Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20287 del 26/07/2019

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 26/07/2019), n.20287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29757/2017 proposto da:

VULNERA SRL, in persona del suo Amministratore unico e legale

rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUFFINI

2-A, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO RACCUGLIA, rappresentata

e difesa dagli avvocati MARIA ROSARIA CIPRIANO, UMBERTO FERRARI,

GIUSEPPE IANNELLO;

– ricorrente –

contro

M.D., M.G., S.V.,

M.M.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UMBERTO LUSENA,

10, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI VEZZA, rappresentati

e difesi dall’avvocato VINCENZO RINA;

– controricorrenti –

e contro

M.G., M.M.C., M.D.,

V.E.E., F.C., R.R.M., R.V.,

R.A., C.P., RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’

SPA RAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 178/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Vulnera Srl ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro che, dichiarata la nullità della pronuncia del Tribunale di Castrovillari per difettosa costituzione del contraddittorio, aveva parzialmente accolto la domanda di S.V., M.G., M.C. e D., tutti eredi di M.V., riconoscendo i danni da loro riportati per la perdita del congiunto, dipendente della Vulnera Srl, deceduto a seguito di un grave infortunio sul lavoro occorso nel 1992.

2. Gli intimati eredi M. hanno resistito con controricorso e memoria, depositando altresì, per la liquidazione delle relative spese ex art. 373 c.p.c., il provvedimento con il quale la Corte d’Appello di Catanzaro, in data 3.12.2018, aveva respinto la richiesta della Vulnera srl di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti per difetto di notifica al nuovo procuratore costituito. Si assume, al riguardo, che:

a. al precedente difensore degli eredi S. – M., avvocato Ma.Ni., presso il quale la notifica era stata eseguita, era stato revocato il mandato nelle more del giudizio d’appello, con atto regolarmente acquisito al giudizio;

b. le notifiche agli altri cointeressati – in particolare gli eredi dell’assistente ai lavori, R.P., pure parte del giudizio – erano state erroneamente effettuate in quanto la moglie F.C. era deceduta e non si era proceduto a notificare ai suoi eredi, con violazione dell’art. 330 c.p.c..

1.1. Sotto il primo profilo, il rilievo è, in limine, inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto non viene affatto trascritta nel corpo del ricorso la revoca del mandato che avrebbe determinato la nullità della notifica dell’atto d’appello, nè viene indicata la sede processuale nella quale essa può essere rinvenuta.

1.2. Ma, tanto premesso, deve anche sottolinearsi che la censura è comunque infondata, in quanto da una parte si rileva che la notifica venne indirizzata anche all’attuale difensore presso il suo studio, e dall’altra che la regolare costituzione in giudizio degli interessati è valsa a sanare la dedotta nullità con efficacia ex tunc per l’avvenuto raggiungimento dello scopo della notifica effettuata (cfr. al riguardo Cass. SU 14916/2016; Cass. 26091/2017) la quale, quanto al secondo rilievo, risulta correttamente indirizzata agli eredi del R. e di F.C., nelle more deceduta: a ciò consegue anche l’infondatezza del secondo profilo di inammissibilità prospettato.

2. Sui motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Lamenta che la Corte territoriale oltre a non aver valutato le eccezioni sollevate sulle poste risarcitorie riconosciute, aveva reso una decisione viziata da extrapetizione, visto che il danno per perdita parentale era stato quantificato in misura di gran lunga superiore a quanto richiesto.

Si duole, al riguardo, che erano stati erroneamente applicati criteri presuntivi sulle circostanze necessarie a legittimare la pretesa perdita parentale sulle quali mancava, invece, ogni prova concreta, con particolare riferimento alla relazione di convivenza fra i parenti e la vittima del sinistro.

2.3. Il motivo è manifestamente infondato.

Dall’esame delle conclusioni formulate in primo grado – alle quali la ricorrente si è espressamente riferita con puntuale trascrizione dell’atto di citazione emerge che la domanda era stata riferita, in modo omnicomprensivo, a tutti i danni derivanti dalla morte del M. per la cui quantificazione era stata invocata anche l’equità.

