Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20288 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 26/07/2019), n.20288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17630/2015 proposto da:

C. SRL in persona del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante C.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 114 B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

PUCCI, rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI GUIDI, CLAUDIO

GENEROSO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CINISELLO BALSAMO, in persona del Sindaco T.S.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO 10/A, presso lo

studio dell’avvocato SILVANA VERA DURANTE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNA MARIA SCRASCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 972/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione dell’8/9/2008 la società C. s.r.l. convenne il Comune di Cinisello Balsamo davanti al Tribunale di Monza per vedersi riconosciuto il pagamento per il servizio di rimozione, trasporto e custodia di 147 veicoli per l’importo di Euro 532.442,01, anche ai sensi dell’art. 2041 c.c.. Nel contraddittorio con l’Amministrazione convenuta, il Tribunale di Monza, con sentenza n. 1674/2010, rigettò la domanda, in base al difetto di titolarità del credito non essendovi prova che, a seguito di incorporazione della ditta individuale C.G., alla quale erano stati affidati i veicoli da custodire, nella C. s.r.l. i crediti vantati fossero stati trasferiti, mentre la perizia di valutazione allegata all’atto costitutivo induceva ad escluderlo, posto che i crediti conferiti avevano un importo molto diverso ed inferiore (Euro 175.585,00). In ogni caso, ad avviso del giudice, si doveva escludere l’onerosità dei depositi in questione, essendo la fruizione del servizio, senza corresponsione di corrispettivo, conseguenza della regolamentazione data al rapporto dalle parti, che avevano optato per il contratto di deposito gratutito.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 972/15, preso atto che i crediti facevano riferimento al periodo compreso tra il 1996 e il 2002, antecedente alla costituzione della società, ha confermato che gli stessi non fossero venuti a giuridica esistenza per la società appellante; che, in base alla presunzione di gratuità del deposito e comunque in base alla convenzione intercorsa tra le parti in data 8/4/2002, doveva escludersi dall’estrazione di profitti i casi, oggetto della domanda, di veicoli non ritirati dai proprietari per la cui demolizione e custodia nulla il Comune, secondo la convenzione, avrebbe dovuto corrispondere alla C. (risultando, altresì integrato il sinallagma, dal fatto che, invece, era la C. ad incamerare i pagamenti per la custodia effettuati dai proprietari dei veicoli reclamanti la loro restituzione); che le tariffe deliberate sia dal Comune sia dal Ministero dei Trasporti riguardavano solo il servizio di rimozione e trasporto e che la richiesta formulata dal Comune alla società C. di trasmettere l’elenco con allegata copia del relativo verbale di recupero dei veicoli ancora giacenti era finalizzata non alla verifica del credito della C. ma “all’accertamento della posizione giuridica dei singoli veicoli per la conclusione dell’iter procedurale in essere anche con riferimento al regime di confisca”. Quanto al rapporto tra rimozione e custodia la Corte ha ritenuto che l’argomento dell’appellante secondo il quale la prestazione accessoria (deposito) ad una prestazione principale onerosa (rimozione) doveva ritenersi anch’essa onerosa, non potesse essere accolto in ragione della inversione logica delle prestazioni medesime: prima la rimozione poi la custodia.

La Corte d’Appello ha altresì escluso i presupposti dell’azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., per la non ricorrenza del carattere sussidiario dell’azione. Ha accertato che il credito conferito dalla ditta individuale alla C. srl era di Euro 175.585,00, quindi di molto inferiore al richiesto, ed ha conseguentemente rigettato l’appello, disponendo sulle spese.

Avverso la sentenza la società C. s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a otto motivi illustrati da memoria. Resiste il Comune di Cinisello Balsamo, con ricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre premettere che la ricorrente censura, con il motivo ottavo, il capo di sentenza che ha confermato quella di primo grado in ordine alla giuridica inesistenza dei crediti in capo alla C. s.r.l. sicchè detto motivo, pregiudiziale a tutti gli altri, va esaminato per primo.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia “la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2112,2253,2254,2342,2343,2440,2464,2465,2556,2558,2559 e 2560 c.c. e dell’art. 1282c.c., artt. 100, 112, 113,115 e 116 c.p.c., nonchè erronea e non prudente valutazione delle prove in relazione all’art. 350 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – erronea valutazione degli effetti del conferimento dell’impresa individuale C.G. e dei crediti vantati da quest’ultima nei confronti del Comune di Cinisello Balsamo per i vincoli di cui è causa, in favore della C. s.r.l. e delle connesse problematiche afferenti la legittimazione attiva della ricorrente”.

Censura là sentenza nella parte in cui ha confermato quella di prime cure in ordine al difetto di titolarità dei crediti in capo alla ricorrente C. s.r.l.. Invoca la disciplina del conferimento d’azienda per sostenere che il conferimento dell’una azienda nell’altra era stato totale e che la somma indicata nella perizia (Euro 175.585,00) doveva essere considerata soltanto presuntiva.

Il motivo è inammissibile perchè involge valutazioni di merito. La Corte d’Appello ha dato ampiamente conto del fatto che “le argomentazioni del primo giudice in ordine alla mancanza di specifica traccia dei crediti di cui è causa nell’occasione della summenzionata incorporazione della ditta individuale nella s.r.l. sono condivisibili. Effettivamente non solo non vi è prova che l’assunto credito di cui è causa è stato incluso nel conferimento da C. impresa individuale a C. s.r.l. ma si è indotti a ritenere il contrario sulla base della considerazione che, nella perizia allegata all’atto di costituzione della srl, i crediti conferiti erano stati valutati nel loro totale in Euro 175.585,00 e cioè in un valore inferiore ad un terzo del credito complessivo azionato nella presente causa ed asseritamente acquisito dalla srl.

