Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20306 del 31/07/2018
Civile Sent. Sez. 1 Num. 20306 Anno 2018
Presidente: CRISTIANO MAG DA
Relatore: DOLMETTA ALDO ANGELO
Data pubblicazione: 31/07/2018
SENTENZA
sul ricorso 26185/2012 proposto da:
Clemente Anna Maria e Trucillo Giancarlo Antonio, in
proprio,
elettivamente
domiciliati
in
Roma,
via
XX
settembre n. 3, presso lo studio dell’avvocato Sandulli
Federica, che li rappresenta e difende, giusta procura
speciale per notaio Roberto Greco di Montoro Superiore Rep. n. 40.923 del 5.7.2017;
– ricorrente contro
Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., che ha ceduto i crediti
alla Calliope s.r.l., e per essa la Prelios Credit Servicing
s.p.a. (già denominata Pirelli Re Credit Servicing s.p.a.)
nella qualità di procuratrice speciale, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
Roma, viale Mazzini n. 73, presso lo studio dell’avvocato
Del Vecchio Arnaldo, rappresentata e difesa dall’avvocato
Iollo Gennaro, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 3730/2011 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 07/12/2011;
udita la
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della
çau~a ~VQ!t~ n~ll~ pvbbliç~ udienza
del 2.3/02./2018 çiçil cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Elisabetta Rossi, con
delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.- Anna
Maria Clemente e Giancarlo Antonio Trucillo
(nonché, nell’intestazione del ricorso, «A & G s.a.s. di
Giancarlo Antonio Trucilli e C», ente tuttavia cancellato dal
Registro delle imprese già
nel
2
2004, secondo quanto
dichiara lo stesso ricorso) ricorrono per cassazione nei
confronti di Calliope s.r.l., quale cessionaria di crediti
assunti tali da Banca Nazionale del Lavoro, e articolano tre
motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di
Napoli in data 7 dicembre 2011.
Con tale pronuncia la Corte territoriale ha parzialmente
accolto l’impugnazione che gli attuali ricorrenti avevano
proposto contro la sentenza resa
nel primo grado di
giudizio dal Tribunale di Avellino il 19 maggio 2003.
Revocando il decreto ingiuntivo emesso nel
1992 dal
Tribunale irpino, la Corte territoriale ha detratto dal credito
il cui pagamento era stato intimato col provvedimento
monitorio sia le somme che gli attuali ricorrenti avevano
nel frattempo provveduto a versare alla Banca, sia quelle
corrispondenti
a
interessi
anatocistici
indebitamente
appostati in conto; ha invece ritenuto dovuto il residuo
credito, portato da titoli cambiari che la società aveva
girato alla Banca per lo sconto, tornati insoluti dopo la
chiusura del rapporto di conto corrente. In particolare, la
Corte napoletana non ha ravvisato profili di illegittimità e/o
di scorrettezza nel comportamento della banca, che non
aveva
dato
pagamento
specifico
dei titoli
avviso
ai
cambiari;
debitori
la
stessa
del
mancato
ha
pertanto
respinto la domanda risarcitoria avanzata nei confronti
della stessa dagli opponenti/appellanti.
2.- Resiste con controricorso Calliope s.r.l.
3.- Per la trattazione della controversia è stata fissata
pubblica udienza per il giorno 9 febbraio 2017. Prima dello
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svolgimento della stessa è peraltro deceduto l’avvocato
Michele Sandulli, difensore dei ricorrenti. Preso atto di
questo, il Collegio ha rinviato, con apposita ordinanza
interlocutoria, la controversia a nuovo ruolo, disponendo
che
del
rinvio
fosse
data
comunicazione
alla
parte
personalmente.
Con «comparsa di costituzione in prosecuzione», datata 27
luglio 2017, l’avvocato Federica Sandulli, munita di procura
speciale ad litem, ha fatto proprie tutte le difese già svolte
dal precedente difensore.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo del ricorso assume «violazione/falsa
applicazione di norme di diritto (art. 360 comma l n. 3 cod.
proc. civ.) con riferimento all’art. 52 legge cambiaria, agli
artt. 1175 e 1375 del codice civile nella lettura orientata
dall’art. 2 Costituzione, all’art. 1373 cod. civ. e all’art. 8
legge n. 154/1992.
