Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20291 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. I, 25/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4102/2019 proposto da:

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), domiciliato per legge in Roma,

alla Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.M.O., elettivamente domiciliato in Busto Arsizio,

alla Via Raffaello Sanzio n. 1, presso lo studio dell’Avvocato

Milena Ruffini, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di MILANO, depositata il

6/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 6 settembre 2018, pronunciando sull’appello proposto da R.M.O., in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 8 giugno 2016, ha riconosciuto all’appellante, cittadino (OMISSIS), il diritto ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il Collegio di merito, confermata la decisione di primo grado quanto al diniego della protezione maggiore – sub specie dello status di rifugiato, per non essere la vicenda dell’appellante connotata da atti di persecuzione diretta e personale rapportabili alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 o della protezione sussidiaria, non emergendo elementi sufficienti a fondare il convincimento che l’appellante, ritornando in patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un danno grave alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 -, ha stimato, invece, sussistenti i requisiti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Ciò perchè, avuto riguardo alla connotazione aperta ed elastica della misura di protezione complementare, atta a valorizzare situazioni di vulnerabilità soggettiva non predeterminate, era da ritenersi che l’appellante avrebbe potuto subire le conseguenze negative dello sradicamento dal Paese nel quale egli si era stabilmente inserito, istaurando proficue relazioni sociali ed affettive, tanto da giungere a generare un figlio con una donna italiana alla quale era stabilmente legato, e svolgendo attività lavorativa in maniera continuativa che gli garantiva l’autosostentamento, considerata, oltretutto, la situazione di instabilità e di insicurezza dello stato (OMISSIS) dell'(OMISSIS).

3. Il ricorso del Ministero dell’Interno domanda la cassazione della suddetta sentenza per un solo motivo.

4. R.M.O. non ha presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in un solo motivo, con il quale si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, che sarebbe stato riconosciuto dalla Corte territoriale evocando la necessità di una valutazione comparativa tra la situazione vissuta nel Paese di origine e quella conseguita nel Paese ospitante, ma senza di fatto compierla, nulla di concreto essendo stato argomentato in sentenza, nè circa la situazione di effettiva vulnerabilità del richiedente protezione, nè in ordine alla deprivazione dei diritti fondamentali subita o subenda in patria.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 65606202, nel lumeggiare i presupposti per ottenere la protezione umanitaria, hanno evocato: “La necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano” ed hanno chiarito che: “Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali”; donde, ribadito che: “L’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (tra varie, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096)”, hanno affermato che: “L’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione” (punto 10 della motivazione).

2.2. Alla stregua della riportata enunciazione direttiva secondo la quale la norma sulla protezione umanitaria assurge nell’ordinamento a “clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione”, non può non riconoscersi la correttezza della sentenza impugnata laddove ha valorizzato, in funzione della concessione al richiedente del permesso umanitario, la condizione psicologica di vulnerabilità nella quale questi si sarebbe venuto a trovare a causa del “forzato distacco dalla famiglia che si era creato in Italia” in ipotesi di rimpatrio.

Tale notazione, vieppiù suffragata dal rilievo assegnato, nella decisione al vaglio, all’imminente nascita di un figlio del richiedente, generato con la compagna italiana, evoca, peraltro, implicitamente, la necessità di assicurare il diritto alla genitorialità dello straniero, quale diritto soggettivo primario, costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost. (Sez. 1, n. 2878 del 11/02/2005, Rv, 579033; Sez. 1, n. 14894 del 22/10/2002, Rv. 558184; Sez. 1, n. 11263 del 29/12/1994, Rv. 489457).

Che si tratti di un diritto soggettivo primario trova conferma, peraltro, sia nella tutela della libertà personale e del diritto al pieno sviluppo della persona umana, che consentono di includere l’aspirazione ad avere figli e l’esigenza di prendersene cura, tra i valori di rilevanza costituzionale, sia dal citato art. 8 della “Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, che prevede, appunto, il diritto al rispetto della vita privata e familiare di ciascuno.

3. Tanto evidenziato, emerge allora l’incompletezza e la non pertinenza delle censure articolate dall’Amministrazione ricorrente, che non risultano essersi confrontate con l’interezza della motivazione rassegnata dal giudice della sentenza impugnata e, in particolare, con decisivi snodi di essa.

4. Per le suesposte ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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