Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20295 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 20295 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.25366/2012 R.G. proposto da
Rubino s.r.l. in liquidazione, in persona del I.r.p.t., rappresentata e
difesa dagli avv.ti Cesare Glendi e Luigi Manzi, presso cui è elettivamente
domiciliata in Roma alla via F. Confalonieri n.5;

– ricorrente contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata
dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

contro ricorrente-

avverso la sentenza n.96 della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia, sezione XXIX, emessa il 23/5/2011, depositata il 23/9/2011 e
non notificata.
Udita la relazione svolta nella ramerú di consiglio del 14 ojr

2018 k:M

Consigliere dott.ssa Andreina Giudicepietro;

1

Data pubblicazione: 31/07/2018

RILEVATO CHE:
1. la società Rubino s.r.l. in liquidazione ricorre con un unico motivo
contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.96 della

23/5/2011, depositata il 23/9/2011 e non notificata, che, in sede di giudizio
di rinvio, ha solo parzialmente accolto l’appello della contribuente, in
controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento n.
4653009470 per maggiori Irpeg ed Dor relative all’anno d’imposta 1994;
2. in particolare, con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia
riteneva sussistente l’omessa contabilizzazione dei ricavi relativi alla vendita
di numerose unità immobiliari nel fabbricato sito in Costa Masnaga,
determinando in lire 1.269.197.241 il reddito della società contribuente per
l’anno 1994;
3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 14 giugno
2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il
primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168,
conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
4. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo
con controricorso;

CONSIDERATO CHE:
1.1. preliminarmente, deve rilevarsi che il ricorso è limitato alla
questione relativa all’omessa contabilizzazione dei ricavi provenienti dalla
vendita di numerose unità immobiliari nel fabbricato sito in Costa Masnaga;
con l’unico motivo di ricorso, la società contribuente denunzia la
violazione falsa applicazione degli artt. 2697, comma 1, 2727, 2729,
comma 1, e 2730 c.c., in relazione all’art.39, comma 1, lett. d), ultimo
periodo, d.p.r. n.600/73, nonché l’omessa o insufficiente motivazione di un
fatto decisivo e controverso, in relazione agli artt. 62 d.lgs. n.546/92 e 360,
comma 1, nn.3 e 5 c.p.c.;

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Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione XXIX, emessa il

secondo la ricorrente la C.T.R. della Lombardia, in sede di giudizio di
rinvio, non avrebbe correttamente applicato le norme sull’onere probatorio
e la prova presuntiva, avendo posto a base della prova indiziaria elementi
privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, avendo
contraddittoriamente motivato in ordine alla prevalenza, sul piano
probatorio, delle dichiarazioni rilasciate da cinque acquirenti (che hanno

compravendita) rispetto alle dichiarazione di altri venti acquirenti, che
avrebbero confermato il corrispettivo indicato nell’atto,
1.2. il motivo è infondato;
1.3. invero, incombe all’Amministrazione finanziaria, la quale adduca
l’esistenza di maggiori ricavi, l’onere della prova degli stessi, che può essere
adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma
1, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e
concordanti;
nel contenzioso tributario, lo schema logico della presunzione semplice
offre all’interprete uno strumento di accertamento dei fatti che consente di
risalire dal fatto noto (elemento certo) a quello ignoto secondo un giudizio
probabilistico, basato sull’id

quod plerumque accidit,

senza che le

conclusioni debbano essere legate alle premesse da un nesso di
conseguenzialità necessaria, ferma restando per il contribuente la possibilità
della prova contraria;
in tema di imposizione diretta e di IVA, la legge – rispettivamente art.
39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40
per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle
persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – prevede che
l’accertamento possa basarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise
e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”;
“pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla
legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare,
singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti
dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio
giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente

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ammesso di aver pagato un prezzo maggiore di quello indicato nell’atto di

per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo
in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di
gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della
prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt.
2727 e ss. e 2697, comma 2, c.c.” (Cass. ord. n. 14237 del 07/06/2017);
nel caso di specie, la C.T.R. della Lombardia ha evidenziato, con

dell’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, perché fondato su
elementi gravi, precisi, e concordanti, quali la mancata esibizione (a seguito
della richiesta dell’Agenzia delle Entate) dei preliminari degli atti di acquisto
da parte delle società contribuente, le dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti
di cinque unità abitative (cha hanno detto di aver pagato un prezzo
superiore rispetto a quello indicato nell’atto di compravendita), la maggiore
attendibilità di tali dichiarazioni rispetto a quelle degli altri acquirenti, che
hanno confermato di aver pagato il prezzo indicato nell’atto, non solo
perché sfavorevoli ai dichiaranti, ma anche per la mancata dimostrazione di
ogni plausibile spiegazione della sproporzione del prezzo di acquisto di unità
abitative del tutto simili;
il ragionamento del giudice di rinvio appare logico e coerente, non
evidenzia alcuna contraddittorietà e fa corretta applicazione dei principi in
tema di ripartizione dell’onere probatorio e della prova per presunzioni;
2.1. atteso il rigetto del ricorso, le spese del giudizio di legittimità
seguono la soccombenza di parte ricorrente secondo la liquidazione
effettuata in dispositivo;

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento
in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in euro 10.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il giorno 14 giugno 2018.

motivazione adeguata e logicamente coerente, le ragioni della legittimità

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