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico delle parti ricorrenti, secondo quanto specificato nel dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2011

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