Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2030 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 27/01/2011), n.2030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4628-2010 proposto da:

E.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE DELLE PROVINCIE 11, presso lo studio dell’avvocato

MANCINI REMIGIO, rappresentato e difeso dagli avvocati PISAPIA CARLO,

DI MURO ANTONIO, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dall’avvocato

ELISABETTA LANZETTA, giusta mandato speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2009 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

21.1.09, depositata il 23/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 19 febbraio 2010, E.A., dipendente dell’INPS dal 1.7.1962 al 1.2.2003, quando era stato collocato in quiescenza, chiede con un unico motivo l’annullamento della sentenza depositata il 23 febbraio 2009, con la quale la Corte d’appello di Salerno, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto la sua domanda di computo dei componenti fissi della retribuzione denominati “salario di professionalità”, percepito dal 1.1.1997 (dal 1.1.2000 denominato “assegno di garanzia”) e indennità di funzione, percepita dal giugno 1994, ai fini del calcolo del trattamento integrativo di pensione, negando viceversa tale computo ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.

Le censure riguardano la violazione dell’art. 2120 c.c., artt. 5 e 34 del Regolamento di previdenza e quiescenza del personale a rapporto d’impiego INPS, del contratto collettivo decentrato di ente del biennio 1997-1998, della L. n. 88 del 1989, art. 15, comma 2, della L. n. 144 del 1999, art. 64 nonchè il vizio di motivazione.

In particolare, viene censurata la ritenuta inoperatività della disposizione sulla omnicomprensività dell’indennità di anzianità di cui al citato regolamento INPS ancorchè la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 31, ritenuta applicabile al caso di specie, preveda che detto regolamento continua ad applicarsi qualora assicuri un risultato di miglior favore rispetto a quello legale per il personale già in servizio.

L’INPS resiste alle domande con controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e le integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è inammissibile e va pertanto trattato in camera di consiglio.

In esso, contenente (quantomeno nella prima parte) censure relative alla violazione di norme di diritto, difetta la formulazione del quesito di diritto, necessario ai fini dell’ammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso in esame a norma del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e art. 27, comma 2, prima della sua abrogazione, operata a decorrere dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d)) il quale, per quanto qui interessa, recita:

“Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

In proposito, si ricorda che è stato ripetutamente affermato da questa Corte che “il legislatore, nel porre a carico del ricorrente l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica di cui egli auspica una certa soluzione, rende palese come a questo particolare strumento impugnatorio sia sottesa una funzione affatto peculiare: non solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata (in un senso, ovviamente, che il ricorrente prospetta a sè più favorevole), ma anche quella di enucleare – con valenza più ampia e perciò nomofilattica – il corretto principio di diritto al quale ci si deve attenere in simili casi. L’interesse personale e specifico del ricorrente deve, insomma, coniugarsi qui con l’interesse generale all’esatta osservanza e all’uniforme interpretazione della legge” (cfr., per tutte, Cass. sez. 1A, 22 giugno 2007 n. 14682 o Cass. 10 settembre 2009 n. 19444).

Inoltre, secondo l’univoca interpretazione di questa Corte dell’art. 366-bis c.p.c. (secondo cui “nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), anche l’illustrazione del motivo relativo al preteso vizio di motivazione deve concludersi con una chiara, sintetica, evidente ed autonoma indicazione del fatto controverso in relazione al quale viene dedotto l’uno o l’altro dei vizi possibili (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 16528/08 e, più recentemente, Cass. 27680/09 e 4556/09).

Nella seconda parte del ricorso, difetta altresì un siffatto momento di sintesi con riguardo alle deduzioni di difetto di motivazione; ed anzi, per effetto di tali omissioni, non è neppure chiaro a quale delle censure svolte nel corso del motivo siano da riferire le indicazioni di vizio in procedendo e di leggi violate presenti in rubrica e a quale argomentazione della sentenza sia da riferire il vizio di omessa piuttosto di quella di insufficiente o contraddittoria motivazione, talchè il motivo sembra piuttosto diretto ad ottenere in questa sede di legittimità un riesame dell’intero materiale istruttorio raccolto in funzione di una lettura meramente alternativa dello stesso nel senso voluto dal ricorrente, al di fuori dei limiti del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza di merito.

In ogni caso, il ricorso sarebbe anche manifestamente infondato nel merito, avendo recentemente le sezioni unite di questa Corte (cfr.

sentenza 25 marzo 2010 n. 7158) risolto il contrasto di giurisprudenza che si era manifestato nella materia all’interno della sezione lavoro, affermando il principio per cui “la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (quali l’indennità di funzione della L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, e il compenso incentivante erogati ai dipendenti dell’INAIL) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo”.

A tale principio si è poi attenuta la giurisprudenza successiva di questa Corte (cfr., ad es. Cass. n. 11478/10).

Concludendo, si chiede che il Presidente della sezione voglia fissare la data dell’adunanza in camera di consiglio”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione alle parti e al P.G. presso questa Corte unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della relazione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, come operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’INPS le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00, oltre spese generali, IVA e dedotta la R.A., per onorari.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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