I ricorrenti deducono che la corte del merito ha errato nel
mandare esente da responsabilità la Banca per non averli
puntualmente informati dell’esistenza degli insoluti. Simile
comportamento avrebbe violato i doveri di informazione
specifica posti dall’art. 52 l. cambiaria (secondo il quale il
portatore del titolo deve dare avviso ai giranti del suo
mancato pagamento), oltre che dal canone di buona fede
oggettiva e dall’art.
8 l.
n.
142/1992 (che prescrive
l’obbligo della Banca di «comunicazione dettagliata alla
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scadenza del contratto») e li avrebbe esposti ad ingenti
danni.
Più in particolare, la sentenza impugnata è censurata sia
per aver
richiamato,
a
fondamento
del
rigetto
della
domanda risarcitoria, l’esistenza di un patto di dispensa
dagli avvisi ex art. 52 l. cambiaria, che non poteva più
spiegare efficacia dopo il recesso della Banca dal rapporto,
sia per aver comunque ritenuto sufficiente la generica
comunicazione inviata dalla creditrice, che non indicava nel
dettaglio quali titoli erano rimasti impagati, nonostante il
profondo
spessore
del
dovere
di
buona
fede,
come
«costituzionalizzato in ragione del suo porsi in sinergia con
il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Co st.».
2.- Il secondo motivo denuncia «motivazione insufficiente
(art. 360 n. 5 cod. proc. civ.)», lamentando che la corte
d’appello
abbia
ritenuto
che
la
notevole
esposizione
debitoria della s.a.s., sebbene « soltanto di poco superiore
nella
sua
articolazione
ai
singoli
affidamenti,
individuabili dal documento allegato sub n.
2»
come
fosse
sufficiente a motivare il recesso della Banca dai rapporti in
essere.
3.- Il terzo motivo assume «violazione/falsa applicazione di
norme di diritto (art. 360 comma 3 cod. proc. civ.) con
riferimento agli artt. 1175, 1375 e 1845 cod. civ.» e si
sostanzia nell’affermazione dell’erroneità dell’assunto della
sentenza impugnata secondo cui le pattuizioni intervenute
tra le parti consentivano alla Banca di recedere dal rapporto
5
«in qualsiasi tempo ed a suo insindacabile giudizio», atteso
che «la questione della sussistenza o meno della giusta
causa si ricollega al principio di correttezza, buona fede e
solidarietà, che … è ormai costituzionalizzato e, come tale,
deve costituire la chiave di lettura delle norme e di
valutazione dei comportamenti».
4.- Il primo motivo è infondato.
In
proposito
va
in
primo
luogo
rilevato
che
non
è
controverso in causa che le cambiali rimaste insolute erano
stati girate alla Banca per lo sconto nell’ambito del relativo,
specifico
rapporto di affidamento
allora in essere tra le
parti: la circostanza che il mancato pagamento dei titoli sia
stato constatato dopo il recesso della creditrice non poteva
pertanto far venire meno la validità della
dispensa
sottoscritta
dai
debitori,
i cui
clausola di
effetti
erano
destinati ad esplicarsi sino all’esaurimento di tutte le
obbligazioni discendenti dalle operazioni di anticipazioni su
titoli intercorse fra le parti.
Tenuto conto della permanente efficacia della clausola di
dispensa
dall’avviso,
si
manifesta
poi
generica
la
contestazione relativa al mancato rispetto del canone di
buona fede oggettiva, posto che il motivo non indica le
ragioni per cui nella specie detto canone avrebbe assunto
connotazioni particolari.
5.- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto volto ad
ottenere una valutazione degli elementi istruttori diversa da
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quella operata dal giudice d’appello, e perciò ad invocare
un sindacato in fatto, precluso a questa corte di legittimità.
6.- Il terzo motivo è infondato in quanto non investe la
ratio
decidendi
della
sentenza
impugnata,
che
ha
testualmente collegato la dichiarazione di recesso della
Banca
alla
sussistenza
di
una
«notevole
esposizione
debitoria», come «menzionata dalla richiamata lettera di
revoca degli affidamenti». Il motivo, d’altro canto, si limita
a contestazioni di tratto generico, senza neppure indicare
quale attinenza queste possano avere con la fattispecie
concreta dedotta in giudizio.
7.- In conclusioni, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono
la soccombenza
e si
liquidano in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida nella misura di € 6.200,00 (di cui € 200,00 per
esborsi), oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima
Sezione civile, addì 23 febbraio 2018.