Conseguentemente, la decisione è stata correttamente assunta sulla base dei poteri di qualificazione della domanda, esercitati dal giudice di merito con riferimento alle emergenze processuali che hanno consentito di accertare che ricorreva il danno subito dai parenti iure proprio a seguito del decesso del lavoratore, tenuto conto dello stretto legame fra gli appellanti e la vittima del sinistro (moglie e figli, uno dei quali minorenne, e, comunque, anche gli altri di giovane età) che consentiva di applicare il criterio presuntivo per affermare la lesione dell’affectio ed il turbamento derivante dalla morte del congiunto.

Deve, al riguardo, richiamarsi la consolidata giurisprudenza di questa Corte che, in punto di qualificazione della domanda, ha chiarito che “il principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.” (cfr. ex multis Cass. 8645/2018; Cass. 30607/2018; Cass. 12943/2012; Cass. 25140/2010).

Nel caso di specie, la Corte territoriale si è rigorosamente attenuta ai fatti costitutivi dedotti, qualificando correttamente la domanda ed accogliendola nella misura di quanto dimostrato dall’istruttoria svolta e sulla base dei poteri di valutazione delle prove che includono il ricorso alle presunzioni.

2.4. La Corte territoriale, sul punto oggetto di censura, ha motivato in modo congruo e logico e certamente al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata): da una parte, pertanto, risulta inammissibile il rilievo riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo stato neanche indicato quale fosse il fatto storico ignorato, e dall’altra il Collegio ritiene infondata la censura riguardante il vizio di extrapetizione in quanto, per la quantificazione del danno, la Corte si è correttamente riferita alle tabelle del Tribunale di Milano, applicate con riferimento alla versione aggiornata alla data della decisione.

2.5. Al riguardo, è stato chiarito che “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all’esito del giudizio di primo grado l’ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema “tabellare”, la sopravvenuta variazione – nelle more del giudizio di appello – delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l’applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del “punto-base” in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c.” (cfr. Cass. 25485/2016; Cass. 24155/2018).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omessa ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo la Corte tenuto conto dell’eccezione di difetto di prova in ordine al quantum determinato: lamenta, al riguardo, che i giudici d’appello, dopo aver escluso che potesse essere liquidato il danno biologico, avevano quantificato il danno morale per perdita parentale in misura esorbitante, vista l’assenza di un possibile riferimento al danno biologico non riconosciuto.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Infatti, la censura dedotta con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’insufficienza della motivazione non trova più spazio nel nostro ordinamento giuridico, a seguito della modifica normativa introdotta dalla L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012: tanto premesso, si osserva che la Corte territoriale ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano vigenti al momento della pronuncia in relazione alle quali si richiamano le argomentazioni sviluppate in relazione alla precedente doglianza esaminata.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente, infine, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e degli artt. 2043 e 2059 c.c.: deduce l’assenza di prova in ordine al pregiudizio prospettato e, conseguentemente, l’erroneo riconoscimento del danno parentale come danno in re ipsa e non come danno conseguenza.

4.1. Il motivo è infondato.

Il danno morale/esistenziale per la perdita del congiunto non configura, infatti, un danno in re ipsa ma è la conseguenza negativa e pregiudizievole, in capo ai congiunti, dell’evento che ha causato il decesso della vittima, la cui dimostrazione può certamente essere fondata su presunzioni. Dal fatto noto costituito dal legame familiare (che, nel caso in esame, era rappresentato dallo stretto vincolo affettivo tipico di una famiglia nucleare) è desumibile, infatti, quello ignoto, caratterizzato da intensità diverse e peculiari proprie dei legami di coniugio e filiazione sull’esistenza dei quali spetta alla controparte la prova contraria di situazioni idonee a contraddire l’unità, la continuità e l’intensità dei legami, soprattutto ove essi si snodino, come nel caso in esame, all’interno del nucleo ristretto.

4.2. Sono stati, al riguardo, affermati i seguenti principi ai quali questo Collegio intende dare seguito:

a. “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta.”(cfr. Cass. 2788/2019);

b. “in caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonchè degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonchè alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare” (cfr. ex multis Cass. 9231/2013; Cass. 14655/2017).

4.3. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi sopra richiamati ben individuando e quantificando l’intensità del pregiudizio arrecato agli stretti congiunti dalla tragica morte del M..

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente che dovrà anche essere condannato, ex art. 373 c.p.c., a rifondere alla controparte le spese del sub procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di

legittimità che liquida in Euro 15.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Condanna altresì la ricorrente alle spese del sub procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, ex art. 373 c.p.c., che liquida in Euro 8000,00 per compensi oltre accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019

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