Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2028 del 26/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2028 Anno 2018
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FALABELLA MASSIMO

ORDINANZA
sul ricorso 1300-2017 proposto da:
SMIE – SARDA MONTAGGI IMPIANTI ELETTRICI SRL, in
persona del liquidatore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato
ANTONIA DE ANGELIS, rappresentata e difesa dagli avvocati
GUIDO CHESSA MIGLIOR e CORRADO CHESSA;
– ricorrente contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA in persona del
Responsabile del Settore ‘dipartimentale, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE SUPREMA DI

Data pubblicazione: 26/01/2018

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato BILOTTA
MAURO GIULIO DARIO;

– con troricorrente nonchè contro

PODDA CARLO, SMIE SARDA MONTAGGI IMPIANTI
ELETTRICI SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimati avverso la sentenza n. 430/2016 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI, depositata L’ 01/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento
in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del
Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA
i.

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza depositata il 1

giugno 2016, dichiarava inammissibile l’appello proposto da S.M.I.E. —
Sarda Montaggi Impianti Elettrici s.r.l. avverso la pronuncia del locale
Tribunale: con quest’ultima pronuncia era stata respinta l’opposizione
spiegata dall’indicata società nei confronti di un decreto ingiuntivo
ottenuto da MPS Gestione Crediti Banca s.p.a. per lo scoperto di un
conto corrente e per il mancato rimborso delle linee di credito afferenti
anticipi di fatture.
La Corte distrettuale osservava, in particolare, che la formulazione
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MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA, CORDA COSTANTINA,

del gravame non risultava rispondente alle prescrizioni contenute
nell’art. 342 c.p.c, nel testo novellato dal d.l. n. 83/2012, convertito, con
modificazioni, in 1. n. 134/2012.
2. — Contro la sentenza della Corte di Cagliari S.M.I.E. ha

Resiste con controricorso MPS Gestione Crediti Banca.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
degli arti. 132, n. 4 c.p.c. e 342, comma 1 c.p.c., nonché nullità della
sentenza e del procedimento. Erroneamente, ad avviso della ricorrente,
la Corte di merito croza,rilevato essere mancata l’individuazione delle
parti della sentenza del Tribunale dalle quali desumere
l’indeterminatezza del credito della banca, la ‘tQlegittimità della
capitalizzazione trimestrale e il vizio di nullità formale del contratto di
anticipazione. Del pari, secondo l’istante, la sentenza di appello err
censurabile nella parte in cui tesnma asserito che essa ricorrente non
aveva indicato quale avrebbe dovuto essere la diversa pronuncia del
Tribunale sulle questioni controverse.
Il motivo non ha fondamento.
S.N1.1.E., a detta della Corte di appello, aveva lamentato che
secondo il Tribunale risultava provato il diritto azionato dalla banca
ancorché esso non fosse stato integralmente documentato a mezzo degli
estratti conto: estratti conto che, in base a quanto ritenuto
dall’appellante, erano necessari a dimostrare l’esatto ammontare del
credito vantato, posto che era stata eccepita (dalla società correntista, si
intende) la capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della
banca. La stessa appellante — prosegue la sentenza impugnata — aveva
poi dedotto che il primo giudice aveva mancato di ritenere nullo il
contratto di anticipazione e aveva fondato detta doglianza sulla
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proposto un ricorso per cassazione che è articolato in due motivi.

insussistenza dell’evidenza probatoria di una siffatta convenzione.
Con riferimento al primo profilo la Corte di merito ha osservato
che il Tribunale aveva correttamente motivato che era risultata provata
la condizione di reciprocità prevista dalla delib. C.I.C.R. del 9 febbraio