Non pare che tale argomentazione sia adeguatamente censurata sicchè il motivo è inammissibile. Trova sul punto applicazione la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo la quale occorre distinguere l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema processuale per la soluzione del quale questa Corte ha il potere-dovere di accedere agli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato al giudice del merito, in sede di legittimità va effettuato il solo controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., 6-5, m. 30684 del 21/12/2017; Cass., 1, n. 16057 del 2/8/2016).

Il rigetto dell’ottavo motivo e la conferma dell’impugnata sentenza in ordine al difetto di titolarità dei crediti in capo alla società ricorrente rende inutile l’esame degli ulteriori motivi di ricorso.

In ogni caso, anche ove esaminati, gli stessi dovrebbero essere rigettati.

1. Con il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – difformità fra il chiesto ed il pronunciato. La ricorrente afferma che la Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione per non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, contestando che la Corte abbia qualificato come “deposito non oneroso” l’attività di custodia in assenza di una eccezione in tale senso da parte dell’amministrazione comunale.

Il motivo è infondato. Come si evince dalla sentenza impugnata, la difesa dell’Amministrazione è stata sempre nel senso di fare accertare e dichiarare che nessun compenso fosse dovuto all’attrice, sicchè non vi è alcuna difformità tra il chiesto ed il pronunciato essendovi stata fin dall’origine del giudizio l’eccezione di controparte che il deposito fosse a titolo gratuito. Il potere di qualificazione del contratto rientra comunque nella discrezionalità del giudice, nè sarebbe stata necessaria alcuna eccezione per il principio iura novit curia.

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1767,2697,2727,2728 e 2729 c.c., artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – inesistenza e/o erroneità della presunzione di gratuità della prestazione della custode ricorrente per carenza di presupposti giuridici e per travisamento della fattispecie codicistica.

Ad avviso della ricorrente la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 1767 c.c., con una motivazione contraddittoria per aver erroneamente applicato alle prestazioni per cui è causa le previsioni contenute in una convenzione intervenuta nel 2002, ritenuta retroattiva, in forza della quale erano state deliberate le tariffe da utilizzare limitatamente al servizio di rimozione e trasporto.

Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi che consiste nell’applicare alla fattispecie la qualificazione del contratto di deposito gratuito, ricostruendo in tal senso la volontà delle parti, anche in mancanza di alcuna prova scritta in giudizio dell’onerosità del deposito. La sentenza ha evidenziato come tra le parti (amministrazione e ditta) il deposito fosse stato sempre escluso dalle prestazioni da remunerare, anche in ragione del sinallagma individuato nel diverso rapporto tra depositario e proprietari dei veicoli danneggiati o rottamati secondo il quale il compenso del deposito veniva posto a carico dei proprietari stessi. La sentenza non ha applicato retroattivamente la convenzione ma semplicemente ha dato atto che, con la convenzione del 2002, Comune e ditta avevano in qualche modo ratificato la volontà già espressa nel periodo antecedente.

3.Con il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., nonchè omessa e/o non prudente valutazione delle prove in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. La ricorrente censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe fatto una corretta ricostruzione delle prove.

Il motivo è inammissibile perchè di merito.

4. Con il quarto motivo denuncia “la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1767 c.c. e degli artt. 112,113,115 e 116c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – erronea qualificazione dell’eccezione al principio di gratuità del deposito/custodia in riferimento alla prestazione costituita dal recupero/custodia dei veicoli ed erronea interpretazione eccezione alla presunzione di gratuità in riferimento alla insussistenza di una prestazione secondaria gratuita di una prestazione principale onerosa”. In sostanza censura il capo di sentenza che avrebbe erroneamente omesso di pronunciare l’onerosità del servizio dell’attività di custodia quale collegata all’onerosità del servizio di rimozione.

Anche questo motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi. Correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto di non poter realizzare la connessione dei due servizi nel senso proposto dalla ricorrente perchè non è la custodia servizio strumentale all’attività di rimozione ma, al contrario, la rimozione eventualmente strumentale all’attività, del tutto distinta ed eventuale, del deposito.

5. Con il quinto motivo denuncia “la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa pronuncia in ordine al motivo di appello riguardante la debenza delle spese di custodia relative a veicoli sottoposti a sequestro amministrativo e/o fermo”.

Censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe pronunciato sulla debenza delle spese di custodia relative a veicoli sottoposti a sequestro amministrativo o fermo. Il motivo non è autosufficiente perchè non riporta il motivo di appello in cui avrebbe posto la questione, dalle conclusioni dell’atto di appello sembrerebbe che non ci fosse uno specifico motivo, sicchè la questione in quanto nuova è inammissibile.

6. Con il sesto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa pronuncia in ordine alla domanda di pagamento delle somme dovute per le prestazioni di rimozione e trasporto dei 146 veicoli di cui è causa. Censura la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto retribuibili quanto meno i servizi di rimozione e trasporto. Il motivo è inammissibile in quanto detto profilo non era stato trattato dalla sentenza di primo grado e ritenuto pertanto assorbito dall’accertamento del difetto di titolarità dell’intero credito in capo all’attrice, posto dal giudice come argomento principale della propria statuizione. Con l’atto d’appello la ricorrente non ha mosso sul punto alcuna contestazione e la pronuncia di appello ha confermato le statuizioni di primo grado.

7. Con il settimo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 C.d.S., artt. 394 e 397 reg. esec. C.d.S. e del D.M. 4 settembre 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Censura la sentenza perchè la stessa avrebbe violato le norme del Codice della Strada secondo cui gli oneri di custodia debbono essere posti in capo all’ente proprietario della strada, e cioè l’amministrazione comunale.

Il motivo è inammissibile in quanto pone una questione nuova.

9. Conclusivamente il ricorso va rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e al cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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