Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20292 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. I, 25/09/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11471/2019 r.g. proposto da:

K.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Nicoletta Maria Mauro, presso il cui studio elettivamente domicilia

in Neviano (LE), alla via Angelo De Martina n. 20;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI LECCE depositato il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22/07/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.S., nativo del (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, contro il “decreto” del Tribunale di Lecce del 12 marzo 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. Per quanto qui di residuo interesse, quel tribunale, pur considerando credibile il racconto del richiedente protezione, ha negato il riconoscimento della richiesta protezione umanitaria perchè “i fatti narrati non consentono di ritenere accertato che il richiedente versi in una situazione di vulnerabilità giustificante il ricorso alla misura invocata, essendosi il medesimo limitato ad addurre un soggettivo timore rimasto non avvalorato da alcun riscontro”, altresì rimarcando che “il solo inserimento lavorativo del richiedente non sia sufficiente per accordare la tutela umanitaria, dovendo concorrere ulteriori situazioni di vulnerabilità (nel presente caso insussistenti)”, dovendosi effettuare un “giudizio di comparazione tra la condizione del ricorrente in Italia e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, in relazione al racconto reso”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo, – rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (Erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 142 del 2015, artt. 4 e 22)” – ascrive al tribunale salentino di aver “…assunto la propria decisione sostenendo, a torto, che non sussistesse alcuna situazione di vulnerabilità in capo al ricorrente e che il rapporto di lavoro fornito dallo stesso non fosse sufficiente a dimostrare un percorso di integrazione in Italia, tale da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria”, così disattendendo i principi sanciti da Cass. n. 4455 del 2018.

1.1. Lo stesso, da scrutinarsi sulla base della disciplina, afferente la cd. protezione umanitaria, anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), si rivela inammissibile.

1.2. Giova premettere che, come ribadito, tra le ultime, da Cass. n. 252 del 2019, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi qui ritenuti applicabili – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604 del 2017). A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (cfr. Cass. n. 4455 del 2018. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461).

1.3. Costituisce, poi, principio pacifico quello secondo cui il vizio della decisione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

1.3.1. Nella specie, il tribunale leccese ha: i) ritenuto credibile il racconto del K.; il) valutato, indicando le fonti del proprio convincimento, la situazione sociale, politica ed economica della zona del (OMISSIS) di sua provenienza; iii) escluso la sussistenza di specifici elementi tali da far ritenere il ricorrente un soggetto in situazione di vulnerabilità, negando che il solo suo inserimento lavorativo fosse sufficiente per accordare la tutela umanitaria.

1.3.2. Le argomentazioni del motivo in esame, invece, – pur volendosene sottacere la violazione del principio di autosufficienza laddove, alla pagina 4, menzionano documentazione il cui contenuto non è riportato, anche sinteticamente, nel ricorso (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019) investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

1.3.3. Peraltro, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, però, deve correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6 T.U. Immigrazione, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 4455 del 2018. In senso sostanzialmente conforme vi vedano anche Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461). Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì ricordandosi che la carenza del quadro assertivo nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo.

2. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna K.S. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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