Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20307 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 26/07/2019), n.20307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1779/2017 proposto da:

COOPERATIVA SOCIALE QUADRIFOGLIO SC ONLUS, in persona del Presidente

del c.d.a. pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MICHELE SCOLA;

– ricorrente –

contro

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEULADA

38/A, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MECHELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FERNANDO ANGELONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1119/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.S. fece opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Pinerolo per l’importo di Euro 6.579,16 su intimazione della Cooperativa Sociale Quadrifoglio (di seguito Cooperativa) a titolo di compenso della “quota alberghiera” richiesta dalla cooperativa gerente una residenza sanitaria assistenziale.

La G. si oppose, in particolare, all’aumento della quota giornaliera richiesta dalla Cooperativa al privato, da Euro 32,80 ad Euro 46. La Cooperativa, nel costituirsi in giudizio, rappresentò che, mentre le tariffe Delib. Giunta regionale 1 agosto 2002, n. 662, relative alla quota sanitaria di Euro 37,95, potevano essere modificate solo a seguito di nuovo provvedimento regionale, invece la quota “c.d. alberghiera” posta a carico del privato, in esecuzione di un contratto stipulato tra il degente e la casa di cura, era affidata alle regole del libero mercato, sicchè poteva variare, come era variata, senza che la degente avesse eccepito alcunchè, pur continuando a pagare però la vecchia tariffa.

Il Tribunale di Torino accolse l’opposizione, ritenendo che la Cooperativa era tenuta al rispetto delle tariffe quali previste nel contratto stipulato tra la Regione Abruzzo e la ASL di Teramo rinvianti alla Delib. Giunta Regionale 1 agosto 2002, n. 662, mentre doveva considerarsi nulla la scrittura privata con la quale la degente si era impegnata a pagare la maggior quota a carico del privato prevista dalla struttura, sotto la minaccia di non poter, altrimenti, fruire delle prestazioni sanitarie offerte dalla medesima.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1119/2016, per quel che ancora rileva in questa sede, ha pienamente confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello. I giudici di merito hanno ritenuto che il quadro normativo, disciplinante il regime delle RSA, e costituito dalla L. n. 833 del 1978, art. 5, D.P.C.M. 8 agosto 1985, dal D.M. Sanità 15 aprile 1994, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nonchè dal D.P.C.M. n. 129 del 2001, prevede che le Regioni stabiliscano una quota complessiva di degenza pro die, comprendendo nella suddetta determinazione non solo la quota a carico del sistema sanitario nazionale, ma anche quella a carico dei privati, non sussistendo alcun autonomo contratto tra il privato e la casa di cura.

Ad avviso del giudice la cooperativa ha accettato di ospitare il paziente in regime di convenzione; essendo libera di aderire o meno alla detta convenzione, mentre tale convenzione, intercorrente esclusivamente tra la Regione e la Onlus produce, nei confronti del paziente, gli effetti di un contratto a favore di terzo.

Il terzo può quindi essere destinatario solo di effetti favorevoli, di guisa che la scrittura con la quale il degente si è impegnato a pagare eventuali maggiorazioni disposte unilateralmente dalla struttura, è nulla per mancanza di determinatezza o determinabilità dell’oggetto e comunque annullabile per vizio del consenso, essendo detto consenso estorto alla degente con la minaccia di vedersi preclusa l’assistenza sanitaria dovuta per legge. Opinando diversamente, ad avviso del Giudice, si potrebbe verificare la situazione paradossale per cui la struttura in convenzione, elevando molto i prezzi, ostacoli di fatto l’esercizio del diritto alla salute.

Avverso la sentenza, che ha condannato anche l’appellante alle spese del grado, la Cooperativa propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati da memoria. G.S. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 5,D.P.C.M. 8 agosto 1985, art. 6 e dell’art. 1363 c.c., con riguardo all’art. 12 della Convenzione. Ad avviso della ricorrente le norme indicate in epigrafe si limiterebbero a disciplinare, con una normativa di diritto pubblico ad ispirazione solidarista, le sole funzioni sanitarie o al più quelle socio-sanitarie, sicchè le delibere regionali sarebbero volte a determinare esclusivamente la quota sanitaria e la quota sociale e non anche quella alberghiera, della quale non si fa alcun cenno nè nella Delibera regionale nè nella convenzione e che resterebbe pertanto liberamente determinabile sulla base dell’accordo privato, in base all’art. 1322 c.c..

2. Con il secondo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la distinzione tra prestazioni sanitarie a rilievo socio assistenziale e prestazioni alberghiere. Ad avviso della ricorrente la sentenza avrebbe errato nel non ritenere che le prestazioni alberghiere costituiscano il cuore delle prestazioni fornite agli anziani i quali, non essendo autosufficienti, necessitano prima ancora che del medico, di essere ospitati, nutriti e lavati. La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che, mentre le prestazioni sanitarie e socio-assistenziali sono erogate dalla Regione, la quota alberghiera resta legata al contratto tra il singolo paziente e la casa di cura.

Con i primi due motivi di ricorso, pertanto, la Cooperativa sostanzialmente si duole che la Corte di merito non abbia considerato la distinzione, presupposta dalle norme indicate, tra le prestazioni sanitarie a rilievo socio-assistenziale, gravanti sul sistema sanitario nazionale e quelle di natura alberghiera, la cui spesa, in quanto posta a carico degli utenti, sarebbe determinabile in base all’autonomia privata.