al contratto di affidamento il giudice distrettuale ha invece osservato che
il Tribunale aveva valorizzato l’esibizione del contratto del 12 novembre
2003. Ha infine osservato che l’appellante, a mente dell’art. 342, comma
1 c.p.c. avrebbe dovuto indicare per quali motivi la decisione risultava
ingiusta, e quali sarebbero state le parti della pronuncia che avrebbero
dovuto essere modificate.
Ciò detto, deve credersi che l’art. 342, comma 1 c.p.c., nella sua
nuova formulazione, imponga all’appellante di individuare, in modo
chiaro ed inequivoco, il quantum appellatum, formulando, rispetto alle
argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso
(così Cass. 5 maggio 2017, n. 10916). E’ richiesta, cioè, la delimitazione
del giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza
impugnata, nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e la
formulazione di puntuali ragioni di dissenso atte a determinare le
modifiche della decisione censurata (Cass. 5 febbraio 2015, n. 2143, con
riferimento all’art. 434, comma 1, nel testo pure modificato dal cit. d.l.
n. 83/2012; Cass. 14 settembre 2017, n. 21336). In altri termini, come di
recente ribadito dalle Sezioni Unite, gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo
novellato, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve
contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle
questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi,
delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte
argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo
giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la
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2000, onde la capitalizzazione era da ritenersi consentita. Con riguardo

redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a
quella di primo grado (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199).
Proprio prendendo in esame i motivi di appello trascritti nel
corpo del ricorso risulta evidente che la censura dell’odierna ricorrente

Infatti, il primo motivo di appello (trascritto a pagg. 13 s. del
ricorso) — oltre a far riferimento a un tema, quello dell’usura, che risulta
estraneo alla sentenza del Tribunale (non figurando esso negli stralci di
motivazione della sentenza di prime cure trascritti nel ricorso per
cassazione e non essendo nemmeno ricompreso tra le ragioni poste a
fondamento dell’opposizione a decreto ingiuntivo (pagg. 2 e 3 del
ricorso) — non si confronta affatto con l’affermazione del Tribunale
circa la legittimità della capitalizzazione trimestrale. Tale accertamento
doveva indurre l’appellante a modulare diversamente la propria censura,
giacché il principio, cui ha fatto riferimento la società nel proprio atto di
appello — e relativo alla necessità alla rideterminazione del saldo finale
mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base
degli estratti conto a partire dall’apertura del medesimo, che la banca,
quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, ha l’onere di produrre — opera proprio in presenza
dell’accertata nullità delle clausole che prevedono, relativamente agli
interessi dovuti dal correntista, tassi superiori a quelli legali o la
capitalizzazione trimestrale degli stessi (per tutte: Cass. 19 settembre
2013, n. 21466, citata a pag. 14 del ricorso): nullità che — si ribadisce —
il giudice di prime cure aveva escluso.
Nemmeno il motivo di gravame incentrato sull’asserita nullità del
contratto di anticipazione di fatture risulta correlato alla ratio decidendi
della sentenza impugnata: sicché esso, al pari del motivo
precedentemente esaminato, non poteva integrare pertinente censura
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non colga nel segno.

della statuizione che si intendeva attaccare. Infatti, col secondo motivo
di appello (riprodotto a pag. 16 del ricorso) l’odierna istante, dopo aver
preso rapidamente in esame, in modo alquanto criptico, un profilo
(quello dell’asserita accessorietà del contratto di anticipazione) che non è

quanto privo di autonoma forma scritta ad substantiam, andava dichiarato
nullo. Ma, come si è detto, il Tribunale aveva affermato che il contratto
in questione risultava documentato: in conseguenza, la censura non
presenta aderenza al decisum del giudice di prima istanza e comunque
non sviluppa, in modo chiaro, argomenti che ne incrinino il fondamento
giustificativo.
2. — Col secondo motivo sono lamentate la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1283, 1325, 1346, 2697 c.c., 117 t.u.b. e 2 1. n.
108/1996, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti. Viene dedotto che la
decisione impugnata non avrebbe convenientemente apprezzato le
ragioni addotte a fondamento dell’appello.
La censura è inammissibile, in quanto investe profili assorbiti dalla
statuizione resa a norma dell’art. 342, comma 1 c.p.c.
(sull’inammissibilità del ricorso su questioni assorbite cfr.: Cass. 1 marzo
2007, n. 4804; Cass. 5 novembre 2014, n. 23558). In realtà, attraverso il
ricorso per cassazione, l’istante intenderebbe porre in discussione la
decisione di merito assunta dal giudice di primo grado: ciò che
all’evidenza non è consentito (Cass. 15 marzo 2006, n. 5637; Cass. 21
marzo 2014, n. 6733).
3. — In conclusione, il ricorso è rigettato.
4. — Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte
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trattato dalla sentenza impugnata, assume che il negozio in questione, in

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in 100,00, ed agli

del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione
Civile, in data 28 novembre 2017.
Il Presidente

accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115

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