Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20293 del 23/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/08/2017, (ud. 21/04/2017, dep.23/08/2017),  n. 20293

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20726-2011 proposto da:

P.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6390/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/09/2010 R.G.N. 1031/08.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 6390/2010, depositata il 3 settembre 2010, la Corte di appello di Roma ha respinto, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, la domanda proposta da P.M. per la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto dallo stesso stipulato con Poste Italiane S.p.A., per il periodo dall’1/10/2001 al 31/1/2002, ai sensi dell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001 “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione”;

– che a sostegno della propria decisione, e per quanto di interesse ai fini del presente ricorso, la Corte territoriale ha rilevato come risultasse “provato documentalmente il rispetto della procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 25 del contratto collettivo e della c.d. clausola di contingentamento” (cfr. sentenza, p. 5);

– che nei confronti di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, con quattro motivi, assistiti da memoria;

– che la società ha resistito con controricorso;

rilevato che con il primo motivo il ricorrente si duole che la Corte di merito, nel disattendere i rilievi in ordine al mancato rispetto della clausola di c.d. contingentamento e della procedura di confronto sindacale, entrambe oggetto di previsione nell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001, abbia reso una motivazione solo “apparente” e comunque inidonea a sorreggere la decisione adottata;

– che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di tale norma collettiva e dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte relativa alla ritenuta osservanza della clausola di contingentamento, per avere la Corte, considerando sufficiente a tal fine la produzione documentale offerta dalla società, erroneamente interpretato la disposizione, in contrasto con il suo tenore letterale, nel senso che essa non prescriverebbe che il rapporto percentuale (tra assunti a tempo indeterminato e assunti a termine), esistente al 31 dicembre dell’anno precedente quello della stipula del contratto individuale, non debba mai essere superato nell’anno successivo, potendo farsi riferimento alla media delle assunzioni a tempo determinato intervenute nel corso di quest’ultimo;

– che con il terzo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., il ricorrente censura la sentenza per avere fondato le proprie conclusioni su di un documento di parte datoriale (il prospetto prodotto quale doc. 21) inidoneo a condurre alla dimostrazione dell’avvenuto rispetto della clausola, riguardando lo stesso un numero di contratti a termine stipulati nell’ambito territoriale del Lazio e nell’anno 2001 inferiore nella media al limite contrattualmente previsto del 5% dei dipendenti assunti a tempo indeterminato;

– che con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ. e dell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001, il ricorrente si duole che la Corte di merito, considerando rispettata la prevista procedura di confronto sindacale sulla base delle produzioni documentali della società, sia incorsa in un’erronea interpretazione della disposizione collettiva, la quale richiede la convocazione delle organizzazioni sindacali e non già la semplice trasmissione alle stesse di prospetti relativi alle future assunzioni a termine; osservato che il primo motivo è infondato;

– che, infatti, è apparente la motivazione che non permetta di individuare il fondamento della decisione e che lasci all’interprete il compito di integrarla con ipotetiche congetture, mentre, nella specie, l’espresso riferimento alla documentazione prodotta dalla società costituisce, all’interno del pur sintetico

e compresso spazio motivazionale, una direzione di senso univoca, la quale rende chiaro che la ratio decidendi adottata dal giudice di merito è quella desumibile dal contenuto della suddetta documentazione, sia per ciò che attiene all’osservanza della clausola di c.d. contingentamento (doc. 21), sia per ciò che attiene al rispetto della procedura di confronto sindacale (doc. 19), senza che, d’altra parte, di tale contenuto risultino proposte letture alternative e/o tali da determinare un conflitto di significati egualmente approvabili sul piano testuale;

– che il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

– che invero l’interpretazione dell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001, secondo la quale il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato non potrebbe mai superare, su base regionale, il 5% del numero dei lavoratori in servizio alla data del 31 dicembre dell’anno precedente, non trova riscontro nella formulazione letterale della norma collettiva, la quale si limita a indicare il rapporto percentuale tra categorie di lavoratori, la base territoriale di calcolo e il periodo temporale (l’ultimo giorno dell’anno precedente l’assunzione), con riguardo al quale procedere al computo necessario a stabilire il rispetto della soglia fissata, conseguentemente ammettendo, all’interno di tali coordinate, il criterio di una “media” di assunzioni a termine che, nell’anno di riferimento, si collochi al di sotto di essa;

– che, d’altra parte, in tal senso è la giurisprudenza formatasi in tema di clausola di contingentamento, come è dato desumere da Cass. n. 4028/2016, che ha precisato che “l’art. 25 del CCNL dell’11 gennaio 2011 dei dipendenti postali prescrive che la verifica circa il superamento della soglia del 5 per cento del numero dei lavoratori in servizio sia svolta con riferimento alle assunzioni effettuate sino al 31 dicembre dell’anno solare precedente nella stessa regione, sicchè è illegittimo il computo fondato sul diverso criterio limitato alle assunzioni attive nel mese in cui è stato stipulato il contratto impugnato”; e altresì da Cass. n. 4764/2015, per la quale “in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3 dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro”;

– che risulta inoltre infondato il quarto motivo di ricorso;

– che, infatti, è assorbente in proposito rilevare che, come più volte affermato da questa Corte, l’Accordo del 18 gennaio 2001 tra la società Poste Italiane e le organizzazioni sindacali “costituisce l’espletamento della procedura prevista dall’art. 25 del CCNL 11 gennaio 2001” (Cass. n. 1655/2008; conforme Cass. n. 20608/2007);

ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017

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