Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2030 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. III, 29/01/2010, (ud. 14/12/2009, dep. 29/01/2010), n.2030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11519/2004 proposto da:

PARAM STUDIO DI RAMELLA IVO & C SNC, C.F. (OMISSIS), in persona

del socio R.I. quale legale rappresentante della medesima

con firma disgiunta, elettivamente domiciliata in Roma, presso

Cancelleria Corte di Cassazione, rappresentata e difesa ROBERTO

ROLANDO e Dante BODO con studio in 13900 BIELLA, Via Repubblica n.

26, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

IMPRESA EDILE MERLIN SERGIO, in persona del legale rappresentante

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 92,

presso lo studio dell’avvocato CELESTI Valerio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BOCCACINO CARLO giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1511/2003 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Prima Civile, emessa il 31/102003, depositata il 25/11/2003

R.G.N. 557/03;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/12/2009 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato Valerio CELESTI;

Lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale

Antonietta ARESTIA confermate in Camera di consiglio dal P.M. Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha chiesto il rigetto del ricorso per

manifesta infondatezza.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 5 maggio 2004 la s.n.c. Studio Param, di Ivo Ramella & C. (d’ora in avanti, Pararti) ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza 31 ottobre-25 novembre 2003 n. 1511 della Corte di appello di Torino che – in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Biella – ha respinto la domanda di pagamento della somma di L. 17.000.000, proposta contro l’Impresa. Edile Sergio Merlin, a titolo di provvigioni maturate per avere svolto attività di mediazione immobiliare.

Espone la ricorrente che, avendo ricevuto l’incarico dalla Merlin di reperire acquirenti per un immobiLe sito in (OMISSIS), aveva messo in contatto con la stessa due possibili acquirenti, accompagnandoli in luogo e svolgendo l’attività richiesta in questi casi.

Successivamente, all’insaputa di essa Param, la Merlin aveva stipulato direttamente con gli stessi soggetti i contratti di compravendita del suddetto immobile, con due scritture private in data (OMISSIS).

Proposta azione in giudizio contro il Merlin, con atto notificato il 24.11.1994, il convenuto ha opposto preliminarmente l’intervenuta prescrizione del diritto al pagamento della provvigione, per essere decorso oltre un anno dalla conclusione dei contratti; nel merito, l’insussistenza di ogni incarico di mediazione in favore della Param.

Il Tribunale di Biella ha respinto l’eccezione di prescrizione, ritenendo che il Merlin avesse dolosamente occultato l’avvenuta conclusione dei contratti ed ha accolto la domanda attrice, riducendone L’importo.

Su appello del Merlin, la Corte di appello di Torino ha invece dichiarato la prescrizione del diritto al pagamento della provvigione, non avendo la Param dimostrato il doloso occultamento della conclusione dei contratti e non essendovi alcun obbligo del contraente di comunicare detta conclusione al mediatore.

La Param ha proposto tre motivi di ricorso contro la sentenza di appello,, ai quali oppone resistenza il Merlin con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2704 cod. civ. e D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 18, per avere la Corte di appello ritenuto conclusi i due contratti di compravendita nelle date del (OMISSIS), sebbene ciò risulti solo da due scritture private non autenticate e non registrate, quindi prive di data certa e opponibile ai terzi.

Con il secondo motivo lamenta l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia rilevabile di ufficio, costituito dall’omessa registrazione e trascrizione delle convenzioni private di vendita, relative ai trasferimenti immobiliari. Ed invero, la registrazione dei due contratti entro i venti giorni dalla loro conclusione costituivano atti dovuti, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 2 e 13, atti che sono stati dolosamente omessi, impedendo alla mediatrice di venire tempestivamente a conoscenza dell’intervenuta conclusione dell’affare.

La Corte di appello avrebbe erroneamente omesso di prendere in esame tali circostanze, nel ritenere decorso il termine di prescrizione e nell’affermare che la comunicazione al mediatore dell’avvenuta conclusione del contratto non costituisce atto dovuto.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2941 c.c., n. 8, ed omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevabile di ufficio, per avere la Corte di appello omesso di considerare, ancora, che la registrazione delle scritture private è atto dovuto e che pertanto l’omessa notizia della conclusione del contratto quanto meno in queste forme – è venuta a configurare da parte del Merlin l’omissione di una comunicazione obbligatoria che, ai sensi della norma invocata, impedisce il decorso della prescrizione.

I tre motivi – che possono essere congiuntamente esaminati, perchè connessi – sono manifestamente infondati.

Va premesso che la sentenza impugnata ha fatto decorrere la prescrizione dalla data delle due scritture private del novembre 1992 affermando che la Param ha denunciato il doloso occultamento da parte del Merlin dell’avvenuta conclusione dei contratti, allo scopo di farne derivare la sospensione della decorrenza della prescrizione, “senza fornire la benchè minima spiegazione nè in ordine ai comportamenti che l’impresa avrebbe posto intenzionalmente in essere per tenere all’oscuro degli sviluppi la ditta asseritamente mediatrice, nè in ordine all’epoca in cui quest’ultima sarebbe venuta a conoscenza della conclusione dei due affari” (pag. 7 della sentenza).

La ricorrente non contesta la veridicità dei suddetti rilievi, solo afferma che le argomentazioni dedotte con i tre motivi di ricorso sarebbero rilevabili di ufficio, confermando così che si tratta di questioni mai dedotte in precedenza, nè mai sottoposte all’esame del giudice di appello.

Ciò premesso, non sussiste violazione dell’art. 2704 cod. civ., poichè – in ordine alla prova del diritto del mediatore alla provvigione – la conclusione del contratto e la scrittura privata che lo certifica rilevano solo come dati di fatto, diretti a dimostrare l’avvenuta conclusione dell’affare; non vengono in considerazione per la loro efficacia negoziale, alla quale soltanto si riferiscono le norme in tema di data certa.

Era onere della Param eccepire nelle competenti sedi di merito che il fatto dedotto nei documenti non corrispondeva alla realtà, si da aprire il contraddittorio sul tema e dare avvio alle prove ed agli accertamenti di rito sulla questione.

Nè ricorre violazione delle norme in tema di registrazione e di trascrizione degli atti, norme senz’altro vincolanti, ma per finalità del tutto estranee ai rapporti fra i privati ed in particolare a quelli attinenti ai diritti di mediazione ed alla loro prescrizione.

La Corte di appello ha giustamente precisato che il doloso occultamento è requisito diverso e più grave rispetto alla mera omissione di un’informazione, omissione che assume rilievo solo ove sussista un obbligo della parte di informare; e che tale comportamento non può ritenersi implicito nella mancata registrazione e trascrizione dei contratti, trattandosi di adempimenti certamente doverosi e tali da potere in ipotesi agevolare la conoscenza del contratto da parte dei terzi, ma di per sè inidonei a dimostrare alcun doloso occultamento della data del contratto o di altri fatti produttivi di diritti altrui.

Lo specifico collegamento fra le suddette omissioni e questa particolare finalità avrebbe dovuto essere specificamente dimostrata e, nella specie, la ricorrente non ha indicato alcuna circostanza idonea a dimostrare che la prova sia stata data, si da mettere in questione quanto affermato nella sentenza impugnata.

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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