Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20286 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. I, 25/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5950/2019 proposto da:

E.S.O., elettivamente domiciliato presso la

Cancelleria della I sezione civile della Corte di Cassazione e

difeso dall’avvocato BASSAN MARIA;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

02/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 2.01.2019, ha rigettato la domanda di E.S.O., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo stato il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dalla (OMISSIS) per non essere ucciso dalla setta degli (OMISSIS) di cui faceva parte il padre, il quale gli aveva confidato, in punto di morte, di essere responsabile dell’uccisione sacrificale della propria sorella e di essersi opposto al sacrificio degli altri suoi figli).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione E.S.O. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata censurata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Contesta il ricorrente il giudizio di credibilità formulato dal Tribunale di Venezia esponendo che tale giudizio si fonda su errate convinzioni in contrasto con le fonti internazionali. Deduce quindi che il proprio racconto è del tutto credibile, con la conseguenza che è esposto ad un pericolo per la propria vita, per aver rifiutato di far parte della setta degli (OMISSIS).

2. Il motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile: in primo luogo, non era stato in grado di riferire alcunchè sulla setta degli (OMISSIS); non era poi verosimile che, senza chiedere spiegazioni, lo stesso avesse assecondato la richiesta del padre di fuggire immediatamente il giorno stesso della rivelazione per una meta sconosciuta insieme ad una persona che non conosceva; infine, la natura elitaria della setta degli (OMISSIS) (secondo le fonti internazionali consultate) non era compatibile con la modesta estrazione sociale della famiglia del ricorrente (dedita a lavori manuali in agricoltura). A tali precise argomentazioni il ricorrente ha replicato con rilievi di merito, finalizzati a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella operata dal Tribunale di Venezia, non allegando neppure la eventuale grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3 art. 27, comma bis 1.

Si duole il ricorrente che il Tribunale non abbia considerato il suo rischio effettivo di subire un danno grave per le minacce rivoltegli dalla setta degli (OMISSIS), tenuto conto dell’incapacità delle autorità (OMISSIS) di offrire adeguata protezione nonchè della circostanza che Velite della società (OMISSIS), tra cui magistrati, polizia e uomini politici, fa parte di tale setta.

4. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce di essere esposto al pericolo di danno grave riconducibile alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) senza tener conto che il Tribunale di Venezia lo ha coerentemente ritenuto non credibile, con conseguente inammissibilità delle sue censure, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quello operata dal giudice di merito.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

Il ricorrente espone che sussistono motivi di carattere umanitario, e conseguentemente la condizione di vulnerabilità, ogni qualvolta vi sia una situazione di insicurezza, anche temporanea in uno Stato, pur non riconducibile all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Inoltre, il ricorrente ha intrapreso un percorso di integrazione nel nostro paese, come si evince dall’attestato di partecipazione al corso di lingua italiana.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, non ha, in primo luogo, minimamente correlato la dedotta esistenza di una situazione di insicurezza nella regione d’origine alla propria condizione personale, se non con il riferimento alla propria vicenda personale, ritenuta coerentemente non credibile dal giudice di merito.

Inoltre, lo stesso non si è confrontato con le precise argomentazioni del Tribunale di Venezia in ordine alla mancata allegazione di una specifica condizione di vulnerabilità sotto il profilo dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili.

In ogni caso, il richiedente si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione, non considerando che tale elemento, secondo il costante insegnamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito (S.P.A.D.).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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