Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2031 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 28/01/2021), n.2031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14056/2019 proposto da:

K.K.O., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Oddone Anna Rosa, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

K.K.O., cittadino nigeriano nato a (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Torino- Sezione specializzata in materia di immigrazione, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essersi recato, dopo la morte di suo padre, da uno zio per chiedergli dei terreni e di avere avuto assicurazioni positive dal familiare; di aver ricevuto successivamente la visita in casa di alcuni ragazzi facenti parte di una setta i quali, dapprima gli offrirono aiuto per far valere i suoi diritti ereditari, e poi, approfittando della sua assenza, si recarono presso la sua abitazione colpendo la moglie e la sorella; di aver lasciato l’abitazione su suggerimento del proprio coniuge per evitare di essere catturato e di essersi recato a Nord presso il fratello ove rimase sino al 2016 quando, di ritorno dal lavoro sentì che Bo. Ha. aveva attaccato la città e dato fuoco alle case; di non aver denunciato l’accaduto alla polizia; di non avere nemici e di non avere problemi con lo zio e di aver appreso che nel frattempo la moglie era morta. Con Decreto n. 1847 del 2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

Il giudice del merito ha rilevato, in particolare, che il racconto fornito dal richiedente circa le ragioni del suo espatrio risultava non credibile:

Sottolineava in questo senso che il narrato presentava delle incongruenze in merito al preteso aiuto offerto da alcuni ragazzi per far valere dei diritti verso uno zio il quale, ben lungi dal contestarli, aveva acconsentito a consegnargli una parte del terreno di suo padre.

Evidenziava anche che la vicenda presentava molteplici lacune non essendo stati specificati da parte del ricorrente gli elementi idonei ad identificare la setta i cui membri si sarebbero scagliati contro la sua famiglia senza alcuna giustificazione.

La narrazione, circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio ad avviso del Tribunale era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto, nonchè piena di contraddizioni e di inesattezze.

Rilevava altresì sulla base di fonti di conoscenza aggiornate, la Nigeria nella zona di provenienza del richiedente, non versava in una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria osservava che il ricorrente, stante la non credibilità del racconto, corresse il rischio di persecuzione o di danno in caso di rientro e che inoltre le condizioni socio economiche del Paese non sono così gravi da porre in pericolo i suoi cittadini in condizioni di vulnerabilità.

Anche per quanto riguarda le condizioni personale del richiedente il Tribunale riteneva che anche per questo profilo non emergevano problematiche fisiche e psicologiche di gravità tale da essere curati solo in Italia.

Escludeva infine che la partecipazione del ricorrente alle varie attività attuate in sede di accoglienza potesse documentare la stabile e rilevante condizione di avvenuto inserimento nel contesto nazionale.

Avverso tale decreto K.K.O. propone ricorso affidato a due motivi. Il ministero si è costituito solo formalmente.

Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 o comunque l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p., comma 1, n. 5.

Si critica il diniego della protezione internazionale da parte del Tribunale nella parte in cui avrebbe omesso di valutare le doglianze del richiedente il quale aveva messo in luce le pesanti criticità geopolitiche della Nigeria ma anche le condizioni di arretratezza della mentalità e dei costumi.

Con il secondo motivo si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p., comma 1, n. 5.

Si lamenta che il primo Giudice avrebbe omesso di valutare la condizioni di vulnerabilità del ricorrente e le specifiche doglianze difensive discostandosi dagli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Entrambe le doglianze si rivelano inammissibili.

Va ricordato che il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 (risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134) in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività.

Ciò premesso il ricorrente deduca vizio di omesso esame di fatti rilevanti – art. 360 c.p.c., n. 5 – ma non indica in modo specifico a quali fatti si riferisca, con l’ovvia conseguenza della genericità di entrambi i motivi che non possono dunque superare il vaglio di ammissibilità.

Il ricorrente non ha avuto cura di riprodurre il contenuto del ricorso con l’esatta individuazione delle doglianze difensive per le quali si deduce l’omesso esame e di cui non vi è traccia nella decisione impugnata.

Entrambi le censure inoltre non si non si confrontano col provvedimento impugnato, -il quale fonda il rigetto sulla valutazione di tutti gli elementi di prova raccolti, ed in particolare sul racconto del ricorrente che è stato ritenuto non credibile- ed impingono in inammissibilità, in quanto con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice del merito, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (principio affermato con continuità, da Cass. n. 359 del 2005, fino a Cass. n. 22478 del 2018).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata non potendosi ritenere tale la contestazione riassunta in poche righe nella memoria di costituzione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese;ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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