Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20294 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. I, 25/09/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 25/09/2020), n.20294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10616-2019 r.g. proposto da:

A.P.P., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Cristina Perozzi, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Grottamare, Via Ischia n. 10;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in

data 4.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/9/2020 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da A.P.P., cittadino della (OMISSIS), nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 10.12.2017 dal Tribunale di Ancona, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in (OMISSIS) ((OMISSIS)); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine, perchè minacciato dalla comunità del suo villaggio di cui non voleva rivestire il ruolo di capo.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè i fatti narrati non integravano gli estremi degli atti persecutori; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla (OMISSIS) ((OMISSIS)), stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, in ragione della mancata allegazione di un serio motivo di vulnerabilità soggettiva.

2. La sentenza, pubblicata il 4.10.2018, è stata impugnata da A.P.P. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè difetto di motivazione. Si lamenta la mancata traduzione della decisione della commissione territoriale e della sentenza di appello.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17 e art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, nonchè difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 353 c.p.c., dell’art. 112 medesimo codice di rito, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17 in relazione al mancato riconoscimento dell’invocata protezione umanitaria.

4. Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che il ricorso si compone confusamente di tre motivi di doglianza, enunciati nell’incipit della parte “in diritto” del ricorso introduttivo, senza che tuttavia gli stessi abbiano un logico sviluppo motivazionale nella parte argomentativa del predetto atto difensivo che si compone solo di generiche e disordinate dissertazioni sugli istituti protettivi reclamati in relazione alla invocata protezione internazionale ed umanitaria, con la proposizione, peraltro, di inammissibili richieste di rivalutazione del merito della decisione impugnata.

4.1 Il primo motivo di censura è inammissibile, sia perchè non autosufficiente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, (non avendo il ricorrente in alcun modo allegato i documenti sulla cui base avanza la doglianza) sia perchè la deduzione difensiva si contrappone alla consolidata giurisprudenza espressa da questa corte di legittimità. Ed invero, è stato affermato che, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (cfr. Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 23760 del 24/09/2019; v. anche: n. 727 del 2013, n. 16470 del 2019).

4.2 I restanti due motivi di censura, declinati in riferimento al contestato diniego della richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria, possono essere esaminati congiuntamente in ragione della medesimezza della soluzione prospettata, non superando entrambi il vaglio di ammissibilità di gesto giudizio di legittimità.

Le censure si compone solo di generiche e confuse richieste di rivisitazione del merito della decisione, in relazione alla denegata protezione internazionale ed umanitaria.

4.2.1 Sul punto, giova ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017). Detto altrimenti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017).

Ciò posto, va evidenziato come il ricorrente abbia invero proposto solo doglianze in fatto, dirette a richiedere a questa Corte un nuovo scrutinio degli atti istruttori per una diversa valutazione del merito della decisione, in ordine alle richieste di riconoscimento della invocata protezione internazionale ed umanitaria, proponendo, cioè, censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante l’area di cognizione del giudice di legittimità.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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