1-2 I motivi sono fondati per quanto di ragione. Mentre il Servizio Sanitario Nazionale è gravato dell’onere delle prestazioni mediche e socio-assistenziali non ci sono ragioni per vietare alle residenze sanitarie assistenziali di variare il livello delle prestazioni alberghiere il cui valore economico può essere molto variabile in ragione del contenuto e del livello delle prestazioni medesime.

Mentre la Delibera regionale costituisce l’unica fonte delle prestazioni mediche e socio-assistenziali, che sono demandate alle singole Regioni in nome della competenza alle medesime attribuite dalla Costituzione, il contratto di prestazione alberghiera rimane affidato all’autonomia privata che, nei limiti dell’art. 1322 c.c., può modificare in modo anche sensibile il prezzo delle prestazioni alberghiere purchè il medesimo sia accettato dall’anziano ricoverato presso la struttura.

La giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende dare continuità, ha distinto chiaramente le prestazioni sanitarie e socio-assistenziali da quelle alberghiere ed ha, per l’appunto, previsto che queste ultime siano determinate nell’ambito della libera negoziazione tra il privato e la singola casa di cura.

La giurisprudenza ha ritenuto che il contratto stipulato tra privati per il mantenimento di un familiare bisognoso di prestazioni assistenziali presso una struttura residenziale adeguata non è nullo per difetto di causa, non essendo diretto all’erogazione, in forma esclusiva o prevalente, di prestazioni sanitarie da ritenere a carico del servizio sanitario nazionale e pertanto oggetto di un negozio privo di concreta funzione economica (Cass., 3, n. 17234 del 13/7/2017).

Così come ha statuito che, qualora una struttura privata eroghi in favore di anziani prestazioni di natura esclusivamente socio-assistenziale, il corrispettivo può essere liberamente concordato tra le parti, poichè una limitazione del generale potere di autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., non può essere individuata nella disciplina del servizio sanitario nazionale laddove assicura ai cittadini livelli essenziali uniformi di assistenza sanitaria, con spesa interamente a carico della P.A. in quanto la stessa concerne soltanto l’erogazione di prestazioni sanitarie pure o inscindibili con quelle socio-assistenziali che si configura quando l’assistito, sia o meno autosufficiente, debba essere sottoposto ad un programma terapeutico in mancanza del quale non assume rilevanza che la struttura sia accreditata dal S.N.N. in quanto la prestazione rimane estranea all’ambito dell’assistenza sanitaria obbligatoria, ricadendo nella disciplina generale delle prestazioni sociali di cui alla L. n. 328 del 2000 (Cass., 3, n. 28321 del 28/11/2017).

In base alle linee guida che hanno dato attuazione alla normativa specifica in tema di residenze assistenziali, delle tre voci di spesa 1) costi alberghieri e generali, 2) costi di assistenza sanitaria e 3) costi di assistenza sociale a rilievo sanitario le sole spese sanitarie sono poste a carico della Asl mentre quelle alberghiere e sociali sono poste a carico dell’utente. Da quanto premesso si desume che le tariffe indicate nella Delibera di Giunta Regione Abruzzo non costituiscono limiti inderogabili del corrispettivo del servizio prestato per lungo-assistenza in regime residenziale, non potendosi escludere l’autonoma determinazione del corrispettivo tra strutture erogatrici dei servizi ed utenti,

3. Con il terzo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, con riguardo al capo di sentenza che, dichiarando la nullità delle previsioni del contratto stipulato tra il privato e la Onlus, ha previsto la possibilità per le delibere di giunta o per il D.P.C.M. di imporre il prezzo di beni e servizi in applicazione dell’art. 1339 c.c., con sostituzione automatica di clausole, perchè ciò determinerebbe una restrizione del diritto di libertà economica. Peraltro si tratterebbe di norme di rango secondario non abilitate ad operare ai sensi dell’art. 1339 c.c..

4. 5. 6. Con il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso la ricorrente aggredisce una ratio decidendi del tutto secondaria e, per dir così, accessoria della sentenza. La ricorrente censura la sentenza per omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c., per non aver pronunziato sulla domanda di annullabilità del contratto per vizio del consenso, ritenendo detta pronunzia superata dall’assorbente rilievo della nullità. La censura viene riproposta in sede di legittimità, dopo essere stata, con ampia motivazione, disattesa dall’impugnata sentenza: non vi sarebbe alcuna violazione del consenso perchè il degente ospite, qualora non avesse voluto servirsi della struttura sanitaria già utilizzata, sarebbe stato libero di sceglierne un’altra. Infine con il sesto motivo censura la sentenza per aver ritenuto che l’impegno contrattuale assunto dal degente nei confronti della onlus fosse nullo per indeterminatezza dell’oggetto, tirando in ballo le norme relative al codice del consumo. Le censure, introdotte con i motivi dal terzo al sesto, restano tutte assorbite dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, in relazione ai primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso per quanto di ragione, assorbiti gli altri, cassa la sentenza in relazione e rinvia la causa alla Corte d’Appello,di Torino, in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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